DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

IL GIUDIZIO DELLE NAZIONI. DI CHRISTOPHER DAWSON

IL GIUDIZIO DELLE NAZIONI

DI CHRISTOPHER DAWSON

PARTE PRIMA

IL DISGREGAMENTO DELLA CIVILTA’ EUROPEA

I.- L’ora delle tenebre…………………………..9

II - La democrazia e la guerra totalitaria …. . 19

III - Origini religiose del conflitto europeo …… 33

IV - Il fallimento del liberalismo ………………..51

V - Il fallimento della Lega delle Nazioni ……….63

VI - Secolarizzazione della cultura occidentale …77

PARTE SECONDA

RESTAURAZIONE DI UN ORDINE CRISTIANO

I - Civiltà preordinata. ………………………….91

II - Principii sociali cristiani . . . . ……………105

III - La Spada dello Spirito . ……………………...121

IV - Ritorno dell'unità cristiana . ……………….….129

V - La costruzione di un ordine cristiano ……………145

VI - Cristianità, Europa ed il nuovo mondo . ………..161

PARTE PRIMA

IL DISGREGAMENTO DELLA CIVILTA’ EUROPEA

1.- L’ora delle tenebre

CENT’ANNI sono un periodo relativamente breve ; la vita d'un uomo può durare più a lungo. Eppure gli ultimi cent'anni hanno trasformato la vita umana più d'ogni altro periodo nella storia del mondo, come se il lento fiume del tempo fosse divenuto una fragorosa cateratta.

Cent'anni fa la maggior parte della stirpe umana viveva ancora come aveva sempre vissuto: l'Estremo Oriente era un mondo chiuso, con una mentalità, tanto distante da quella europea, come se fosse un altro pianeta ; l'Estremo Occidente era ancor vuoto ; e l'Africa tropicale ancora ignota. Nello spazio di tre generazioni tutto il mondo è stato svelato, unificato, trasformato ; popolazione, ricchezza e conoscenza si sono affannosamente moltiplicate ; gli stati sono cresciuti di numero e di misura e tutto il mondo è diventato una sola società. Non è lontano il giorno in cui tutti gli stati diverranno uno stato solo, una Babilonia che imprimerà il suo stampo sull'anima di ogni essere umano ed imporrà una condotta uniforme in ciascun campo dell'attività umana. In un certo senso, questo sviluppo ha soddisfatto e superato le speranze del secolo scorso, quando, nei giorni del trionfante ottimismo liberale, la disperazione romantica della generazione precedente aveva lasciato il posto alla fede nelle infinite possibilità della scienza, del progresso materiale, della libertà politica, la fede

... in the march of mind,

In the steamship, in the railway, in the thoughts

That shake mankind. (Nella marcia del pensiero, nella nave a vapore, nella ferrovia, nelle idee che scuotono l'umanità)

Eppure perfino i più ottimisti non si resero conto della velocità e della vastità d'un movimento che si accelerava, e che doveva tanto rapidamente portare alla conquista del tempo e dello spazio e ad un soggiogamento totale della natura all'arbitrio umano. Per una generazione, dal 1840 al 1870, si realizzarono le previsioni dei Liberali, e mentre venivano deluse le speranze dei visionari idealisti alla Mazzini, trionfava l'opinione pubblica progressista, personificata in uomini di Stato quali Cavour e Gladstone. Seguirono quarant'anni d'una pace inquieta, durante i quali svanì grado a grado la fede negl'ideali liberali del secolo XIX, malgrado il continuo progredire della scienza e del benessere materiale. In quella calma apparente in cui le energie dell'Occidente sembravano tutte rivolte ad accumulare tesori finanziari ed a sfruttare i popoli deboli, risuonavano voci profetiche, annunciatrici della prossima fine di un'era : ma erano voci di ossessi, di un Nietzsche e d'un Dostoievskij, che non trovano mai un seggio in quel paradiso delle illusioni che si chiama "mondo della realtà".

Ma nell'ultimo trentennio questo mondo artificiale è crollato come uno scenario di cartapesta: i demoni che avevano agitato i cervelli di quei reietti, invasero e conquistarono l'umanità, spazzando nel nulla le frontiere del bene e del male, del vero e del falso, ed una tempesta di distruzione spinge innanzi a sé la nave della civiltà senz'albero e senza timone. Sono tornati a noi i mali che il secolo XIX credeva d'aver sconfitti per sempre : la proscrizione e la persecuzione, la tortura e la schiavitù ed il terrore della morte improvvisa ; e con essi sono venuti spaventi nuovi, ignoti al passato. Anche il male si è rivelato forza progressiva, a cui il mondo moderno offre possibilità illimitate di sviluppo.

Non per caso l'età che ha visto la potenza economica e scientifica raggiungere il più alto vertice, ha anche trascinato la civiltà occidentale sull'orlo dell'abisso. Perché la nostra potenza è la nostra rovina ed ha ubriacato, avvelenato il mondo, come l'alcool, le infezioni e la polvere da sparo hanno un tempo avvelenato i popoli primitivi.

Un abisso ben più profondo separa la nostra vita esteriore da quella dei nostri antenati d'un secolo fa, che non quello che separava le civiltà dei Conquistadores spagnoli da quelle indigene del Nuovo Mondo ; l'automobile e l'aeroplano hanno trasformato i rapporti tra l'uomo e l'ambiente ben più radicalmente del guerriero che colla sua armatura di ferro distruggeva le civiltà del Messico e del Perù. Ma il mutamento è stato troppo rapido perché l'umanità, potesse adattarsi alle nuove condizioni di vita. La natura umana cambia lentamente e gli uomini che hanno conquistato il tempo e lo spazio, che hanno acquistato una potenza materiale quasi illimitata, non sono più " superuomini " dei loro avi del 1840, ma sono stati creati superuomini loro malgrado, strappati all'aratro ed allo sgabello del ciabattino, e resi padroni d'una potenza mai posseduta neppure dagli autocrati divinizzati degl'imperi d'un tempo.

Di qui è nato lo stato totalitario, che tentando di risolvere colla violenza il problema della " potenza di massa ", ha prodotto nuove tensioni e nuovi conflitti che rendono la crisi ancora più distruttiva. I problemi della forza non si possono risolvere colla sola forza e neppure con una scienza che si metta al suo servizio. La libertà e la ragione cadono vittime delle forze da loro stesse create, e l'umanità precipita, cieca e impotente, verso l'abisso. Perché l'umanità non si può salvare colle sue sole forze, e, lasciata a se stessa, perisce tanto più catastroficamente quanto più è ricca di risorse materiali e di potenza.

Questa è la verità che tutte le civiltà passate conobbero ed accettarono, ma che l'uomo moderno, ubriacato dalla recente conquista di nuova potenza, ha dimenticata o respinta. Questa verità ha però avuto un testimonio : durante l'ultimo secolo, la Chiesa non ha mai cessato dì sostenere che la società e la legge umana dipendono da un ordine trascendente la politica e l'economia, e di prevenire gli uomini d'una catastrofe inevitabile per un mondo che tenti di creare una civiltà senz'altra legge che quella d'esigenze umane e d'umane ambizioni. Nella prima delle tre fasi di cui ho parlato si bollavano sommariamente tali ammonimenti col marchio di " oscurantismo reazionario ". Ma quando Pio IX condannava il Liberalismo, non condannava la liberazione dei popoli dal dispotismo e la limitazione dei poteri dello Stato, bensì il rifiuto di subordinare la società umana alla legge divina e l'affermazione del nuovo principio d'un potere illimitato, molto più ampio delle più ampie prerogative reali (1).

(1) Vedi le parole di Leone XIII sul falso Liberalismo.

Il significato di questo principio divenne ancor più chiaro nella seconda fase, quando all'idealismo liberale del Mazzini e del Lamartine successe il laicismo trionfante dello stato. Allora Leone XIII espose i principi sociali del Cattolicesimo in quella grande serie d'Encicliche che costituiscono l'espressione classica degl'ideali dell'umanesimo e del liberalismo cristiani, ai quali si ispirò la civiltà occidentale. Ma anche le sue parole rimasero inascoltate. Quando nel 1878 il Papa dichiarava che la razza umana veniva trascinata sull'orlo della rovina ed ammoniva la società a prepararsi alla crisi imminente prima che fosse troppo tardi, la civiltà, tutta intenta ad accrescere il proprio benessere materiale, ed ancora relativamente stabile, non si lasciò impressionare dalle sue parole. Soltanto negli ultimi trent'anni il mondo ha aperto gli occhi ai pericoli da tanto tempo denunciati dalla Santa Sede. Durante i tre ultimi pontificati una luce spaventosa ha rivelato i veri problemi e la Chiesa non è più la testimone inascoltata d'una verità caduta in oblio, ma è al centro della lotta fra cui si dibatte ogni creatura umana. Oggi il nemico non è più il Liberalismo umanitario, versione laica dell'idealismo morale cristiano, ma un potere nuovo che calpesta ogni umano diritto, ogni ideale. All'ombra di questa minaccia, il significato dei conflitti parziali che hanno diviso la civiltà occidentale non è più quello che era: la causa di Dio e quella dell'umanità sono divenute una causa sola. La legge della carità non è estranea alla natura umana e non è nemica degl'ideali di libertà e di progresso sociale a cui s'è ispirata la moderna civiltà occidentale. Essa è anzi l'unica legge che può salvare l'umanità dalla legge ferrea della forza che distrugge il debole colla violenza ed il potente col tradimento, un nuovo paganesimo non ha nulla in comune coll’idealizzazione poetica del mito ellenico, opera d’umanisti e di classicisti degli ultimi secoli ; è piuttosto uno scatenarsi delle potenze dell'abisso, delle forze tenebrose che, legate per un millennio dalle catene della civiltà cristiana, sono state ora scatenate alla conquista del mondo. Perché la volontà di potenza è anche volontà di distruzione e finisce in volontà di autodistruzione.

In quest'ora senza luce molti devono sentirsi tentati dalla disperazione quando vedono cadere le speranze di pace e di progresso a cui s'ispirava l'idealismo liberale del secolo scorso e pervertirsi al servizio delle forze diaboliche distruttrici le grandi conquiste della scienza e della potenza umana. Mai, forse, una civiltà ha sofferto un sovvertimento così totale di principi e di valori, mantenendo quasi intatte, e ad un livello sotto molti aspetti più alto che mai, la potenza e la ricchezza materiale.

Per i Cristiani, però, il colpo e la delusione dovrebbero essere meno duri che per i fedeli del vangelo ottocentesco del progresso areligioso, perché la fede cristiana non ha mai cercato di nascondere le forze del male operanti nella storia e nella società come nella vita dell'individuo ed ha preparato i cuori ad affrontare le estreme conseguenze d'un trionfo esterno del male e la sconfitta apparente del bene. Non per questo la dottrina del Cristianesimo è dottrina disfattista : è un'affermazione trionfale di vita, d'una vita eterna che vince la morte, d'un regno di Dio che prevale e prevarrà sui signori di questo mondo di tenebre.

Quindici secoli fa il mondo attraversava una crisi che minacciava di distruggere la civiltà, proprio nel momento in cui la Chiesa usciva vittoriosa dalla lotta contro il Paganesimo. Per mille anni il mondo mediterraneo aveva vissuto una vita sicura, illuminata dalla civiltà ellenica. Ma in quel momento questo sole era tramontato e le tenebre ed il gelo del barbarico Settentrione scendevano sul mondo. I popoli guerrieri germanici orientali, cacciati via dalla Russia meridionale e dal Danubio dall'avanzata delle orde mongoliche d'oltre Volga, irruppero entro le difese dell'Impero distruggendo la fabbrica monumentale dell'ordine romano. Eppure Sant'Agostino aveva la risposta al problema dell'ora. Benché fosse leale cittadino romano, benché conoscesse il valore del pensiero greco, egli poteva guardare il conflitto dall'alto perché quelle cose erano per lui temporanee e contingenti. La luce che gli dava vita non era quella di Atene o di Alessandria, ma la luce nuova che pochi secoli prima era sorta in Oriente. Nonostante tutto, la Roma imperiale era la figlia di Babilonia, l'incarnazione dell'orgoglio umano e della ricchezza materiale, la persecutrice dei santi, la tiranna dei poveri ; i veri destini dell'uomo dovevano realizzarsi altrove, a Gerusalemme, nella Città di Dio, che attraverso tutta la rovina e la distruzione di regni e d'imperi umani, sorgeva e cresceva per opera dell'impulso irresistibile d'una volontà divina.

Ma oggi la risposta è molto più difficile, perché la civiltà su cui incombe la minaccia d'un sovvertimento radicale, e le cui fondamenta sono minate, è la civiltà cristiana, costruita sui valori spirituali e sugl'ideali religiosi di uomini quali S. Agostino; ed il nemico non è più la barbarie semplice di popoli stranieri primitivi, ma una forza nuova, armata di tutte le risorse della tecnica scientifica moderna, ispirata da una spietata volontà di potenza, che non conosce altra legge che quella delle proprie forze. La situazione è quasi diametralmente opposta a quella, cui assisteva S. Agostino : ai suoi giorni il mondo precipitava, ed a rifugio dell'umanità sconfitta s'aprivano le porte della Chiesa. Oggi il mondo è forte e non ha pietà per il debole e per chi soffre. Non sa che farsi d'un Cristianesimo che disprezza ed in cui vede il disfattismo più pericoloso, che tenta sottrarsi alle responsabilità della vita. Ha una religione sua, una religione che inverte i valori della morale cristiana e predica : " Beati i forti perché possederanno la terra " ; ma che, come il Cristianesimo, esige sacrifici illimitati ed una dedizione totale. Così il mondo che i Cristiani debbono oggi affrontare assomiglia più a quello descritto nell'Apocalisse che a quello di Sant'Agostino. Il mondo è forte, dominato da padroni malvagi; ma questi padroni non sono Nerone o Domiziano, autocrati rotti al vizio; sono gli ingegneri costruttori della macchina d'una potenza mondiale, ben più formidabile e tremenda di quanto abbia mai conosciuto il mondo antico, perché essa non si limita, come i dispotismi del passato, ad usare mezzi esterni, ma si vale di tutte le risorse della psicologia moderna per fare dell'anima umana la forza motrice del suo arbitrio dinamico.

Così i principii fondamentali agostiniani dei Due Amori e delle Due Città, ancor validi, assumono oggi una forma nuova, ignota alla Chiesa del passato. Perché oggi assistiamo ad un meditato tentativo di unificazione e di potenziamento della società umana, fin dalle più profonde radici ; si tenta di portare 1a Gerusalemme, che è lo spirito dell’Uomo quale ricettacolo dello Spirito di Dio, alla schiavitù di Babilonia, che è lo spirito dell'uomo degradato a cieco strumento d'una diabolica volontà di potenza. Non abbiamo qui spazio per discutere le origini e lo sviluppo di questo male, ma basti dire che le tendenze rivoluzionarie del mondo moderno, ispirate in principio ad un ottimismo umanitario positivo, sono degenerate in una " Rivoluzione distruggitrice ". E, come ha osservato Nietzsche, la causa principale di ciò va cercata nella perdita dei valori morali cristiani, che " trattenevano l'uomo dal disprezzo di se stesso, da una ribellione contro la vita, e dalla disperazione, figlia della conoscenza ".

Perché una morale, privata delle basi religiose e metafisiche non può che subordinarsi a fini più bassi ; e quando questi fini sono negativi, come nella guerra e nella rivoluzione, tutta la scala dei valori morali ne rimane invertita. È comprensibile che un simile nichilismo morale s'accompagni ad un idealismo fanatico in un movimento rivoluzionario clandestino, ma diventa un male molto più grave quando un governo ne faccia il suo credo, quando la forza che domina lo stato se ne serva per difendere la violenza e l'ingiustizia, quando il terrorismo rivoluzionario della società segreta si fonda col terrorismo repressivo della polizia segreta, per produrre una nuova tecnica totalitaria di governo di forza e di terrore che mina le basi psicologiche della libertà morale.

Alla luce del Cristianesimo, l'aspetto più grave di questa situazione è che il male si è per così dire spersonalizzato, svuotandosi di passioni e d'appetiti individuali ed innalzandosi di là dall'umanità, in una sfera dove si confondono e si trasfigurano tutti i valori morali. I grandi terroristi da Robespierre e St. Just a Dzerscinski non erano uomini immorali, ma rigidi puritani che facevano il male freddamente, per principio, disinteressatamente; mentre i dittatori moderni assommano in sé le qualità più alte e più basse della natura umana, - dedizione e devozione illimitata, ed un altrettanto illimitato spirito di vendetta e di violenza - per affermare la loro volontà di potenza.

Questo è il nuovo male che s'è diffuso dalla Russia verso occidente, penetrando fin nel cuore dell'Europa. Né occorre più associare questo male al Comunismo, che anzi esso si diffonde più per opposizione che per imitazione; poiché quando si parte dal principio che ogni mezzo è buono per combattere un male, il bene per cui si combatte non si distingue più dal male che si vuol distruggere. La subordinazione della morale alla politica, il regno del terrore, la tecnica della propaganda e dell'aggressione psicologica, possono diventare gli strumenti d'un qualsiasi potere o partito che abbia l'audacia di rinunciare agli scrupoli morali e di precipitarsi nell'abisso.

Questa è per noi la difficoltà più grave, perché questo male prospera e trionfa nella guerra, e la necessità di combattere lo spirito dell'aggressione sfrenata colla forza delle armi crea un'atmosfera particolarmente favorevole al suo sviluppo. Per conseguenza abbiamo l'arduo compito di condurre una guerra su due fronti. Dobbiamo resistere colle armi all'aggressione d'un nemico esterno e resistendo allo stesso tempo al nemico interno, cioè allo sviluppo, entro la nostra stessa società, della forza maligna contro cui lottiamo. E questa seconda guerra è la più pericolosa delle due, perché si può perdere anche vincendo ed il fatto stesso che tendiamo ad identificare il male con quella manifestazione che minaccia la nostra esistenza nazionale, ci rende facilmente ciechi alle correnti analoghe che insidiano il nostro ordine sociale interno. Il disgregamento della civiltà occidentale, dovuto alla pressione economica e morale della guerra, costituisce un pericolo serio da non scartarsi alla leggera. Né i Cristiani possono affrontarlo collo stesso animo con cui affrontavano la caduta dell'Impero Romano. Quello era un disastro esterno che lasciava intatte le sorgenti della vita spirituale, mentre quella odierna è una catastrofe spirituale che colpisce le basi morali della nostra società, e distrugge non la forma esterna della civiltà, ma l'anima dell'uomo, principio e fine d'ogni cultura umana.

II - La democrazia e la guerra totalitaria

AL PRINCIPIO della guerra, in molti ambienti neutrali, si tendeva a svalutare l’importanza delle ragioni che l'avevano provocata e dei fini a cui mirava: la si considerava come una delle solite vecchie guerre europee d'interesse nazionale e di prestigio, o addirittura la si giudicava una finta che nascondesse una ritirata strategica su nuove posizioni diplomatiche.

Oggi queste illusioni non possono ingannare nessuno, perché questa "finta guerra" si è rivelata nel suo aspetto di guerra totalitaria che calpesta sovranità nazionali, accordi internazionali, diritti umani; e la conflagrazione si diffonde con tanta rapidità che nessuno stato, per quanto forte, per quanto lontano, può far conto di rimanere estraneo. Quale che ne sia il risultato, essa influenzerà il mondo intero e l'avvenire d'ogni popolo e d'ogni civiltà.

Molto s'è scritto sugli scopi di guerra e di pace del campo alleato; ma il primo scopo è evidente: impedire che la più potente macchina militare del mondo conquisti l'Europa e domini tutto il globo.

Così, nonostante tutti i loro errori, nonostante tutti i difetti del loro sistema sociale, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America rappresentano oggi il baluardo della libertà del mondo. Una volta spezzato, nessuno può prevedere le conseguenze: caos universale od universale schiavitù. Comunque sia, sarebbe follia credere di poter limitare le conseguenze all’Europa perché il mondo Atlantico è una unità, da cui dipende a sua volta il mondo Pacifico: spezzati i due pilastri dell'Atlantide, tutto l'emisfero occidentale ne rimarrebbe sconvolto.

Né tale catastrofe toccherebbe solo la politica e l'economia, ma trasformerebbe necessariamente l'essenza della civiltà, come avvenne nel passato solo nel caso di rivoluzioni religiose, L'aspetto più caratteristico del sistema totalitario contro cui combattiamo è la pretesa di dominare non solo il corpo degli uomini, ma la loro anima, e per far valere questo preteso diritto, esso mobilita tutte le risorse della nuova magia nera che si chiama propaganda e suggestione di massa. Si serve non solo di armi economiche e militari, ma di armi spirituali che tendono a conquistare o distruggere il pensiero e la volontà dei popoli che resistono e di tutti gli altri popoli le cui simpatie possano influenzare il risultato della lotta: in una parola di tutti i popoli del mondo.

La smisurata vastità d'una tale guerra non soltanto toglie ogni significato alla vecchia idea di neutralità ed a tutte le altre leggi e convenzioni che garantivano i rapporti internazionali, ma tocca da vicino questioni morali di fronte a cui nessun Cristiano può rimanere indifferente. In passato si poteva considerare la guerra come una sventura esteriore, come la peste e la carestia, che vanno accettate come un giudizio divino, ma che non toccano la responsabilità personale o la libertà religiosa dell'individuo. Anzi, i mali della guerra rinvigorivano spesso il sentimento religioso dirigendo il cuore dalle lotte terrene alla visione della pace eterna. Ma la guerra totalitaria non rispetta nulla di tutto ciò e non lascia intatto alcun valore spirituale. Perfino la religione diventa una delle mille armi del suo arsenale, e chi si rifugi nel pacifismo, s'accorge che anche questo viene sfruttato per indebolire la resistenza e demoralizzare la nazione avversaria.

Le barriere, imposte da secoli di Cristianesimo e di civiltà agl'istinti primitivi di violenza e d'aggressione, vengono spazzate e schiacciate dalla valanga lanciata alla conquista del potere, in cui consiste l’essenza del totalitarismo. Ma queste barriere sono necessarie non soltanto a conservare la libertà individuale, ma altrettanto essenziali all'ordine sociale; e quando sono distrutte nulla rimane a difendere la nuda anima dalle forze della distruzione. La guerra attuale, che tutto distrugge e che non rispetta alcuna legge civile e morale, non è che il sintomo superficiale e visibile della malattia di cui soffre non soltanto la Germania, e non soltanto l'Europa, ma tutto il mondo.

Ma qual è la fonte di questo male? Non è stato certamente inventato da Hitler o dai suoi colleghi, che ne sono le creature piuttosto che i creatori; uomini trascinati al potere dall'ondata di distruzione, come i capi della Convenzione nella Rivoluzione Francese, gli avvocati ed i giornalisti che, nati dal nulla, trasformarono la faccia dell'Europa e scomparirono fulmineamente come erano apparsi. Ma mentre l'anima della Rivoluzione francese era un'immensa ondata d'idealismo e di speranze nell'avvenire, la nuova rivoluzione è un movimento di disgregazione, di disperazione, che trae forza dalla liquidazione degl'ideali e delle speranze dell'ottocento.

Che la civiltà moderna tendesse inevitabilmente ad una simile catastrofe non è idea nuova; fin nel secolo scorso era il motivo centrale della filosofia di Nietzsche, che ha influenzato così profondamente il pensiero tedesco e russo. E un giudizio simile pronunciava il suo contemporaneo più anziano Costantino Leontiev, di cui tratta l'ultimo libro di Berdyaev.

" Quell'ordine" , egli scrive, " che ha dato all'umanità dell'ottocento le idee di progresso, d'uguaglianza e di emancipazione, è ordine troppo instabile, e... finirà o in una catastrofe universale o in una lenta e profonda trasformazione delle società umane su principi completamente nuovi, che non soltanto non saranno più liberali, ma anzi saranno straordinariamente oppressivi e tirannici. Tornerà forse, sotto forme nuove, la schiavitù, probabilmente sotto l'aspetto d'una rigida obbedienza d'individui, comunità piccole e grandi, e di queste allo Stato ". " Ad, ogni modo questa nuova civiltà opprimerà molti e gli uomini del ventesimo secolo ormai tanto vicino, lungi dal raddolcirla ed imbeverla di moderata libertà e di spirito umanitario, vi mescoleranno ben altre cose, inimmaginabili e perfino terribili ", cosicché " la vita di questi uomini nuovi finirà coll’essere molto più opprimente e malsana della vita di monaci coscienziosi sotto regole rigide nei monasteri " (1).

(1) Nicholas Berdyaev, Leontiev (Geoffrey Bles, 1940), pp. 100-102.

Questa straordinaria previsione, o piuttosto profezia, s'è realizzata quasi alla lettera. Nell'ultimo ventennio la democrazia liberale ha patito una sconfitta dopo l'altra. Abbiamo visto scomparire da gran parte del mondo le libertà su cui il XIX secolo credeva basata la civiltà moderna; è nato un nuovo ordine sociale che nega i più elementari diritti umani e distrugge intere classi ed interi popoli colla crudeltà del peggior despota orientale del passato. E si è giunti a questo risultato non per il trionfo delle forze conservatrici e "reazionarie" dell'Europa occidentale, ma colla loro sconfitta e col trionfo dei loro nemici; è stato l'opera di movimenti di massa, di partiti rivoluzionari, guidati da uomini del popolo.

È vero che questo movimento cominciò quando la democrazia liberale era più che mai debole, e che ebbe i massimi trionfi in paesi abituati da secoli alla rigida disciplina di un'autocrazia teocratica o d'una monarchia militare. In Russia, più che altrove, la democrazia occidentale era un'importazione straniera e non soltanto reazionari del tipo di Leontiev, ma socialisti quali Herzen ed anarchici quali Bakunin odiavano nel cilindro e nel soprabito della borghesia occidentale la sciatta livrea d'una schiavitù ad ideali importati, alieni dalle loro tradizioni e dai loro istinti anche più della servitù della gleba e dell'oscurantismo degli Zar.

Bisogna quindi distinguere nella moderna reazione alla democrazia liberale due elementi : la reazione nata dalla democrazia stessa, dovuta al progresso dell'organizzazione d'uomini e della meccanizzazione della civiltà, che ha distrutto la base economica e sociale dell'individualismo liberale; e in secondo luogo la reazione nazionale di quei paesi che, privi d'una tradizione democratica indigena, hanno accolto le idee liberali come parte della civiltà materiale dell'Occidente, che per loro significava non solo progresso, ma anche sfruttamento straniero.

Fu soltanto quando questi due elementi si fusero nella sconfitta e nella rivoluzione del periodo postbellico, che nacque il nuovo ordine totalitario che ora minaccia l’esistenza della democrazia nell'Europa occidentale e nel mondo. Come nel secolo XIX, la democrazia occidentale affermava la sua egemonia con un processo di penetrazione economica e dottrinale, col libero scambio, colla libertà di stampa, colla diffusione delle idee liberali, così oggi il nuovo regime totalitario cerca d'allargare il suo dominio con metodi suoi propri, coll'organizzazione ed il disciplinamento delle masse e colla repressione di tutti gli oppositori all'interno ed all'estero, aggiungendo all'aggressione militare la pressione psicologica.

È la democrazia occidentale abbastanza forte per resistere a quest'attacco, oppure è l'Europa occidentale destinata a seguire il cammino preso dalla Germania e dalla Russia e subire una rivoluzione totalitaria? La risposta non dipende soltanto da fattori militari, perché anche una vittoria militare non basterebbe ad impedire la decadenza della democrazia se le condizioni moderne sono sfavorevoli alla sua sopravvivenza; come d'altra parte una sconfitta militare non la distruggerebbe se le sue fondamenta sono sane.

Bisogna anzitutto comprendere che cosa s'intende per democrazia, e poi distinguere tra ciò che è vivo e ciò che è morto nella tradizione democratica lasciataci in eredità dal secolo XIX. Per democrazia intendiamo non soltanto indipendenza o governo popolare che si basi sull'ideale della libertà personale e si concreti in istituzioni rappresentative o parlamentari. Questa forma speciale di democrazia è tipica della civiltà moderna occidentale ed è particolarmente connessa alle tre grandi nazioni politiche dell'Occidente, Inghilterra, Francia e Stati Uniti d'America, da cui si diffuse a quasi tutto il mondo civile nel corso del XIX secolo. Ma benché si sia completamente sviluppata solo per effetto delle tre grandi rivoluzioni occidentali, quella inglese del 1642-88, quella americana e quella francese, le sue radici vanno ricercate nel profondo della Cristianità occidentale; e non se ne può avere un'idea chiara se la si stacca dal suo quadro di fondo religioso e culturale. L'ideale occidentale della libertà che animò tutta la tradizione democratica non è derivato solo dalle nuove istituzioni politiche. Come scriveva Burke, permeava tutto l'ordine tradizionale della società cristiana e " nacque non dalle leggi dello stato (in cui fiorì più per trascuratezza che per attenzione), ma dai costumi e dal modo di vivere ". Trasse soprattutto forza dalla credenza cristiana del valore assoluto ed unico dell'anima umana, che trascende infinitamente ogni ricchezza, ogni potenza ed ogni gloria mondana.

Le conseguenze politiche e sociali di questa credenza sono duplici : da un lato la vocazione ascetica, volta all'al di là, la svalutazione dei beni terreni e della potenza mondana, ed il trasferimento del centro di pensiero e d'azione alla sfera sopratemporale e religiosa e dall'altro uno sforzo d'affermarsi nell'ordine sociale e politico, modificando le varie società e le loro istituzioni.

Così, allo stesso modo che la monarchia cristiana fu cosa molto diversa dal governo dei re barbari, da cui storicamente discese, la libertà cristiana combinò e trasformò gli elementi della libertà barbarica e della "cittadinanza" classica in qualcosa di nuovo. Le radici spirituali più profonde della democrazia occidentale non sono costituite né da una fratellanza di sangue di tribù guerriere né dai privilegi politici della città-stato, ma dal rovesciamento spirituale di valori che esaltò la povertà e la sofferenza e fece vedere nel povero l'immagine di Cristo.

Questo senso di libertà cristiana e di democrazia cristiana, che come diceva Leone XIII permeava tutto il corpo della Cristianità, era lo sfondo spirituale d'un ordine sociale che, dal di fuori, appare spesso quanto mai gerarchico ed autoritario. Nell'Europa orientale, specialmente in seguito al lungo dominio dispotico, questo quadro di fondo era così lontano dalle realtà politiche, che la coscienza cristiana sociale vi si manifestò in forma mistica ed apocalittica ; ma in Occidente, l'ordine sociale era più malleabile e più organicamente vicino alle credenze ed agl'ideali del popolo. Basti pensare come nessuna civiltà, neppure quella della Grecia antica, abbia mai subito trasformazioni così continue e profonde come l'Europa occidentale degli ultimi novecento anni.

La chiave di questo fatto non ce la dà certamente il materialismo storico colle sue interpretazioni economiche. Il cambiamento è stato d'origine spirituale ed il progresso della nostra civiltà è intimamente legato alla natura dinamica del Cristianesimo occidentale, che ha gradualmente innalzato gli europei dell'Occidente alla coscienza della responsabilità morale e del dovere di trasformare il mondo. Il senso di questo dovere (che è un diritto), o, se si vuole, di questa pretesa, sono impliciti nella concezione cristiana: S. Paolo l'aveva già affermato nei termini più chiari : "Non sapete che i Santi giudicheranno il mondo? E se dovete giudicare il mondo, non siete forse degni di giudicare questioni di così poca importanza? Non sapete che giudicheremo gli Angeli? Quanto più non dovremo giudicare cose di questo mondo?" (1Cor 6, 2-3). La storia del Cristianesimo è la storia d'un progresso, d'una lotta per la conquista di questo potente diritto che fece della Chiesa non soltanto una forza sociale immensamente più dinamica d'ogni altra organizzazione religiosa presente e passata, ma influenzò tutta la civiltà occidentale, improntando di sé sfere di pensiero e d'azione lontanissime da ogni influenza diretta della religione. Gli effetti di questa rivoluzione spirituale infatti non si sentirono appieno, se non dopo la fine del Medio Evo, quando la Cristianità aveva già perduto la sua unità.

La nascita della democrazia occidentale, come la nascita dell'Umanesimo occidentale, non fu quindi in realtà la creazione d'una nuova cultura secolare, ma il prodotto di secoli e di generazioni che avevano arato la vergine terra dell'Occidente e gettato il seme sulla faccia della terra. Al seme si mescolava spesso la zizzania, spesso era soffocato dai pruni, o cadeva e periva in terreno sterile: ma il raccolto fu ricco, ed il mondo ne vive ancor oggi.

Dobbiamo quindi renderci conto che quando diciamo che si combatte per la democrazia, non vuol dire che si combatte solo per certe istituzioni, per certi principii politici; e meno ancora per la grigia prosperità dell'industrialismo moderno, figlio del liberalismo economico dell'ottocento. Come diceva il Cardinale Liénart oggi dobbiamo difendere una civiltà umana e cristiana costruita con infinita pazienza : un'opera cui hanno contribuito per secoli e secoli molte razze, molti popoli e scuole di pensiero diverse.

E nonostante i conflitti che hanno accompagnato il suo sviluppo, quest'opera è stata opera d'unità; perché Cristianesimo ed Umanesimo e libertà sociale non sono idee contrastanti che abbiano dominato successivamente l'anima europea, ma hanno un'affinità spirituale; celata agli occhi dei riformatori e dei rivoluzionari, accecati dal fumo della lotta, ma ben visibile ora che tutti sono ugualmente minacciati da forze inumane che non hanno alcuna parentela con quegli ideali.

Oggi il grande pericolo è il non capire chiaramente questa comunità spirituale. La cultura europea è passata attraverso un periodo d'individualismo, di "atomizzazione", che ha aperto la via all'ancor più terribile disgregamento nichilistico che oggi ci minaccia. E così, in questo naufragio dell'Europa, è troppo facile che ogni gruppo o partito tenti di scaricare la colpa del disastro sullo spalle altrui, o addirittura lo sfrutti a proprio vantaggio : come, nel dissolversi dell'Impero Romano, ogni esercito provinciale usciva in campo a far valere i propri interessi e trovava nel pericolo comune un’occasione per arricchirsi. I nemici dell'Europa sono consci di esser deboli, e sono pronti a sfruttare le divisioni e i dissensi tra partiti e sette e classi e scuole di pensiero, per produrre un'atmosfera d'universale diffidenza e disgregamento, che prepari la via alla loro opera di distruzione.

Da questo deriva la gravità della situazione presente. La democrazia occidentale non sta combattendo soltanto una battaglia su due fronti contro i totalitarismi rivali della destra e della sinistra, ma allo stesso tempo è minata alle basi da un processo di disgregamento che inaridisce le nostre fonti di vita e ci toglie la forza di resistere.

È inevitabile che si tenti d'ovviare a questi pericoli, concentrando tutti i nostri sforzi sulla scala più vasta possibile, mobilitando tutte le energie della nazione, militari, economiche o psicologiche, per la causa comune.

Vuol forse dire che la democrazia non può sconfiggere il totalitarismo senza diventare essa stessa totalitaria? Il grande problema per gli stati democratici è quello di conciliare le esigenze dell'organizzazione di massa e della potenza meccanizzata che trova la sua massima espressione in una guerra totale, con i principi della libertà, della giustizia e dell'umanità, da cui essi traggono la loro forza spirituale. Sembra che esista una contraddizione intrinseca tra la tecnica totalitaria, versione moderna dell'antica tradizione dell'assolutismo basato sulla disciplina militare, sull'oppressione del pensiero e sulla polizia segreta, ed il sistema democratico in cui il potere esecutivo è limitato dalla discussione, dalla cooperazione volontaria e dalla libertà dell'opinione pubblica ; e per quanti piani e progetti si facciano, questa opposizione rimane insuperabile. Ma nessuno ha ancora dimostrato, che un sistema più malleabile del rigido assolutismo non possa far fronte allo stato totalitario ed ai nuovi metodi di guerra.

E’ vero che la violenza organizzata che ha nome di guerra è diametralmente opposta all'ideale d'una libertà personale compatibile col rispetto della legge e ad un governo democratico basato sulla discussione. Ma la guerra, in senso assoluto, è altrettanto diametralmente opposta al Cristianesimo, anzi, ad ogni forma di vita civile, perché la guerra è barbarie, e " le nazioni che si dilettano di guerra", " gentes quae in sua feritate confidunt ", erano per l'antichità cristiana le nazioni " barbare" per eccellenza, rappresentanti di un'idea sociale contraria a quella intrinseca dell’ordine cristiano.

Più e più volte l'esistenza del Cristianesimo fu minacciata da questa barbarie esterna, che spesso infettò la stessa società cristiana collo spirito di violenza brutale e colla cupidigia di conquista. Ma il Cristianesimo, sopravvisse alle età tenebrose cui unica legge era la spada; e le nazioni che avevano accettato il vangelo della pace o veneravano la Croce di Cristo si dimostrarono più forti degli adoratori del dio della guerra.

E così forse avverrà anche nel conflitto tra la nuova barbarie che sacrifica ogni valore umano alla conquista del potere e la democrazia occidentale, erede della Cristianità. Se la democrazia manterrà il suo valore spirituale, e non si demoralizzerà o disgregherà, né una sconfitta militare né l'organizzazione necessaria a conquistare la vittoria potranno distruggerla. Ma questo non è compito facile.

Da più di due secoli l'anima della civiltà occidentale è straziata dal conflitto intestino tra religione e razionalismo, come nei secoli precedenti era straziata dal conflitto tra Cattolicesimo e Protestantesimo. Questo conflitto che ha diviso il mondo moderno non è stato realmente un conflitto tra le forze religiose ed antireligiose della nostra civiltà, ma tra due religioni rivali : il Cristianesimo tradizionale da un lato, e, dall'altro, una religione laica del progresso umano che ha suscitato una fede non meno entusiastica, una speranza ed un amore dell'umanità non meno sterminati di quelli suscitati da una qualsiasi altra rinascita religiosa. Tutti i movimenti " progressisti ", l'Illuminismo, il Liberalismo, la Democrazia, l'Umanitarismo, il Socialismo, si schierarono ai fianco della nuova religione, mentre i " reazionari ", i difensori del vecchio ordine, realisti, tradizionalisti, conservatori, s'unirono alla difesa del Cristianesimo tradizionale intorno alla Chiesa visibile.

Questo schieramento di forze fu più chiaro tra i popoli cattolici, specialmente nell'Europa meridionale, e meno chiaro tra i Protestanti e specialmente in Inghilterra, perché fra i Tory della High Church e gli Unitari c'erano infinite sfumature d'idee religiose. Ché anzi, la forza motrice del liberalismo politico inglese era il Nonconformismo, rigidamente conservatore e tradizionalista nel suo aspetto strettamente religioso. Tuttavia perfino in Inghilterra e negli Stati Uniti i capi intellettuali della religione del progresso, quali Bentham ed i due Mill, Robert Owen e Herbert Spencer, Thomas Huxley e John Morley, erano nemici del Cristianesimo tradizionale e più o meno strettamente in contatto coi Liberali ed i Socialisti del Continente.

Ma nell'ultimo trentennio questo schieramento di forze non rispecchiava più la situazione. Era sorta una nuova potenza, nemica sia degli ideali umanitari e liberali che animavano gli apostoli del progresso, sia della fede storica cristiana. II mondo è stato lento a comprendere la natura di questa potenza tanto diversa dalle dottrine religiose e politiche del passato. Essa trae la sua forza non da idee o da credenze, ma dalla loro negazione, dalle cieche energie della distruzione, nascoste nel fondo dell'anima umana, ed erompenti ora da sotto la crosta della civiltà come un vulcano che si ridesta solo per devastare:

Wie ein vulkanischer Berg lag er im Weiten. Manchmal

Flammend. Manchmal im Rauch. Traurig und góttlich.

Und nun aufstand er : steht; hóher

Als stehende Tùrme, hòher

Als die geatmete Luft unseres sonstigen Tags.

Steht. Uebersteht. Und wir? GIuhen in Eines zusammen

In ein neues Geschopf, das er todlich belebt. (1)

È particolarmente difficile per un inglese comprendere l’importanza di questa " rivoluzione distruttrice ", (come direbbe Rauschnigg), perché il nichilismo è un fenomeno tanto lontano dal nostro temperamento e dalle nostre tradizioni nazionali, che non vorremmo neppure accettarne la rappresentazione veristica come di un incubo metafisico, datane da Dostoievskij e da Nietzsche. Resta però il fatto che la rivolta contro 1'idealismo morale, contro la cultura umanistica e contro la democrazia liberale non è meno reale della Riforma Protestante o della Rivoluzione Francese; e come avvenne di questi due movimenti, che, legati dapprima ad un solo paese, influenzarono poi tutta la cultura occidentale, così avviene della nuova " antireligione ". Come ha chiaramente mostrato i1 Dott. Borkenau in un suo recente volume, (2) il "Nazionalsocialismo, come il Bolscevismo, non è che la particolare manifestazione nazionale d'uno stato d'animo mondiale". In Germania ha assunto un carattere militare ed aggressivo in seguito alla straordinaria violenza e rapidità della dissoluzione dell'ordine ottocentesco dopo la rovina dell'Impero nel 1918; e per il fatto che in Germania l'ordine del secolo XIX, col suo Liberalismo parlamentare e col suo individualismo economico, era un fatto superficiale a paragone della tradizione militare che in Prussia, molto più che in qualsiasi altra parte d'Europa, aveva creato uno Stato colla guerra e per la guerra. In Germania era, quindi, più facile che altrove aggiogare alla volontà di potenza rivoluzionaria tutte le forze dello stato e scagliarle come una valanga all'aggressione contro i paesi stranieri. Ed anche il carattere pagano dell'etica nazista ha una base storica : perché mentre la Germania occidentale era fin dal principio parte del corpo cristiano, la Germania orientale e specialmente le province baltiche non soltanto si convertirono solo più tardi al Cristianesimo, ma in seguito a guerre ed a violenza. La mancanza d'unità e d'equilibrio caratteristica del temperamento tedesco ha quindi radice nelle origini storiche e razziali di quella nazione. La spada non riuscì ad esorcizzare perfettamente lo spirito dei vecchi dèi, che abita ancora come un incubo nel fondo oscuro dell'anima tedesca.

(1) R. M. Rilke, Funf Gesange (Agosto 1914).

(2) Franz Borkenau. The Totatitarism Enemy. Faber & Faber.

In Occidente, invece, il paganesimo è perito di morte naturale, senza lasciare traccia. Quando si chiamano " pagani " i fedeli della nuova religione del progresso, la parola ha un significato diverso. Locke e Franklin, Rousseau e Lamartine, J. S. Mill e Guizot e de Tocqueville erano molto più lontani dal paganesimo che non i loro antenati medioevali. Pur credendo di non credere, erano ancora in certo senso cristiani. Ma oggi quel Cristianesimo " sublimato " è caduto in discredito, vittima d'una critica ancor più aspra e più concentrata, che non il Cristianesimo dogmatico. E’ comprensibile che i Cristiani devoti abbiano accolto questo cambiamento, come un segno di rinascita religiosa, di risveglio della fede. Nulla di tutto ciò, la verità è semplicemente che il movimento disgregatore, diretto da principio contro il Cristianesimo delle istituzioni e del dogma, si è ora concentrato contro lo spirito e la morale cristiani e contro l'idealismo umanitario che ne era derivato. Questo non fa meraviglia, poiché il Cristianesimo delle istituzioni ha da lungo tempo cessato dì dominare la società e la cultura, mentre il Cristianesimo "sublimato" dei liberali e degli umanitari era, malgrado il suo carattere vago e disorganizzato, la religione di fatto della democrazia occidentale, ed esercitava un'influenza concreta sulla coscienza sociale. I Cristiani non hanno così ragione alcuna d'essere soddisfatti o indifferenti di fronte alla sconfitta di questo spirito liberale. La causa di Dio e la causa dell'uomo sono una causa sola.

I Cristiani avevano buoni motivi per condannare il distacco della giustizia, della libertà e della ragione dalla loro base, cioè dalla fede e dalla pratica del Cristianesimo. Ma quegli ideali non sono vuote astrazioni: sono le fondamenta della vita umana, minate le quali tutto l'edificio della civiltà si dissolve e si disgrega nel caos.

III . - Origini religiose del conflitto europeo

IL FATTO fondamentale che si nasconde dietro la guerra presente e che ha più d'ogni altro contribuito a produrla è il disgregamento della cultura occidentale. Non vogliamo dire che la nostra civiltà sia minacciata da un'età nera simile a quella che minacciava il mondo romano al tempo delle invasioni barbariche; ma piuttosto c'è il pericolo d'un disgregamento dall'interno quale Roma conobbe secoli prima della venuta dei barbari, quando più fioriva la sua potenza materiale. Possiamo ben comprendere oggi le parole premesse da Tacito alle " Storie " :

"L'opera a cui m'accingo è ricca di rovine, terribile di lotte, straziata da rivolte, feroce sin nella pace... profanati i riti, adulterii fra i grandi, esuli in fuga che affollano il mare, scogli macchiati d'assassini!... dovunque odio e terrore, schiavi e liberti corrotti a tradir padroni e protettori; e chi non aveva nemico, cadeva vittima dell'amico" .

Ma se quel processo di dissoluzione trova una spiegazione relativamente facile nell'impossibilità d'adattare alle condizioni di un impero mondiale le libertà nate nell'ambito ristretto della città-stato, i nostri problemi sono molto più complessi. C'è però fra le due situazioni un certo parallelismo : come la cultura e le libertà politiche del mondo antico erano il prodotto della città-stato e della classe dei cittadini, così la cultura occidentale e la sua libertà sono il frutto delle classi privilegiate o cittadine, viventi nell'ambito delle società relativamente limitate del sistema politico europeo, costituito dalle monarchie nazionali occidentali, dalle città-stato italiane e dai principati tedeschi. Ed i nostri problemi nascono dalla difficoltà d'adattare al nuovo mondo d'immensi stati di massa gl'ideali culturali e le istituzioni politiche sviluppatesi in quell'ambito ristretto.

In ambedue i casi si riscontra così la medesima tendenza della cultura a peggiorare in qualità ed allargarsi in mole, e la tendenza delle tradizioni politiche più crude e primitive ad affermarsi a scapito di quelle più raffinate e civili. Il mondo antico tendeva generalmente a far risorgere le tradizioni dispotiche orientali contro lo spirito civico dell'Occidente; ed oggi vediamo similmente declinare la democrazia e rinascere l'assolutismo nell'Europa centrale ed orientale dove un tempo avevano dominato autocrazie o monarchie militari.

Da questa analogia si potrebbe dedurre che l'Europa occidentale è destinata a cadere preda delle autocrazie totalitarie in progressivo aumento ed altrettanto progressivo peggioramento. Io personalmente non sono fatalista : credo che analogie come questa illuminino certamente una situazione storica, ma non rappresentino leggi meccaniche, fatali e deterministiche. Per di più, i contrasti insiti nella nostra civiltà, per quanto esagerati ed aggravati dalla propaganda razzista e nazionalista, sono molto più superficiali dì quelli che dividevano i popoli antichi. Il loro mondo era composto d'elementi essenzialmente disparati ; le antiche monarchie orientali, le città-stato del Mediterraneo e le tribù dell'Europa occidentale erano state unite a forza dalla potenza militare di Roma, ma non avevano né basi spirituali comuni né comuni origini; le loro radici erano in mondi differenti. La situazione del mondo moderno e invece interamente diversa: i popoli e gli stati d'Europa. si sono sviluppati per mille anni in un ambiente comune ed hanno attinto ad un medesimo patrimonio culturale : educati alla scuola del Cristianesimo, nonostante ogni disobbedienza ai suoi insegnamenti ed alla sua disciplina, conservano ancora l'impronta ed un ricordo semiconscio della passata unità spirituale.

Ma se così è, perché il Cristianesimo non è il centro di convergenza d'una nuova unità occidentale? Perché sembra impotente a resistere alle forze che straziano l'Europa?

La ragione è che la religione stessa è oggi priva d'unità e perciò distruttrice d'unità. La Cristianità era divisa ancor prima che la civiltà europea divenisse laica, anzi, lo stato laico liberale pretendeva di risolvere il problema del contrasto religioso che aveva gettato in braccio alla guerra civile quasi tutti i popoli d'Europa. E la reazione contro l'Illuminismo ed il fallimento dello stato liberale non ci hanno riportato all'età dell'unità religiosa, ma all'età delle guerre di religione.

Dietro ai conflitti teorici che dividono il mondo moderno, stanno i vecchi conflitti teologici, che, sebbene ignoti ai due ultimi secoli di progresso materiale, hanno lasciato nell'anima europea un trauma profondo. Quanto più si riesce a mettere in luce queste oscure fonti d'incomprensione e di conflitto, tanto più vi sarà speranza d'una riconciliazione spirituale, unico fondamento di pace e d'ordine internazionale ; così che il problema della riunione dei Cristiani è legato molto più strettamente di quanto non si suol credere alla causa della pace mondiale.

Bisogna ora esaminare tre problemi: lo scisma tra il Cristianesimo orientale e quello occidentale, il contrasto tra l'Europa cattolica e quella protestante, ed infine le divisioni interne del Protestantesimo stesso.

Il primo di questi problemi è relativamente facile e chiaro. La divisione religiosa tra Oriente ed Occidente coincide con una nettissima divisione culturale tra Europa orientale ed occidentale. II Cristianesimo ortodosso della Russia e dei Balcani costituì per secoli un mondo chiuso all'Occidente latino, e tutte le correnti intellettuali, sociali e religiose vi percorrevano sentieri distinti da quelli dell'Occidente. Per il russo ortodosso del tardo Medio Evo l'Occidente cristiano non esisteva e, dopo la caduta di Costantinopoli e la conquista dei Balcani da parte dei turchi, nulla esisteva se non la Russia stessa, la Terza Roma. "Sappi, mio devoto e grazioso Zar", scriveva il monaco Filofei ad Ivan III, " sappi che tutti i regni cristiani sono fusi nel tuo unico regno, che due Rome sono cadute ; ma la terza rimane in piedi, e non ve ne sarà una quarta. Nessuno erediterà il tuo regno cristiano ".

Così dietro il mondo chiuso delle Repubbliche Sovietiche, dietro la sua assoluta identificazione colla dottrina comunista e la sua sottomissione assoluta al dittatore comunista, stanno il mondo chiuso della Russia ortodossa, la sua assoluta identificazione colla Chiesa ortodossa e la sua assoluta sottomissione allo Zar ortodosso. Berdyaev, e non solo lui, ha chiaramente mostrato come l'una Russia si trasformò nell'altra in seguito alla vittoriosa espansione della cultura occidentale ed al conflitto tra la Russia poliziesco-militare dell'ottocento ed il vecchio ideale della Santa Russia, ancor vivo nel fondo dell'anima popolare. La tensione non si risolse se non quando lo stato stesso fu conquistato dal messianismo laico della " intellighenzia " rivoluzionaria che creò così la prima e più perfetta forma del nuovo assolutismo totalitario. Perché non si può ripetere a sufficienza che l'idea totalitaria non è d'origine fascista o italiana o tedesca. Fu una risposta caratteristicamente russa, possibile solo dopo i secoli di segregamento culturale e d'unità politico-religiosa da cui nacque la coscienza nazionale russa.

Nel Cristianesimo occidentale, d'altro lato, sia lo sviluppo religioso sia quello culturale sono infinitamente più complessi e multiformi. Qui le divisioni religiose sono di data relativamente recente ed in gran parte d'Europa sono confuse ed indistinte. La nostra civiltà occidentale e infatti caratterizzata da una notevole mancanza d'uniformità religiosa ed i problemi delle minoranze religiose hanno costituito nel passato una questione molto più scottante che non i più serii problemi odierni di minoranze razziali.

C'è, è vero, il Cattolicesimo latino uniforme dell'Italia, della Spagna, del Portogallo e del Sud America, e c'è il solido blocco del Luteranesimo scandinavo ; ma i paesi che sono stati alla testa dello sviluppo culturale moderno, la Francia e la Germania, la Svizzera ed i Paesi Bassi, il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno tutti avuto più o meno i loro contrasti religiosi. In alcuni casi, come in Francia, la minoranza religiosa sopravvisse a fatica contro secoli d'ostracismo e di persecuzione. In Germania ed in Isvizzera il paese era suddiviso territorialmente in una scacchiera di confessioni religiose rivali; mentre in Inghilterra ed ancor più negli Stati Uniti il sistema delle sette dominava sempre più, fino a che la religione divenne questione personale, dipendente dall'arbitrio individuale. Storici e sociologi non hanno fino ad ora considerato al loro giusto valore i problemi derivanti da questa frammentarietà religiosa in una società di tradizioni culturali comuni.

E’ impossibile trattare qui tutti questi problemi, sia pure sommariamente, ma voglio accennare almeno alle conseguenze sociali del dissidio tra le due principali correnti religiose protestanti, perché portavano in sé i semi del conflitto spirituale in cui si dibatte oggi la civiltà occidentale, ed hanno avuto conseguenze storiche incalcolabili, malgrado la poca profondità delle differenze teologiche, ora quasi ignorate.

Nulla infatti è più strano del modo in cui Luteranesimo e Calvinismo, pur fondamentalmente d'accordo nel campo teologico, hanno prodotto o contribuito a produrre concezioni sociali completamente differenti ed hanno dato vita a tradizioni politiche opposte. Perché mentre il Luteranesimo adottò quasi dall'inizio un atteggiamento di passività di fronte allo stato ed accettò una concezione eminentemente conservatrice e perfino patriarcale dell'autorità politica, il Calvinismo fu una delle forze rivoluzionarie della storia d'Europa e d'America e costituì l'elemento morale dinamico della grande espansione della cultura borghese dal XVI al XIX secolo.

Come si può spiegare questo contrasto? Esso è certo largamente dovuto a circostanze accidentali che mentre restringevano l'ambito del Luteranesimo agli stati territoriali statici di Germania e di Scandinavia, portavano il Calvinismo a contatto colle nascenti comunità commerciali dell'Olanda e dell'Inghilterra. Ma questo non è tutto; perché il contrasto era già presente nel pensiero e nella personalità dei due protagonisti. Il quietismo politico di Lutero non è semplicemente il risultato del suo ambiente sociale; nasce dalle radici più profonde della sua esperienza religiosa, come appare chiaramente dai seguenti passi famosi che tolgo da quella immensa miniera di materiale riguardante questo problema che è lo " Insegnamento sociale delle Chiese cristiane " del Troeltsch: Perfino un bambino, scrive Lutero, comprenderebbe da queste parole (di Nostro Signore) che è legge cristiana non resistere al male, non brandire la spada, non difendersi, non vendicarsi, ma rinunciare al proprio corpo ed ai propri averi, abbandonandoli a chiunque voglia prenderseli. Possediamo abbastanza se possediamo il Signore, che, fedele alla Sua promessa, non ci abbandonerà: "Soffri, soffri, croce, croce". Questa è la legge del Cristiano, questa e nessun'altra.

Se soffri violenza od ingiustizia, devi dire che quello è il governo di questo mondo. Questo devi aspettarti se vuoi vivere nel mondo; non riuscirai mai a far sì che le cose vadano altrimenti. Se vuoi vivere tra i lupi, devi urlare come loro. Qui in questo mondo abitiamo in una locanda di cui è padrone il Diavolo, padrona la mondanità e servitori passioni malvagie d'ogni sorta; cioè i nemici del Vangelo. Così, se ti si ruba il denaro, o ti si offende l'onore, ebbene, questo è ciò che devi aspettarti in questa locanda.

E’ interessante leggere anche il commento del Brandenburg a questo passo :

In nessun altro luogo vedo espresso più chiaramente che in questo quadro l'elemento essenziale del pensiero di Lutero. Il monaco cerca d'evitare colla fuga il servigio del padrone diabolico, la Chiesa combattente cerca di strappare il dominio di mano all'alberghiere coi mezzi esterni dell'autorità e di conquistare la direzione dei servitori. Lutero sperava dapprincipio convertire gl'inquilini e di riempirli di spirito cristiano; ma ora ha rinunciato a quella speranza, pur desiderando, nonostante tutto, di rimanere in quella casa terribile. Perché egli "non vi sta di sua propria volontà, ma per esservi stato posto dal suo Dio".

Perciò desidera di farvi il suo dovere, di, lasciarvisi battere e maltrattare, se così piace al malvagio padrone ed ai suoi servitori; ma non si muoverà dal suo posto, fino a che il suo Padrone non lo richiami, e considererà una grazia speciale ogni ora buona che vi potrà godere (1).

(1) E. Troeltsch, The Social Teaching of the Christian Churches and Gronps (Traduz. Ingl.) II, pp. 867 s.; ed E. Braudenburg, Luthers Anschauung von Stadt una Gesellschaft, p. 5.

Se si isolano questi ed altri passi analoghi, è facile attribuire a Lutero un estremo pacifismo ed " oltramondanismo ", simile ai quello che troviamo in alcuni dei primi Quaccheri. Ma il suo pensiero ha un'altra faccia: malgrado la sua opposizione più che agostiniana fra Chiesa e mondo, Lutero non ha mai considerato lo Stato come cosa malvagia, né ha criticato l'autorità temporale. Egli stesso dice : " Ho scritto sull'autorità secolare cose migliori e più utili d'ogni altro maestro dai tempi degli Apostoli in poi, ad eccezione, forse, di Sant'Agostino " (1). Ancor più importante è ricordare quanto valga per Lutero l'accettazione da parte d'ogni individuo del proprio posto nell'ordine sociale, che è per lui il mezzo voluto da Dio per la santificazione dell'uomo. Le parole del Catechismo della Chiesa Anglicana " di sottomettermi umilmente e rispettosamente a tutti quelli che sono migliori di me e di fare il mio dovere nello stato della vita a cui piacerà a Dio di chiamarmi ", sono parole prettamente luterane in ispirito. C'è infatti una somiglianza notevole tra la vecchia dottrina anglicana del carattere sacro dell'autorità, del Diritto Divino dei re e, correlativamente, dell'obbedienza passiva da parte del suddito, e quella luterana tedesca del patriarcalismo conservatore, benché questa abbia durato più a lungo della prima, ed abbia avuto un carattere feudale molto meglio definito.

(1) Krieg wider die Turken, ediz. di Berlino, IV, 1, 441.

Ma c'è un elemento caratteristico del solo Luteranesimo, e specialmente di Lutero stesso ; la tendenza istintiva all'aggressione ed alla violenza, così tipica negli scritti polemici di Lutero, e specialmente in quelli contro i contadini ribelli : "Non si può ragionare con un ribelle, bisogna convincerlo coi pugni fino a fargli sanguinare il naso " ; "è meglio uccidere tutti i contadini piuttosto che lasciar morire i principi ed i funzionari, perché i villani impugnano la spada senz'autorità divina ".

Si possono forse attribuire queste parole allo sfogo violento di un'anima passionale. Ma c'è di più perché il culto del potere ha in Lutero ragioni religiose, quasi mistiche. Secondo lui ogni potere procede da Dio e l'autorità dello Stato deriva dal Diritto Naturale e dalla volontà divina; ma questa legge non è per lui legge razionale, bensì la potenza misteriosa e divina che governa questo mondo malvagio, " il regno dell'ira e della punizione ". " In questo regno non vi è che punizione e resistenza, giudizio e condanna, uso della forza contro il cattivo e protezione del buono. Ecco perché questo regno possiede e brandisce la spada ".

Può quindi dire persino che " la mano che impugna la spada secolare non è mano d'uomo, ma di Dio. E’ Dio, non l'uomo, che impicca e spezza le membra alla tortura, che decapita e sferza. E’ Dio che combatte le guerre " (1).

(1) Ob Kriegsleute selig werden konnen. XIX, 626 (Ediz. di Weimar).

Questa tradizione luterana, col suo strano dualismo di pessimismo e di fede, di " oltramondanismo " e d'affermazione del mondo, di quietismo passivo e di cruda accettazione del regno della forza, è stata la molla più potente nella formazione dell'anima e della morale sociale tedesca, ed ha notevolmente contribuito allo sviluppo dell'idealismo tedesco. Su di essa si basano l'esaltazione hegeliana dello stato prussiano come espressione suprema dello Spirito Assoluto, la concezione ugualmente hegeliana della storia come manifestazione di Dio nel tempo e, quindi, l’identificazione tra Weltgeschichte e Weltgericht (storia del mondo e tribunale del mondo). Anche qui troviamo il medesimo culto della forza che culminò nei discepoli dello Hegel, ed ispirò il famoso saggio di Belinsky sulla battaglia di Borodino, che tanto infiammò i cuori della "intellighenzia " russa tra il 1840 ed il '50. Ma quella tradizione luterana influenzò ancor più profondamente e più direttamente il pensiero politico tedesco, dove si fuse cogli elementi cattolici della Rinascenza Romantica per produrre il nuovo conservatorismo prussiano di F. J. Stahl e di Bismarck.

Nel campo politico il culto luterano della forza e la sua " legge naturale dell'irrazionalismo " si trasformano nel culto del militarismo e d'una Machtpolitik amorale e sopramorale. Per questo Troeltsch vede nella " restaurazione del Luteranesimo prussiano-germanico uno degli avvenimenti più importanti della storia sociale " del secolo XIX :

A fianco della politica internazionale della Restaurazione cattolica e, nonostante le grandi differenze, strettamente legato con essa in rapporti ora amichevoli ora ostili, il Luteranesimo sta al centro dei problemi più difficili e più gravi di conseguenze per la vita della Germania e contribuisce ad allargare l'abisso tra le varie forze che promuovono la causa della democrazia e del progresso, un abisso in cui precipitano e s'annullano tutti i tentativi di conciliazione. Perché la speranza di superare l'abisso con un programma cristiano-sociale era in Germania un nobile sogno idealistico, ma non più che un sogno rapidamente deluso. (1)

(1) Troeltsch, Social Teaching of the Christian Churches (Trad. Ingl.) II, p. 576.

Tutta questa tradizione ed il pensiero e gli ideali che ne derivarono sono completamente ignorati in Inghilterra; e questa è, secondo me, una delle cause più profonde del conflitto e dell'incomprensione che dividono oggi la civiltà occidentale. Perché dietro alla democrazia occidentale sta il mondo spirituale del Calvinismo e delle Chiese Libere, con idee politiche e sociali totalmente diverse da quelle del mondo luterano; quello, molto più del Luteranesimo, ha contribuito a formare ciò che chiamiamo civiltà occidentale o civiltà, senz'altro, ed è legato con questa molto più strettamente.

Questa divergenza si manifestò a pieno solo col passare dei secoli, ma non fu semplicemente il risultato di contingenze storiche, radicata com'era nelle origini stesse delle due confessioni e nelle personalità dei fondatori. Questa tesi sembra, a prima vista, assurda, perché l'insegnamento di Calvino e quello di Lutero s'assomigliano per il loro pessimismo sulla natura e la volontà umana, per lo " oltramondanismo ", per l'esaltazione del potere divino, e per la loro arbitrarietà. Ma tutti questi aspetti furono trasformati dall'intenso spirito d'attivismo morale caratteristico di Calvino e del Calvinismo. Calvino era l'organizzatore ed il legislatore, severo, logico, inflessibile nei suoi propositi : perciò chi ispirò al Protestantesimo la volontà di dominare il mondo e di trasformare società e cultura, non fu Lutero, ma Calvino. Così, benché si sia vista, nel Calvinismo molto più che nel Luteranesimo, l'antitesi al Cattolicesimo; quello gli si avvicina assai più di questo nell'affermazione dell'indipendenza e della supremazia del potere spirituale, in cui continua la tradizione cattolica medievale e quella del movimento riformatore gregoriano, in misura ancor maggiore dello stesso Cattolicesimo della Controriforma.

In un'epoca in cui il Papato era dipendente dalle monarchie asburgiche ed i Cattolici accettavano le teorie dell’obbedienza passiva e del diritto divino dei re, i Calvinisti accettavano il diritto divino del sacerdozio (1) e dichiaravano che la "Chiesa era la base del mondo" e che i re avevano il dovere di deporre di fronte ad essa le loro corone, e di leccare la polvere dei suoi piedi (2). Ma queste pretese teocratiche non erano gerarchiche ed impersonali come nella Chiesa medievale: erano basate su un profondo individualismo nato dalla certezza della " elezione" e dal dovere dell'individuo cristiano di cooperare alla realizzazione del piano divino contro un mondo peccatore ed ostile. Il Calvinismo era cosi ad un tempo democratico ed aristocratico; aristocratico in quanto i " santi " erano una minoranza eletta, scelta di fra la massa dell'umanità caduta, ed infinitamente più alta dei "figli del mondo"; ma democratico in quanto ognuno era direttamente responsabile di fronte a Dio che " non guarda in faccia nessuno ". Il Calvinismo è insomma una democrazia di santi ; santi eletti da Dio, ma in certo senso eletti anche da se stessi, perché il testimonio decisivo dell'elezione è la coscienza dell'individuo.

(1) L'affermazione del diritto divino.

(2) Cartwright, Replye to an answere (1573), p. 180 (in J. W. Allen, Political Thought in the XVI Century, p. 221, 1928).

Questi concetti della "Repubblica sacra" e, della missione cosmica dei santi non trovano però completa espressione nel Calvinismo di Ginevra, ma nel Protestantesimo d'Inghilterra e d'America. Perché in Inghilterra la tradizione calvinista pura si fuse con quella delle sette anabattiste ed indipendenti, e ne venne un nuovo movimento, religioso e politico ad un tempo, che segna il primo apparire d'una democrazia genuina nel mondo moderno. L'ispirazione e la forza motrice di questo tentativo rivoluzionario di fare dello Stato inglese una " Sacra Repubblica", di " costruire Gerusalemme nella verde e bella Inghilterra", vennero dalla concezione calvinista dell'aristocrazia democratica dei santi.

Valga a dar luce su questo punto una predica pronunciata di fronte ai Comuni nel febbraio del 1045 da Thomas Goodwin, il più ortodosso calvinista tra i capi degli Indipendenti. La predica trattava dell’Interesse supremo degli stati e dei Regni ", e concludeva che "i Santi d’Inghilterra sono l’interesse supremo d’Inghilterra " :

Questo è il nostro grande attivo, anzi il vero interesse del regno in cui viviamo, la sua magna charta. E quando dico " santi ", non intendo un gruppo, un partito umano. Non sappiamo forse che la creatura nuova si trova sia fra i circoncisi, sia fra gli incirconcisi? alta fra gli uni come fra gli altri? E sarebbe sommo sacrilegio far differenza nel titolo di "santo", nel " partito divino ". Non occorre ch'io vi descriva il " santo ", perché la sua descrizione e la differenziazione tra uomo ed uomo è da quarant'anni e più in questo regno l'argomento principale delle prediche.

Tra tutti gli uomini che in questo regno sono chiamati gli "eletti ", voi, nobili ed onorevoli signori, siete chiamati e scelti per questa grande opera... Considerate il compito affidatovi da Dio. Siete i depositari del più ricco tesoro che Dio, per quanto io mi sappia, possiede in terra. I santi d'Inghilterra sono l'interesse d'Inghilterra: scrivete queste parole sulle vostre pareti, abbiatele dinanzi agli occhi, sempre, in tutti i vostri consigli, e non deviate da esse per alcun altro interesse, qualunque esso sia. Rispettate tutti i santi. Se volete salvaguardare pieno ed intero il vostro interesse, abbiate cura dei santi, grandi e piccoli.

Non però in parlamento, ma nell'esercito l’aristo-democrazia dei santi si manifestò più completamente. Essa costituisce la nota dominante dei Dibattiti dell’Esercito tenuti a Putney nel 1647, quando i delegati dei reggimenti assunsero la direzione degli affari, quali rappresentanti del popolo e dei santi, contro Re e Parlamento ; perché sia l'esercito sia Cromwell si consideravano il braccio esecutivo della " Sacra Repubblica ", chiamati con ispeciale vocazione divina a difendere i diritti di Dio e del popolo. Lo spirito che li animava traspare chiaramente dalle dichiarazioni di un accampamento presso Musselburgh, nella campagna di Scozia del 1650:

Quando s'iniziarono in queste due nazioni d'Inghilterra e di Scozia le grandi e meravigliose opere di Dio, noi sottufficiali e soldati dell'esercito inglese ora in Iscozia, eravamo tutti, o quasi tutti, uomini privati, senz'alcun interesse per le cose pubbliche e per gli affari di stato. Ma quand'è scoppiata la guerra civile abbiamo sentito dentro a noi una potente forza divina che ci spingeva a dare il nostro aiuto al Parlamento contro il Re, assolutamente certi in cuore ed in coscienza che Iddio ci chiamava ad operare per compiere ciò di cui Lo pregavamo incessantemente, cioè la distruzione dell'Anticristo e la liberazione della Sua Chiesa e del Suo popolo. Solo per questo ci siamo arruolati, pur ignorando la profonda politica degli statisti del mondo; e da quel giorno abbiamo sempre rischiato la vita, in prima linea, ed abbiamo assistito ai miracoli compiuti dal Signore, contro tutti i nemici di quest'opera di Gesù Cristo, che abbiamo visto accompagnarci dappertutto, e dappertutto appianarci le vie...

Permetteteci ora di dirvi che siamo convinti d'essere poveri ed indegni strumenti nelle mani di Dio, di cui Egli si serve per abbattere i suoi nemici e per salvare il Suo popolo... Sappiate, fratelli di Scozia, che non siamo soldati di fortuna, che non siamo servitori d'uomini; non abbiamo proclamato nostro Re Gesù Cristo, il Re dei Santi, soltanto per professione di fede, ma vogliamo sottometterci a Lui, accettare le Sue condizioni, ammetterLo all'esercizio della Sua autorità regale nei nostri cuori, e seguirLo dovunque vada, perché Egli ha stretto di Sua propria volontà un patto di grazia, con i Suoi poveri Santi. (1)

(1) Dichiarazione dell'Esercito Inglese ora in Iscozia dall'accampamento di Musselburgh, 1 agosto 1654; in Woodhouse, Puritanism and Liberty, pp. 474-6.

Questo trasferimento del concetto d'una " Sacra Repubblica " da un ideale ecclesiastico ad un principio d'azione politica rivoluzionaria non fu operato solo dagli estremisti settari quali i Battisti ed i seguaci della " Quinta Monarchia " : ma fu accettato dai principali teologici indipendenti quali i due Goodwin, da intellettuali come Vane e Milton e dai capi dell'esercito, Cromwell ed Ireton. John Goodwin, il grande apostolo della tolleranza religiosa, arriva al punto di paragonare lo spirito " cristianamente eroico " dell'esercito coll'esempio di "Nostro Signore Gesù Cristo, per sempre benedetto, che scese negli antri della morte per riportarne a salvezza il mondo perduto " (2). E questo segna il principio d'un nuovo mondo perché, come osserva il Troeltsch, il grande esperimento della Commonwealth di Cromwell, per quanto di breve durata, aprì la via, colla potenza dello slancio religioso, ad un tipo di civiltà basata sulla libertà della persona e della coscienza, diritto conferito all'uomo da Dio e dalla Natura, senza restrizioni. Questa connessione è ancor più chiara in America, dove il Calvinismo congregazionista della Nuova Inghilterra, parallela al Puritanismo indipendente dell'Inghilterra vecchia, sviluppatesi dalle medesime radici in ambiente diverso, condusse direttamente all'affermazione dei Diritti dell'Uomo nelle costituzioni degli Stati Nordamericani ed al sorgere della democrazia politica. Quello stesso spirito calvinista fece sorgere la nuova cultura borghese liberale d'Inghilterra, malgrado le complicazioni dovute alla catastrofe dell'esperimento di Cromwell ed alla parziale secolarizzazione dei suoi ideali in Locke e nella seconda rivoluzione inglese.

(2) Might and Right Well Met, citato do Woodhouse, o.c. p. 220.

Nelle grandi linee, è dunque impossibile negare l’importanza della tradizione calvinista della Chiesa Libera nell'evoluzione della democrazia liberale anglosassone, cosicché, come disse Troeltsch, la differenza tra gl'ideali politici d'un Gladstone o d'un Abraham Lincoln e quelli di Stahl e di Bismarck riflette le grandi differenze tra il pensiero continentale luterano e quello anglosassone, determinato o influenzato dal Calvinismo e dalle Chiese Libere. Il secondo è quindi basato sull'ideale della " Sacra Repubblica " che, per quanto secolarizzato nelle grandi nazioni civili, è ancora animato dal suo attivismo morale e dalla volontà di dominare e di riformare il mondo. Così la moderna fede nel progresso, nei diritti dell'uomo e nel dovere di conformare l'azione politica ad ideali morali deriva, in ultima analisi, malgrado altre influenze, dagli ideali morali del Puritanesimo e dalla sua Fede nella possibilità di realizzare in terra, per opera degli eletti, la " 'Repubblica Sacra"; mentre la combinazione tedesca dì realismo e di misticismo, di disciplina esterna e d'anarchia interna, così estranea alla nostra mentalità, deriva dalla concezione luterana di un'umanità strumento passivo dell'immensa potenza d'una natura irrazionale e d'una Grazia irresistibile.

Così le due forme principali di Protestantesimo rappresentano non soltanto due diverse idee della Chiesa e delle sue relazioni col mondo, ma anche due concezioni opposte del Diritto Naturale. La concezione luterana del Diritto di Natura nei suoi rapporti collo stato è un riconoscimento realistico dell'ordine concreto della società, prodotto dalla Provvidenza nel corso della storia, o, per usare le parole di Kaufmann e di Troeltsch, è il Diritto Naturale dell'irrazionalismo (1). Per Calvino invece il Diritto Naturale, che s'identifica, come nella concezione tradizionale, colla legge morale, è la norma a cui deve sempre conformarsi la condotta sociale ed individuale, e dipende in ultima analisi dalla volontà di Dio, rivelata alla ragione ed alla coscienza dell'uomo.

(1) Cf. Troeltsch II, p. 616.

Questa diversità vale ancor oggi, pur dopo questi tre secoli che hanno laicizzato e trasformato la cultura europea. Perché il conflitto tra la democrazia occidentale e la Germania nazista è, in fondo, un conflitto tra due concezioni opposte del Diritto Naturale, e quindi della moralità pubblica. Il moralismo anglosassone in politica internazionale e l'affermazione d'ideali etici umanitari sono per i tedeschi cose irreali, ipocrisia, e maschera d'un imperialismo egoistico; mentre per noi l'esaltazione tedesca della forza per la forza, la glorificazione della guerra, il disprezzo dei diritti individuali e degl'ideali umanitari sono cose irrazionali, immorali, anticristiane. Dove vive ancora anche se non intatta, la tradizione cristiana, rimane la possibilità d'una comprensione reciproca, come s'è visto nel caso di Bismarck e del suo amico. J. L. Motley, anglosassone tipico. Ma se scompare il Cristianesimo, l'abisso non ha fondo: e l'abisso odierno tra il neopaganesimo nazista ed il liberalismo o liberalsocialismo del mondo anglosassone.

Non abbiamo ancora parlato della tradizione religiosa su cui e da cui s'è sviluppata la cultura occidentale, e che ha contribuito più d'ogni altro fattore alla formazione della sua unità, spirituale e sociale. Il Cattolicesimo fu la matrice da cui emersero le due tradizioni religiose di cui abbiamo parlato. Per i Protestanti la storia sarebbe stata molto più semplice se, all'avvento della Riforma, il Cattolicesimo avesse cessato d'esistere.

Ma il Cattolicesimo non solo esiste, esso coesiste col Protestantesimo cosicché non c'è oggi una sola area culturale esclusivamente ed omogeneamente protestante. E non solo il Cattolicesimo, ma anche le dottrine contrastanti di cui abbiamo trattato, penetrano di là da qualsiasi frontiera, politica, nazionale e culturale.

Da un lato la tradizione politica cattolica in senso stretto, cioè il tipo storico dello stato cattolico, ha in comune colla tradizione luterana continentale lo spirito autoritario, il tradizionalismo conservatore e l’accettazione d'un ordine strettamente corporativo della società. D'altro lato essa è molto più vicina alla tradizione occidentale calvinista per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Chiesa, il primato del potere spirituale e soprattutto il Diritto Naturale. L'idea calvinista del Diritto Naturale è fondamentalmente identica a quella della filosofia cattolica, benché questa sia più razionalistica e quella più volontaristica. E nel pensiero politico del sedicesimo secolo c'è poi un curioso parallelismo tra la dottrina politica dei Gesuiti, Molina, Mariana e Suarez, e quella dei pubblicisti francesi ugonotti.

Lo stesso si dica della questione della sovranità del popolo in opposizione al diritto divino dei re : la protesta calvinista manifestatasi in pieno in Scozia ed in Francia piuttosto che a Ginevra è strettamente legata coll’insegnamento della tarda scolastica per mezzo di John Major (1) che fu maestro sia di Knox che di Buchanan, e la cui influenza si può ritrovare nel pensiero ugonotto, per esempio nelle Vindiciae contra Tyrannos.

(1) 1469-1550. Insegnò a Parigi ed a St. Andrews.

Questi elementi comuni spiegano la mutua influenza ed il fecondo incrocio di un'epoca più tarda, tra il pensiero politico delle società occidentali cattoliche e protestanti, per cui la moderna democrazia liberale non è stata il monopolio delle une o delle altre e non risale esclusivamente alle une o alle altre, giacché esse avevano una comune tradizione di Diritto Naturale su cui si potevano basare i Diritti dell'Uomo.

Il Cattolicesimo però aveva legami anche col mondo luterano, e quest'elemento comune emerse nel pensiero politico della Restaurazione. nata dall'azione reciproca d'elementi tedeschi e cattolici nell'ambiente romantico del principio del secolo XIX.

Oggi, colla decadenza della democrazia liberale, è logico che nei paesi cattolici si vadano riaffermando le tendenze dell'autoritarismo e del tradizionalismo politico, ma la tradizione cattolica è così imbevuta dei principi del Diritto Naturale, ch'essa non ne può mai astrarre. Anzi, la principale preoccupazione del Papato, da Leone XIII in poi, è stata di richiamare questi principi all'attenzione del mondo moderno ; e l'Enciclica di Pio XII sulla guerra addita nel moderno disprezzo del Diritto Naturale la fonte profonda da cui sono scaturiti tutti i mali caratteristici dello stato contemporaneo. Così la credenza nella base etica della vita sociale e politica, che fu l'ispirazione originaria della democrazia occidentale, trova la sua giustificazione nell'insegnamento della Chiesa Cattolica e nella tradizione cristiana, occidentale. Ad essa s'oppone oggi un diritto naturale amorale di razza e dì classe, ed un realismo machiavellico che mette la forza al vertice della scala dei valori politici e che non teme di ricorrere al tradimento più basso, alla più brutale crudeltà, pur di raggiungere i suoi fini.

Il centro di questa opposizione si trova negli stati dell'Europa centrale ed orientale, che, nonostante grandi progressi culturali, sono relativamente arretrati nell'evoluzione politica e mancano di quell'abito morale politico che i popoli occidentali s'acquistarono mediante un intenso allenamento all'autonomia. Questa ostilità ai principi cristiani si diffonde rapidamente in tutto il mondo moderno col deteriorare della cultura, conseguente allo sviluppo della civiltà di massa. Perché in politica, come in economia, la valuta più vile tende a cacciare quella più nobile; e questo vale soprattutto in tempo di guerra, quando tutte le forze e tutte le risorse dello stato moderno sono ordinate all'annientamento d'esseri umani; perché in guerra la tentazione di "urlare coi lupi" è spesso irresistibile. Per il Cristianesimo, però, la guerra non deve tendere a scatenare le forze del disordine, ma a dominarle con uno sforzo violento di volontà disciplinata. L'unica cosa che rende sopportabili i mali della guerra è la speranza della Pace ; e non soltanto della pace negativa che consiste nella cessazione delle ostilità, ma nella vera pace di libertà e di giustizia. L'anima occidentale non può adattarsi a lungo all'idea d'una società priva di libertà e di giustizia, in cui, come dice Sant'Agostino, non regna che il furto in grande stile. La civiltà occidentale, malgrado tutti i suoi errori e fallimenti, ha avuto profonda coscienza del valore della giustizia sociale: si può anzi dire che la forza motrice della democrazia occidentale sia stata la volontà dì creare una società che più che essere uno strumento di potenza, fosse basata su principi morali a difesa del debole contro i privilegi del forte, a difesa della libertà individuale contro l'illimitata libertà dello stato. Ecco perché la negazione moderna del Diritto Naturale riesce più fatale allo stato democratico, che era fondato su di esso, che non allo stato autoritario, che non aveva altra giustificazione che la sua potenza. E poiché il disgregamento della cultura occidentale è principalmente dovuto alla scomparsa del fondamento etico della vita politica ed internazionale, l'unico modo per ricostruirlo è quello indicato da Pio XII nell'allocuzione ai Cardinali alla Vigilia di Natale del 1939: una nuova crociata per ricondurre le nazioni dalle cisterne infrante degl'interessi materiali ed egoistici alla fontana viva della giustizia divina.

IV - Il fallimento del liberalismo

NELL'ULTIMO ventennio abbiamo visto rovinare in tutta Europa il governo costituzionale, e svanire con esso la libertà personale, la libertà economica e la libertà intellettuale; le tre libertà che il secolo XIX credeva ormai conquistate, o quasi, a possesso eterno dell’umanità.

Dobbiamo forse credere che quelle libertà fossero ombra vana e che, appena conquistate, si siano dimostrate prive d'ogni valore? O dipendevano così strettamente dalla società e dall’economia dell'ottocento che l'evoluzione culturale del novecento non potesse se non superarle ? O sono state tradite dai Liberali stessi ? E sono forse state sconfitte perché mancava ogni fede in principii eternamente validi?

Si può sostenere ognuna di queste spiegazioni, che chiameremo rispettivamente fascista, marxista e democratica. Ma la rovina del governo costituzionale e la rinascita del dispotismo sono troppo vere e troppo gravi per essere spiegate superficialmente ; esse significano una trasformazione di tutto lo spirito della nostra civiltà che non avrebbe potuto aver luogo se il processo di disgregamento non fosse stato profondo e complesso.

La gravità della situazione presente è dovuta soprattutto all'inettitudine dei liberali delle due e tre ultime generazioni. Prima di guardare innanzi a noi dobbiamo riconoscere gli errori passati e comprendere 1a vera natura delle forze che stanno trasformando il mondo.

Ma è difficile veder chiaro in questi problemi, per quella stessa confusione di pensiero che ha provocato tanta incomprensione del liberalismo sia tra i suoi seguaci sia tra i suoi oppositori. Bisogna definire i termini che si usano, perché nessuna parola, neppure la parola " democrazia ", è stata usata tanto vagamente ed a significare cose tanto varie e disparate, come " liberalismo ". Il termine " conservatorismo " è così strettamente legato alla politica di partito che non c'è nessun pericolo che si presti a molta confusione: mentre la parola " liberalismo " ha sempre avuto un contenuto teorico con un campo ben più vasto di quello della politica di partito. Quando, per esempio, il Professor Laski scrive la "storia del sorgere del liberalismo europeo", egli fa la storia d'una filosofia, d'una Weltanschauung, e tutta la storia del liberalismo come movimento politico inglese non rientra nel suo libro, che s'arresta, se non erro, alla Rivoluzione Francese. Dobbiamo quindi distinguere tra liberalismo come partito politico, come dottrina e come tradizione.

La tradizione liberale ha radici così profonde nella storia inglese ed americana da esserne quasi inseparabile, mentre l'ideologia liberale deve alla Francia forse tanto quanto all'Inghilterra; " Liberalismo " come nome di partito ebbe invece le sue origini in Ispagna e si diffuse in gran parte d'Europa e del Sud America, prima d'essere ufficialmente adottato fra dì noi. In questo senso, il liberalismo è naturalmente limitato ad un particolare ambiente politico e sociale; anzi ci sono tanti Liberalismi quanti partiti liberali, e quello che è liberalismo in un paese, può essere conservatorismo in un altro e rivoluzione in un terzo. Per esempio, in Inghilterra il liberalismo politico in senso stretto si formò verso la metà del secolo scorso sotto la guida di Cobden, di Bright e di Gladstone e fu strettamente legato al movimento del libero scambio ed al nonconformismo protestante. La fusione dell'interesse economico coll'idealismo religioso derivato dall'incontro di queste due influenze può sembrare ingenua all'epoca postmarxista, ma era essenziale a quel movimento. Quando, per esempio, Cobden scriveva : "Noi chiediamo soltanto quello che è in armonia coi più alti principii cristiani : comperare nel mercato più basso e vendere in quello più caro", egli era assolutamente sincero, ed era il fedele portavoce del pietismo utilitario a cui s'ispirava nel suo periodo classico il liberalismo inglese.

Il liberalismo francese era invece molto più intellettuale e dottrinario. Era opera soprattutto di filosofi e di letterati, ostili a Napoleone e da lui definiti in stile fascista come "una dozzina od una quindicina di metafisici che si dovrebbero annegare". Così il liberalismo francese fu da principio molto più sensibile di quello inglese al pericolo del dispotismo perché aveva visto come la Francia era passata dal dispotismo dello "ancien regime" al totalitarismo rivoluzionario giacobino e poi alla dittatura militare di Napoleone e sapeva quindi che questo pericolo non era monopolio o prerogativa né dell'estrema destra né dell'estrema sinistra. Perciò i grandi liberali francesi come Benjamin Constant, Maine de Biran, Royer-Collard e de Tocqueville sono in un certo senso più moderni e certamente più consci dei problemi politici fondamentali che non i liberali inglesi venuti dopo di loro. Essi si dimostrarono però migliori filosofi che politici, perché non avevano quella lunga tradizione di libertà politica e sociale che invece non mancava all'Inghilterra; e così costruirono un fabbricato troppo alto per le fondamenta, tanto che l'intero edificio crollò più e più volte sotto i colpi della rivoluzione.

Quanto al terzo paese sopra ricordato, il liberalismo di Spagna era ancor più lontano che non quello di Francia dalle tradizioni politiche e culturali della nazione. Il liberalismo spagnolo fu un prodotto d'importazione che in certi periodi godé di tutta la popolarità che spesso si concede ad una moda straniera. Ma per la stessa ragione suscitò contro di sé tutto il fanatismo nativo dell'anima spagnola. Questa situazione fu acuita dall'identificazione del vecchio ordine spagnolo colla Chiesa e dal carattere teocratico di cui l'Inquisizione aveva investito la monarchia spagnola. Così, sia nella Spagna sia nel Sud America, il liberalismo dovette presentarsi come una religione rivale del Cristianesimo ; e questa sua identificazione coll'anticlericalismo, oltre a lasciare un'impronta permanente nella storia della Spagna, ebbe ripercussioni anche in altri paesi, e soprattutto nell'Italia meridionale, dove il liberalismo nacque in relazione al movimento spagnolo, mentre in Lombardia ed in Toscana esso aveva un'affinità molto più stretta con quello francese.

Ho brevemente delineato le forme principali del liberalismo europeo, perché è inutile discutere il liberalismo in astratto, dimenticandone il contenuto e l’ambiente concreto, sociale e storico. In Inghilterra, per esempio, quando la dottrina del laissez faire ed il culto dell'individualismo economico caddero in discredito, ci fu una tendenza a fare del liberalismo un ideale astratto aggiogato in modo piuttosto malsicuro al carro d'un partito. E quando il carro del partito si spezzò, come avvenne quasi dovunque molto prima del sorgere del fascismo, quell'idealismo astratto non servì dì base solida a nessun'attività politica nuova.

Dobbiamo allora concludere col Dott. Mannheim in Man and Society che "dal naufragio del liberalismo nulla si può salvare se non i suoi valori?" Questo sarebbe vero se il liberalismo fosse inseparabile dal vecchio individualismo economico o andasse spiegato, colle parole del "Prof. Laski, come "il sottoprodotto dello sforzo delle classi medie per la conquista d'un posto al sole" . Ma la dottrina liberale è molto di più : e la tradizione che la produsse era ancor di più : era il perno della civiltà occidentale, e, nonostante le disfatte e le delusioni dell'ultimo trentennio, è ancor oggi una forza viva. Son d'accordo che il nome di "liberalismo" non soddisfa, perché restringe questo movimento e le sue dottrine ad una sua manifestazione particolare: d'altra parte il termine "democrazia" che oggi è sulla bocca di tutti soddisfa ancor meno, perché la democrazia ugualitaria può divenire troppo facilmente (come infatti è divenuta così spesso) uno strumento del dispotismo di massa, che è la negazione più assoluta del principio liberale, in senso stretto ed in senso universale.

Perché la cultura occidentale non s'è ispirata all'idea d'uguaglianza, ma all'idea di libertà; e tutta la storia dell'Occidente è stata una lunga ricerca della libertà. La civiltà occidentale non fu mai una unità geografica o razziale. Nacque sulle rive dell'Egeo, tra la barbarie dell'Europa continentale ed il dispotismo civile dell'Asia, in quel nuovo mondo di piccole città-stato che fu la fonte d'un nuovo sistema di vita e di nuove concezioni della legge e dello spirito civico. Ma questa libertà non era l'individualismo senza legge dei barbari: era il frutto d'uno sforzo intenso di disciplina sociale e d'organizzazione. "Perché", come fa dire Erodoto al re spartano esiliato presso la corte persiana, "perché i Greci sono liberi, sì, ma non del tutto; riconoscono un padrone, le leggi, e lo temono più di quanto i tuoi sudditi non ti temano".

Questa nuova concezione della vita fu messa alla prova durante la guerra in cui le libere città greche resistettero agli attacchi in massa del dispotismo asiatico; e ne riuscirono trionfatrici. E nei secoli successivi il mondo ellenico dimostrò per la prima volta, e per sempre, di quanto sia capace lo spirito umano quando sia libero da schiavitù e dal dominio della forza. Come questa civiltà abbia potuto sopravvivere alla decadenza della città-stato ed alla perdita della sua libertà politica, è sempre stato il più difficile problema storico. La risposta della vecchia scuola storica liberale era ch'essa non sopravvisse : che la fiaccola della civiltà classica era spenta nella notte dell'Età Nera e si riaccese miracolosamente nel Rinascimento, inizio della nuova era di progresso e di luce. L'altra teoria, che credo vera, è che il mondo antico salvò la propria anima convertendosi al Cristianesimo e che la sua cultura continuò a vivere nel Cristianesimo occidentale. Alla perdita della libertà politica del mondo antico fece infatti equilibrio la rivelazione d'una nuova libertà spirituale: cosicché quando fu asservita la città terrena, gli uomini acquistarono la fede nell'esistenza d'una città spirituale, "libera e madre di tutti gli uomini" .

E come la prima epoca della storia della libertà è segnata dal sorgere delle libere città greche e dalla loro lotta contro la Persia, la seconda epoca è segnata dal sorgere della Chiesa Cristiana e dalla sua lotta contro l'Impero Romano che aveva perduto gl'ideali dello spirito civico e della libertà politica, e si trasformava rapidamente in un immenso stato servile come quelli dell'antico Oriente. La lotta fu combattuta all'ombra delle mazze e delle scuri dei carnefici nei pretorii, negli anfiteatri, nei campi di concentramento, dalla Germania all'Africa, dalla Spagna all'Armenia, e suoi eroi furono i martiri, martyrum candidatus exercitus. D'allora in poi, dovunque fu predicata la fede cristiana, non solo in Europa, ma da un capo all'altro del mondo, dal Giappone e dall'Annam al Canada, si rese onore ai nomi degli uomini che testimoniarono col loro sangue della verità e della libertà spirituale. Solo oggi, per la prima volta, col sorgere della nuova sfida totalitaria ai valori cristiani, il principio del martirio e l'onore dei martiri sono stati messi in dubbio.

La forza dinamica di quest'ideale spirituale diede nuova vita alla civiltà morente del mondo antico e fece sì che il Cristianesimo latino incorporasse i barbari del nord nella nuova sintesi della civiltà occidentale del Medio Evo. Qui, ancora una volta, il principio della libertà fu il centro del nuovo sviluppo culturale. È difficile che il democratico moderno possa trovare nulla di comune tra i suoi ideali e quelli del mondo feudale cattolico; ma i vecchi liberali riconobbero quella comunanza, più o meno consciamente, nella loro idealizzazione della Magna Charta e del movimento comunale e costituzionale del Medio Evo. E’ vero che le libertà del Medio Evo erano molto diverse dalla libertà della "Dichiarazione d'Indipendenza", ed ancor più da quella della Rivoluzione Francese; tuttavia, alle fonti della libertà e della democrazia occidentali si trova l'idea medievale che gli uomini possiedono dei diritti anche contro lo Stato e che la società non è un ente politico totalitario, ma una comunità complessa costituita di vari organismi sociali, aventi ciascuno una vita autonoma e proprie istituzioni libere.

L'ideale cristiano della libertà spirituale e la tradizione medievale delle libertà politiche s'incontrarono nell'Inghilterra del seicento per produrre la nuova dottrina liberale a cui s'ispirò per più di due secoli la civiltà occidentale, e da cui, nel secolo scorso, si sviluppò il liberalismo politico in senso stretto. Il liberalismo fallì in quest'ultimo secolo soprattutto perché i partiti liberali non riuscirono a dare adeguata espressione a questa dottrina ed alle tradizioni sociali ancor più profonde da cui era sgorgata. Il movimento liberale in senso largo trasformò il mondo, sprigionando immense energie umane; ma il liberalismo in senso stretto si dimostrò incapace di guidare le forze così messe in movimento, e divenne un credo negativo e difensivo che, agli occhi del socialismo, non era altro che un interesse di classe. Tuttavia, la critica socialista del liberalismo fu, almeno nella sua forma iniziale, un prodotto dell'ideologia liberale. Essa servì a diffondere in classi più vaste l'ideale prima riservato alla minoranza dotata di coscienza politica. L'attrattiva fondamentale del socialismo era l’affermazione di diritti sociali concreti contro quelli astratti della politica. Si ritorna così al medesimo ideale che ispirava i precursori del liberalismo inglese, ed a cui aveva dato meravigliosa formulazione uno degli ufficiali di Cromwell : "L'uomo più povero d'Inghilterra ha una vita da vivere come il più ricco" (1).

(1) II Colonnello Rainborough, in un discorso contro Ireton a Putney, 29 ottobre 1647.

Questa affermazione del diritto d'ogni uomo a vivere una vita piena è l'essenza del socialismo; così esso, ben lungi dall'essere in contraddizione colla tradizione liberale, vuol estenderla di là dalla sfera della legge e della politica, all'economia ed alla cultura. Ma non si può trascurare nel socialismo un elemento antiliberale che ha contribuito più d'ogni altro singolo fattore alla rovina della libertà nel mondo moderno. Perché il socialismo continentale, rappresentato soprattutto da Carlo Marx, non è responsabile soltanto d'aver discreditato la dottrina liberale, ma d'aver lanciato contro la libertà la sfida totalitaria che incombe oggi sul mondo. La dittatura rivoluzionaria del proletariato, l'impiego della forza dello stato per distruggere ogni elemento sociale che contrasti cogli interessi della classe dominante, la sostituzione della massa all'individuo come centro di tutti i valori culturali e morali : tutti questi pilastri dello stato totalitario derivano dal marxismo e dal socialismo rivoluzionario. Perché, abbandonata la tradizione liberale, le forze totalitarie rivali perdono rapidamente la maschera ideologica e diventano semplicemente modi diversi di fare la medesima cosa : distruggere la libertà e sacrificare sull'altare della potenza di massa la vita dell'uomo, sia egli ricco o povero, borghese o proletario.

Si possono salvare da un lato i valori umani e liberali del Socialismo dalle forze totalitarie che hanno prevalso su di essi, e svincolare dall'altro il liberalismo dal meschino individualismo economico del secolo scorso? Questi sono i problemi che vanno risolti, se si vuole che la democrazia s'adatti al mondo nuovo del ventesimo secolo come vi si sono adattate le ideologie totalitarie, o meglio di esse. Dopo tutto, queste ideologie sono nate in un terreno diverso dal nostro : sono sistemi che hanno servito a delle società tenute a freno per secoli da autocrazie teocratiche o da monarchie militari, per adattarsi al nuovo mondo. Società di questo genere possono essere trascinate, più facilmente è più rapidamente che non le società democratiche, sulla via della rivoluzione. Ma in questo risiede anche la loro debolezza; la facciata maestosa dell'unità totalitaria può nascondere la fragilità interna della struttura o imporre uno sforzo insostenibile alle fondamenta della fabbrica sociale.

Inoltre, i successi superficiali di questi movimenti, non diminuiscono i pericoli che minacciano uno stato moderno il quale abbandoni le tradizioni politiche che hanno finora ispirato la civiltà occidentale. Quello che più spaventa non è la violenza dei primi anni della rivoluzione russa, o il colpo di stato tedesco del 1933, o il regno della polizia segreta, accompagnato da crudeltà e da tradimento: ma il fatto che il movimento retrogrado non ha limite, e che in pochi anni una società può passare da un alto idealismo rivoluzionario ad uno stato di bestialità organizzata, capace di liquidare intere classi, di trasferire popolazioni, di distruggere intere genti con una brutalità degna degli antichi Assiri o dei Tartari medievali. Questa nuova barbarie è anzi peggiore di quella del passato, perché è ispirata non dalla crudeltà ingenua d'una società guerriera, primitiva, ma dalla scienza pervertita d'una civiltà corrotta.

Ma questa barbarie, benché si sia già impadronita di noi, è per gran parte inconscia ed involontaria e non è accolta con favore od apertamente approvata nemmeno da quei popoli che più hanno contribuito al suo sorgere. Le nazioni democratiche possono quindi far conto, nella loro resistenza a questa marcia verso l'abisso, non solo sull'aiuto di quelli che sono ancora fedeli alle tradizioni spirituali della civiltà occidentale, ma anche, in certa misura, sulle secrete simpatie dei popoli totalitari stessi.

L'idea della libertà è pressoché universale e non c'è popolo, per quanto politicamente inetto od inesperto, che sia completamente insensibile al suo richiamo. Possono differire nel genere di libertà che più amano e nella capacità di conquistarla contro le forze della natura e delle contingenze storiche. La vita umana è sempre legata, in ultima analisi, alle necessità del lavoro, della lotta e della morte, che in ogni età hanno costretto molti uomini a rinunciare, per il mero diritto di vivere, a tutte le altre libertà. La civiltà consiste essenzialmente nella riduzione di quest'impero della necessità e nell'ampliamento dell'ambito della libertà ; ma nel passato c'è stata tanta ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza comune da rendere almeno in parte plausibile la critica rousseauiana della civiltà. Soltanto nel secolo XIX il progresso della scienza e l'aumentato dominio umano sulla natura permisero di restringere il campo della necessità entro limiti che i pensatori dei passato avrebbero considerati incredibili. La libertà e la possibilità di vivere una vita normale non sono più necessariamente il privilegio d'una minoranza, ma possono diventare il diritto di nascita d'ogni essere umano.

Ma l'ottimismo liberale che ispirava l'espansione della democrazia nell'ottocento è finito in una delusione. Le nuove forze generate dalla scienza e dall'industria sono così immani, che sembrano rimpicciolire l'umanità e richiedere dei giganti per tenerle a freno. Di qui il conflitto cui oggi assistiamo tra un liberalismo che ha abbandonato la direzione sociale tradizionale in un accesso di prematuro ottimismo ed il nuovo collettivismo che sacrifica la libertà politica e sociale all’ideale di un'organizzazione della società a solo vantaggio dell’efficienza e della potenza di massa.

Il vecchio liberalismo, con tutti i suoi difetti, era profondamente radicato nel terreno della civiltà, occidentale e cristiana. Come scriveva Madame de Stahl : "In Francia è antica la libertà; è il dispotismo che è moderno". Ma il nuovo collettivismo spezza il filo dell'evoluzione occidentale ed assomiglia molto più alle monarchie orientali, Persia, Assiria, Egitto, ed allo spirito che produsse le Piramidi e la Grande Muraglia cinese.

È facile comprendere come questo spirito faccia presa su un popolo come quello russo che per secoli è stato plasmato dagl'ideali teocratici dell'ortodossia e dello zarismo; lo si può perfino mettere d'accordo con un aspetto della tradizione tedesca e centro-europea. Ma per la civiltà occidentale presa nel suo complesso, esso significherebbe la morte, perché è la negazione totale dei principii spirituali che hanno dato vita all'occidente. La grande tradizione della civiltà occidentale ha durato così a lungo ed ha sopravvissuto a tante crisi, che è lecito pensare che sia troppo forte per soccombere al nuovo nemico totalitario. Ma non può essere salvata soltanto con mezzi economici e militari; perché, come la crisi non sarebbe sorta se le forze spirituali della cultura occidentale non si fossero divise e disgregate, così le necessità odierne trascendono i confini della politica ed esigono un nuovo orientamento spirituale della società occidentale ed un richiamo ai valori essenziali che vanno conservati ad ogni costo, nonostante le trasformazioni rivoluzionarie che hanno distrutto le basi economiche del vecchio individualismo liberale. E’ un compito immenso che richiede la collaborazione di tutte le forze vive della nostra civiltà, in uno sforzo indefesso di riorganizzazione sociale ed intellettuale. Mi sembra che il liberalismo abbia in questo compito una posizione centrale, perché esso è l’unica forza politica d'Europa che s'identifichi colla causa della libertà e che non la possa abbandonare senza cessare d'esistere. Il socialismo, il conservatorismo ed il nazionalismo non sono immuni da influenze totalitarie, sia per opera della propaganda, sia per forza d’assimilazione interna, e possono assumere forme totalitarie senza tradire consciamente i loro principi. Perfino la democrazia non si trova in posizione molto sicura, perché una dittatura di massa può sempre servirsi facilmente di motti democratici, tanto più ora che a guidare l'assalto contro la libertà non sono monarchi od aristocrazie ereditarie, ma demagoghi nel senso più stretto della parola, forse i più grandi demagoghi che il mondo abbia mai conosciuti.

Ma sebbene sia impossibile esagerare il valore della tradizione liberale nella nostra civiltà e l’importanza della sua rinascita, è inutile cercare di far risorgere i vecchi partiti liberali e di lanciarli alla riconquista del potere con i vecchi metodi politici. La situazione è cambiata così fondamentalmente che oggi ci troviamo di fronte a problemi che trascendono la politica nel vecchio senso. Le nuove dittature totalitarie contro cui stiamo combattendo tentano di risolvere questi problemi : ed in questo risiede la loro potenza; ma lo fanno semplificando brutalmente i problemi, e sacrificando così, per un successo materiale immediato, tutti i valori più alti della civiltà. Tentano di trovare una scorciatoia "essenziale"; e, come accade in quasi tutti i tentativi di questo genere, sono riusciti soltanto a perdere la strada. Ora bisogna riportare la civiltà occidentale sulla retta via, e questo non si può fare coi vecchi programmi o colle coalizioni politiche, ma soltanto colla libera collaborazione dì tutti quelli che si sentono figli della comune tradizione spirituale dell’Occidente, e che riconoscono la necessità d'accomunare ed organizzare gli elementi della liberta che ancor sussistono, benché siano dispersi e disorganizzati, politicamente divisi e quasi impotenti. Un ideale di questo genere può sembrare vago ed utopistico, ma la storia mostra che i fattori perpetui d'una civiltà, quale la tradizione liberale dell'Europa, possono essere temporaneamente sommersi o violentemente soppressi, ma presto o tardi si riaffermano inevitabilmente, spesso per vie nuove ed inaspettate. L’essenziale è pensare in funzione della nuova situazione, vedere che cosa sia vivo e che cosa sia morto nella tradizione occidentale, e comprendere che le forze immense conquistate dall'uomo negli ultimi cinquant'anni si possono usare altrettanto facilmente a servizio della libertà come furono usate per distruggerla.

V - Il fallimento della Lega delle Nazioni

1. La crisi della Lega.

PER CIRCA mille anni l'Europa cristiana visse la vita d'una società soprannaturale, profondamente conscia della comune civiltà, malgrado le continue guerre e divisioni interne attraverso cui si svolse la sua storia. La sua unità assomigliava a quella del mondo ellenico, società di popoli liberi, che s'oppose al mondo non ellenico del dispotismo orientale : un mondo civile, dove si "vive bene", contro il mondo dei barbari.

Oggi le cose sono cambiate. L'Europa ha perduto la sua unità e la coscienza della sua missione spirituale. Non c'è più un taglio netto tra popoli cristiani e non cristiani; e, colla scomparsa della coscienza cristiana, l'Europa ha cominciato a dubitare della sua propria esistenza. Il nazionalismo moderno ed il moderno internazionalismo, ciascuno a modo suo, hanno trascurato l’esistenza d'una cultura europea e di una società europea di nazioni, ed hanno tentato di costruire un mondo su fondamenta nuove.

La prima guerra mondiale segnò il collasso del sistema di Stati che risaliva al Trattato di Vestfalia del 1648 e ch'era riuscito ad adattarsi, seguendo le mode dell'ottocento, all'evoluzione nazionalistica e democratica. Ma la caduta delle tre grandi monarchie europee nel 1917-18 distrusse l'impalcatura del vecchio sistema ed obbligò gli artefici della pace di Versailles ad intraprendere una riorganizzazione della vita internazionale più radicale di qualunque altra tentata nel passato.

Essi non si limitarono a riorganizzare l'Europa, ma tentarono di creare un ordine internazionale basato su principii validi per tutto il mondo. La Lega delle Nazioni ed il Trattato di Versailles, ad essa indissolubilmente legato, erano il risultato dell'incontro tra l'idealismo liberale della democrazia anglosassone rappresentata da Wilson ed il realismo nazionalistico dei vincitori europei rappresentati da Clemenceau. Ma mentre essi stavano elaborando il loro compromesso, si scatenavano sull'Europa orientale e centrale nuove forze destinate a far crollare il nuovo edificio internazionale ancor prima che fosse finito.

Perché la Lega delle Nazioni fu concepita esclusivamente nello spirito liberale della democrazia anglosassone, mentre il mondo ch'essa doveva organizzare ne era ormai lontanissimo e ne veniva allontanato ancor più dalle catastrofi della guerra, della rivoluzione e del disastro economico. Così il nuovo ordine internazionale di Versailles e di Ginevra era condannato fin dall’inizio al fallimento; ogni anno che passava ed ogni nuova crisi politica ed economica rendevano più evidente e più palpabile la contraddizione tra gl'ideali dell'ottocento e la realtà del novecento. Ciononostante, i fini per cui era stata creata la Lega delle Nazioni, cioè il mantenimento della pace e la conquista d'un ordine internazionale, rimasero valori indispensabili alla sopravvivenza della nostra civiltà ed ogni nuova sconfitta nella Lega non ha fatto che acuire il bisogno di pace e d'ordine. E’ quindi d'importanza vitale distinguere ciò che è vivo e ciò che è morto negl'ideali della Lega delle Nazioni e non lasciare che la causa della pace e dell'ordine internazionale s'identifichi cogli aspetti più meschini e settari dell'internazionalismo moderno.

Oggi gl'idealisti tendono a raccogliersi intorno alla causa della Lega delle Nazioni, tanto che la "Unione, per la Lega delle Nazioni" è diventata una crociata idealistica che mobilita tutte le forze del sentimento umanitario e dell'indignazione morale, così potenti nel mondo protestante anglosassone, contro le forze delle tenebre e della reazione, rappresentate dai guerrafondai e dai dittatori.

Ma poiché la Lega delle Nazioni non era in origine una costruzione puramente e semplicemente ideale, bensì una creazione storica, basata su un definitivo schieramento di forze, la tendenza ad opporvisi attraeva una specie d'idealismo per il quale essa rappresentava le forze tenebrose della finanza internazionale e dell'imperialismo occidentale; ed attraeva tutte le forze delle nazioni e delle classi i cui giusti diritti erano stati sacrificati dalla sistemazione post-bellica, spingendole alla rivolta contro l'ordine internazionale di Versailles e di Ginevra.

L'aspetto più paradossale di questa situazione è che ambedue i gruppi d'Idealisti agitavano la medesima bandiera dell'autodecisione dei popoli. La disputa sulla Lega delle Nazioni non è quindi mai stata una lotta chiara, tra nazionalisti ed internazionalisti, come quella d'un secolo prima sulla Santa Alleanza. Perfino l'estremo nazionalismo razzistico che s'identifica colla politica anti-Lega, non era una sua caratteristica iniziale, perché le due Grandi Potenze fin da principio fuori della Lega, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, erano ambedue eminentemente antirazziste e la seconda pretendeva d'avere una politica e degli ideali più genuinamente internazionali che non la Lega stessa.

Perciò la Lega delle Nazioni non fu inizialmente né del tutto nazionalista né coerentemente internazionalista ; come non era né puramente idealista, né semplicemente realista. Era una ripetizione quasi esatta della Santa Alleanza, una lega di stati mirante anzitutto a perpetuare una situazione internazionale prodotta dalla loro vittoria sull'imperialismo militare, ed in secondo luogo a fondare un ordine legale internazionale basato su trattati che garantissero la pace applicando sanzioni contro qualunque stato che tentasse di modificare lo status quo colla forza delle armi.

Era quindi naturale che la crisi del sistema creato a Versailles fosse seguita dalla crisi della lega delle Nazioni ; e se si vuole ch'essa sopravviva e serva ai fini più vasti assegnatile dai suoi sostenitori, bisogna ricostruirla su una base più ampia, corrispondente alle nuove realtà storiche.

I fondatori della Lega delle Nazioni non tennero conto delle nuove tendenze nella vita internazionale, per le quali non c'era posto nella filosofia ottimistica della democrazia liberale, ma che provocarono la tensione mondiale e l’ostilità internazionale attuali, senza però sciogliere le nazioni ed i loro capi dalla responsabilità politica. Il fatto è che il mondo moderno viene trascinato in due direzioni opposte. Da un lato il progresso scientifico e tecnico avvicina sempre più le varie nazioni : i limiti di spazio e di tempo che le tenevano separate diminuiscono o scompaiono, ed il mondo è divenuto per la prima volta un corpo unico. D'altro lato, un processo d'organizzazione intensiva indebolisce i vincoli spirituali che legavano gli nomini fra loro, oltre ogni frontiera politica, e concentra tutta l'energia delle singole società verso la realizzazione di programmi collettivi, urtando inevitabilmente la volontà collettiva d’altre società.

Il pericolo dì guerra è oggi così grande non perché gli uomini siano più bellicosi, ma perché sono più vastamente organizzati che nel passato. La guerra non è più un passatempo di re ed un mestiere da eserciti professionali : è il duello a morte d'immense potenze di massa, impersonali, che hanno schiacciato sotto la mole del loro meccanismo sociale l'intera vita di popoli interi.

Il carattere dominante del sistema politico moderno è costituito dallo sviluppo di questi organismi mostruosi, inconciliabili sia col vecchio sistema di stati, sia colla tradizione democratica liberale, a cui s'ispirò la Lega delle Nazioni.

2.- La Nazione - guida e l’unità europea.

La tragedia della Lega delle Nazioni non fu soltanto il risultato di una ambizione senza scrupoli degli uomini di forza, ma fu dovuta soprattutto, come s'è visto, al conflitto ed alla confusione tra i due idealismi rivali del Nazionalismo e della Democrazia liberale che furono i due motivi principali della trasformazione politica del mondo moderno.

Il Presidente Wilson riconobbe pienamente, in teoria, il principio di nazionalità, e fondò la Lega sul principio dell’autodecisione dei popoli e sulla sovranità della Nazione-Stato ; ma non comprese quanto forti siano le passioni collettive che sì nascondono sotto questa formula e quanto sia difficile applicare queste formule a stati a base dinastica o religiosa come la Monarchia Asburgica.

Per questa ragione, nonostante il tentativo di basare i cambiamenti territoriali sull'autodecisione dei popoli, gli artefici della pace di Versailles furono incapaci di risolvere il problema delle minoranze, e perfino di concretare i principi di Wilson nel Covenant della Lega.

Infatti, fin dal principio, la Lega delle Nazioni fu una lega di stati; essere membro della Lega significava avere sovranità politica e nulla contava che le società sottoposte a tale sovranità fossero o meno società nazionali.

Questa distinzione tra stato e nazione non è un cavillo verbale, perché essa implica l'essenza stessa del problema internazionale. Le Nazioni sono fattori permanenti, che abbiano o no ricevuto riconoscimento giuridico, mentre gli Stati (e gli ultimi anni ce ne hanno dato anche fin troppo prove) possono trasformarsi, moltiplicarsi, diminuire di numero in seguito a guerre e rivoluzioni, giustamente o ingiustamente, volenti o nolenti i popoli interessati. Un'epoca come quella delle guerre napoleoniche assisté ad un generale massacro di stati; alcuni scomparvero per sempre, altri riapparvero in forma nuova dopo passata la tempesta. Così una Lega delle Nazioni creata nel 1800 sarebbe stata completamente diversa ed avrebbe avuto un numero di membri diverso da quella, che sorse dopo la caduta di Napoleone. Ed il carattere transitorio di questi enti politici, di questi "poteri sovrani", mostra che ogni ordine basato su di essi non può che essere instabile e privo d'autorità mondiale. In Italia, per esempio, il numero degli stati sovrani de facto non faceva che rinforzare il programma d'unità nazionale dei patrioti rivoluzionari rendendo allo stesso tempo quasi impossibile la realizzazione dell'unità mediante un accordo internazionale, o, meglio, interstatale.

La crisi dell'internazionalismo è stata quindi conseguente soprattutto al fatto che non si tenne conto del carattere artificiale ed instabile dell'ente politico su cui si basano tutti i nostri piani d'organizzazione internazionale. La parola "Stato" significa semplicemente "organizzazione politica indipendente", ma non dice di che natura sia la società in esso organizzata. Uno stato può essere una piccola città come Lucca o un grande impero come Roma, un territorio minuscolo nato dalla proprietà famigliare di qualche casa di principi, come il Liechtenstein o Monaco, o una civiltà immensa come la Cina, che per millenni ha costituito un mondo chiuso ed autarchico. Non abbiamo che da guardare indietro nella storia, e considerare la molteplicità e l'incommensurabilità degli organismi politici, per comprendere quanto sia assurdo un sistema internazionale che li tratti tutti alla medesima stregua come se fossero individui politici con uguali diritti e natura comune. Confrontare la Cina con la Liberia o gli Stati Uniti colla Repubblica Dominicana, è come confrontare la Banca d'Inghilterra con la cassa di risparmio di un villaggio od un transatlantico con una barca da pesca.

Un confronto tra forme così diverse può avere un certo valore filosofico o scientifico, perché ci chiarisce le idee sull'essenza della barca e della banca, ma non ha valore alcuno agli effetti dell'organizzazione pratica. Se tentassimo d'organizzare l'industria marittima sulla base d'un voto per ogni imbarcazione, non faremmo che disorganizzare l’ordine esistente e produrre caos ed anarchia. E benché l'assurdità sia meno flagrante, questo vale anche per un'organizzazione internazionale di nazioni con diritti uguali, in cui ogni stato de facto sia una nazione de jure. Eppure questo e ciò che la Lega delle Nazioni ha tentato di fare, essa che aveva fra i membri originari, fissati nel Trattato dì Versailles, gli Stati Uniti ed il Panama, la Gran Bretagna e l’Hegiaz, l'Italia e la Liberia, la Francia e Haiti.

Questo fatto non sarebbe così grave se fosse stato dettato semplicemente dalla convenienza passeggera della situazione postbellica; ma c'è di più, e vi sono implicati i postulati fondamentali della sociologia e gl'ideali del movimento internazionale moderno, sia nei suoi aspetti umanitari sia in quelli cattolici. Per esempio, il Codice d'etica internazionale pubblicato dall'Unione Internazionale di Studi Sociali, che è la dichiarazione più esplicita che io conosca dei principii internazionali cattolici, tratta esaurientemente dei diritti e dei doveri degli stati, ma non accenna che superficialmente al problema fondamentale della natura dello stato; ed accetta tale e quale l'idea aristotelica della Città-Stato e la applica senz’altro alle Nazioni-Stato dell’Europa moderna facendo del trinomio agostiniano Domus, Urbs, Orbis, una classificazione sufficiente della struttura sociale del mondo d'oggi.

Ma la teoria aristotelica era basata su un’analisi più o meno completa delle forme politiche del tempo e valeva ancora al tempo di Sant'Agostino. La società civile era ancora organizzata sulla base della Città-Stato e l'Impero Romano era una specie di società mondiale in cui le Città-Stato costituivano le cellule dell'organismo internazionale. Fuori dell'Impero c'era il mondo caotico barbarico, vivente una vita sub-politica, minaccia continua alla società civile dell’orbis terrarum romano. Rimaneva un grande stato civile, in permanente ostilità con Roma, la Persia, che rappresentava una specie d'antitesi orientale alla monarchia mondiale romana. Questa struttura sociale-politica conservava ancora il suo significato per il pensiero medievale nonostante i cambiamenti cui il mondo aveva assistito. Filosofi medievali come San Tommaso vedevano ancora nella città l'organo politico essenziale e nella Cristianità la società universale erede dell'Impero Romano. Fuori d'essa c'era l'Islam, l'Anticristo sociale, con cui il mondo cristiano era in uno stato di guerra permanente e c'erano i pagani del Baltico orientale che, loro malgrado, venivano gradatamente incorporati nella società cristiana.

Ma alla fine dei XV secolo questo quadro tradizionale fu improvvisamente sconvolto sia all'interno sia all’esterno. L'Europa scoprì improvvisamente tutto un altro mondo di popoli, quelli selvaggi dell'America e dell'Africa e quelli civili dell’estremo Oriente, cosicché l'universo storico e geografico s'allargava immensamente. Allo stesso tempo l'eresia divideva il mondo cristiano in campi nemici, armati l'un contro l'altro e dalle rovine dei principati feudali e delle città libere sorse la nuova monarchia del potere assoluto e della prerogativa divina.

D'ora in poi lo stato, tipico organismo politico, non fu più la città, ma la monarchia nazionale a carattere distintamente imperiale, modellato più sull'Impero Romano che sulla Città-Stato. Essa non aveva tuttavia l'universalità dell'Impero perché le sue ambizioni e pretese erano sempre limitate dall'esistenza d’altri stati simili di cui riconosceva i diritti, almeno in teoria, riservandosi poi di calpestarli in pratica.

Benché la Cristianità, nel senso medievale d'una grande " Repubblica " cristiana retta da una duplice gerarchia, non esistesse più, le sue tradizioni erano abbastanza forti per formare tra i popoli europei un vincolo culturale che li stringeva in una società di stati sovrani non rigidamente articolata. E nonostante tutti i cambiamenti dei due secoli scorsi ed il sorgere della democrazia e della coscienza nazionale, la nostra idea delle relazioni politiche internazionali si basa ancora su questo tipo sociale. Il nostro concetto di stato deriva, più o meno, dalle "Nazioni-Stato" sviluppatesi nell’Europa occidentale degli ultimi quattro secoli. Le nostre idee di società internazionale e d'una Lega Mondiale delle Nazioni si modellano ancora sulla vecchia società europea di stati, come il recente nazionalismo dei popoli non europei è egualmente influenzato, consciamente o inconsciamente, dall'esempio e dagl'ideali degli stati nazionalisti europei.

In realtà però questi fenomeni sono profondamente diversi. L'India e la Cina non sono nazioni nel medesimo senso della Svezia o dell'Irlanda; sono unità culturali che non hanno analogia con nessuna cosa in Europa, se non con l'Europa stessa. E se la Turchia ha voluto diventare una nazione nel pieno senso occidentale, ha dovuto rompere totalmente col passato, trasformando non solo il suo reggimento politico, ma anche la cultura, la civiltà stessa del suo popolo. Il nazionalismo orientale, sorto come una protesta ed una reazione contro l’egemonia europea, è così la prova più evidente di quanto potere abbia l’Europa di trasformare il mondo.

Dobbiamo dunque tenere presente che non esiste ancora una civiltà mondiale nel senso in cui c'era un tempo una civiltà europea. Ci sono forze potenti che abbattono le vecchie barriere tra popoli e culture, ma ci sono forze ugualmente potenti che operano in direzioni opposte e che minacciano di spezzare e distruggere l’unità della civiltà occidentale, unica vera fonte di quell'ordine internazionale che il mondo ha fino ad oggi conosciuto.

3. L'unità europea e la Lega delle Nazioni.

Abbiamo visto come sia sempre più difficile applicare il tipo tradizionale europeo d'una società di stati nazionali sovrani, con civiltà ed ambiente spirituale comuni ad un mondo di "superstati" in cui le razze e civiltà rivali combattono spietatamente per la conquista della supremazia. Il vecchio ordine europeo può apparire irrazionale e disordinato, ma era cementato da un rispetto vero dei diritti e dei precedenti storici e dal prestigio sociale della monarchia che molto contribuì a controbilanciare lo squilibrio in potere politico tra stati maggiori e minori. Ma l’origine rivoluzionaria della nuova forma di stato ha distrutto il rispetto per i diritti storici, mentre l'opposizione di principi e d'ideali non lascia posto per una piattaforma comune su cui, come nella corte del vecchio regime, possano incontrarsi gli uomini di stato. La tendenza moderna di ogni stato o gruppo di stati d'identificarsi con una delle ideologie politiche rivali è tanto fatale ad un ordine mondiale quanto le guerre religiose del passato; anzi, ancor più, giacché nel passato la distinzione fra Chiesa e Stato rendeva possibile a stati di fede diversa di collaborare in questioni di comune interesse politico; mentre oggi lo Stato Totalitario s'identifica così strettamente colla sua ideologia, che diviene impossibile distinguere tra guerra d'idee e conflitto d'interessi politici.

Se si accetta il principio totalitario, sembra che l'unica speranza di pace mondiale risieda nel trionfo di un'unica ideologia. E questo era l'ideale del comunismo nella sua prima fase militante, quando Zinoviev e Trotzsky credevano che la cittadella del capitalismo sarebbe caduta al primo squillo di tromba dell'Esercito Rosso. Ma gli ultimi vent’anni hanno dimostrato la vanità delle loro speranze ed il risultato effettivo dell'offensiva comunista è stato d'accentuare il conflitto d'ideologie, di distruggere o indebolire i partiti moderati e gli stati costituzionali a vantaggio dell'estremismo e della dittatura.

Così il tentativo d'unire il mondo gettandolo nella camicia di forza di un'ideologia uniforme è un'illusione utopistica inconciliabile tanto colla pace internazionale quanto colla libertà nazionale. La vera base della vita internazionale non va cercata in un'unità ideologica, ma in una civiltà comune. Questo fu illustrato molto chiaramente da Burke, quando per la prima volta l’Europa si trovava di fronte ad uno stato che s'identificava coscientemente con una nuova ideologia politica. Lo citerò ampiamente perché credo che nessuno oggi legga Burke e perché questa sua pagina mostra come il concetto di un'Europa veramente una di civiltà non è cosa nuova, ma era accettata come assioma dai classici del pensiero conservatore.

"I rapporti internazionali", egli scrive, "non dipendono, come generalmente si crede, da formalità di trattati e d'accordi, né semplicemente da interessi politici. Gli uomini non sono legati da pezzi di carta e da sigilli; ma sono spinti ad associarsi da somiglianze, analogie e simpatie. E ciò che vale per gl'individui vale anche per le nazioni. Nessun vincolo d'amicizia fra nazioni vale quanto una somiglianza di leggi, di costumi, di maniere e d'abitudini di vita. Sono impegni scolpiti nel cuore; avvicinano gli uomini fra loro senza ch'essi se ne accorgano e talvolta contro le loro intenzioni. Il legame segreto, invisibile ma infrangibile, di continue relazioni reciproche li tiene uniti anche quando la loro natura perversa e litigiosa li spinge ad equivocare, ad insultarsi ed a lottare intorno ai termini delle obbligazioni scritte... ". "Con questa affinità, la pace è più veramente pace e la guerra è meno veramente guerra. Un tempo, comunità apparentemente in pace tra loro, erano più distanti e più completamente separate che non più tardi molte nazioni d'Europa in guerre lunghe e sanguinose. E la causa va ricercata nella profonda somiglianza di religione, di leggi e di maniere predominanti in tutta Europa. I giuristi hanno spesso chiamato questo aggregato di nazioni col nome di Commonwealth; ed avevano ragione, perché esso è virtualmente un grande stato basato sui medesimi principii giuridici, con qualche differenza, di costumi provinciali e d'organizzazione locale".

Burke passa poi a descrivere i vari elementi di questa comunità. Anzitutto le nazioni d'Europa hanno avuto tutte la medesima religione cristiana ed in secondo luogo la loro organizzazione politica ed economica deriva dalle medesime fonti, cioè da tradizioni germaniche concretatesi nelle istituzioni medievali, e poi ordinate con chiarezza dal diritto romano. Sicché gli stati europei hanno fra loro una struttura molto più simile di quanto generalmente non si creda. Da tutte queste fonti sorse un sistema di vita e d'educazione più o meno uguale in tutta questa parte del mondo che addolcì, fuse ed armonizzò il colore dell’insieme.

"Grazie a questa somiglianza di consuetudini sociali e di forme di vita, nessun europeo potrebbe essere completamente esule in alcuna parte d'Europa... Quando un uomo viaggiava... dal suo paese ad un altro, non si sentiva mai completamente all'estero" (1).

(1) Letters on the Regicide Peace I (ed. Payne III, pp. 79-81).

A parte lo stile oratorio e poco scientifico di Burke, non mi pare che altri abbia mai espresso più esattamente di lui i problemi essenziali dei rapporti internazionali. L'unico punto che vizia la trattazione di Burke è quel suo conservatorismo e tradizionalismo per cui, quasi contro i suoi stessi principii, considerò come unica forma possibile d'ordine europeo il sistema di stati del vecchio regime. Egli vide abbastanza chiaramente gli errori d'un liberalismo rivoluzionario che trascura la realtà storica con un idealismo ed un falso razionalismo che lo mettono in opposizione al Cristianesimo e con un individualismo unilaterale che fa dimenticare il carattere organico delle istituzioni sociali. Ma non s'accorse che la Rivoluzione non era soltanto una rivolta negativa contro il Cristianesimo e contro l'ordine sociale: era anche un'affermazione dei diritti dei popoli contro governi irresponsabili, e dei diritti delle nazioni contro le tradizioni sorpassate dello stato dinastico.

E così, quando la Rivoluzione fu sconfitta dalle forze nazionali ch'essa aveva tanto contribuito a risvegliare, gli uomini di stato alleati, scolari e seguaci di Burke, trascurarono anch'essi a Vienna queste forze. Riconobbero, più d'ogni altro prima o dopo di loro, l’esistenza di quello che Burke chiamava la Commonwealth europea, ma organizzarono l'Europa in base al passato legalismo dinastico invece che come una società organica di nazioni vive. La forza crescente dei movimenti nazionali europei fu quindi lasciata senza sfogo e le loro esplosioni rivoluzionarie distrussero l'edificio artificiale dell'ordine europeo, costruito con tanta cura a Vienna.

Ora la Lega delle Nazioni del 1919 ripeté gli errori della Santa Alleanza, perché, malgrado il suo titolo, non riconobbe l'esistenza delle nazioni se non in quanto possedessero ormai un'esistenza politica separata; ma trascurò ancor più completamente quella Commonwealth europea che la Santa Alleanza aveva riconosciuta ed accettata come base della nuova organizzazione internazionale. Il mancato riconoscimento dell'importanza vitale di questa unità storica nei rapporti internazionali, lasciò la Lega sospesa tra il duro realismo della presente politica di forza e l'idealismo nebuloso del liberalismo cosmopolita. Il risultato fu che la Lega rimase alle dipendenze di un'alleanza delle Potenze vincitrici e che il tramonto della loro egemonia militare ed economica portò inevitabilmente alla sua decadenza. Così c'è stato un conflitto tra gl'ideali della Lega ed i suoi interessi reali. L'idealismo della Lega favorì il disarmo, una politica di concessioni internazionali e di conciliazione e la tendenza a trattare ogni Stato come un socio a pari diritti in una fratellanza mondiale. Ma per far funzionare in quegli anni il sistema della Lega era necessario seguire una linea di condotta completamente opposta, mirando anzitutto e soprattutto al mantenimento della supremazia assoluta militare del gruppo di Potenze la cui unione era la sola base reale del sistema.

In altre parole, il fallimento della Lega fu dovuto al fatto che la sua base concreta politico-militare era troppo ristretta ed unilaterale e che la sua soprastruttura ideale era troppo universale. Il compito essenziale degli artefici della pace di Versailles era di creare un sistema fondato sull'autodecisione dei popoli, che avrebbe restaurato, in una forma più o meno rigida, la Commonwealth d'Europa, e di preparare le condizioni politiche per una collaborazione economica e culturale. Se si fosse riusciti a questo scopo, sarebbe stato possibile andar più innanzi ed istituire una specie d'organizzazione mondiale che promulgasse, come diceva il Patto fondamentale della Lega, "un diritto internazionale capace di servire da regola effettiva di condotta tra governi". Forse gli Stati Uniti, che rifiutarono di lasciarsi invischiare nella politica europea da impegni troppo ampi della Lega stessa, sarebbero stati disposti a collaborare in un'organizzazione più vasta e più imparziale di questo tipo, rendendo così possibile la creazione di un concreto ordine internazionale. Perché il fallimento della Lega delle Nazioni non significa che si possa abbandonare il principio morale basilare, quello invocato da Wilson ad ispirazione del suo programma, "il principio della giustizia per tutti i popoli e per tutte le nazionalità e il diritto di tutti, forti e deboli, a vivere in eguaglianza di libertà, e di sicurezza reciproca"; principio che il Liberalismo del secolo XIX ereditò dalla tradizione cristiana e che ancora una volta Pio XII proclamava in una recente Enciclica "principio essenziale della civiltà cristiana". E’ questo principio che oggi difendiamo contro quell'assolutismo totalitario che, come dice l'Enciclica, "si sostituisce a Dio e fa dello Stato o del gruppo il fine ultimo della vita, il criterio supremo dell'ordine morale e giuridico e fa tacere ogni richiamo ai principi della ragione naturale e della coscienza cristiana ".

Il conflitto che oggi minaccia di distruggere la civiltà non è conflitto di razza o di cultura, e nemmeno d'ideologia. E’ un conflitto della pura e semplice volontà di potenza che ha ingoiato ogni ostensibile ragione ideologica, quella razziale di ariani contro semiti, quella sociale di comunismo contro fascismo, quella internazionale di difensori e d'oppositori della Lega delle Nazioni. Se questa forza trionferà, l'Europa come comunità di popoli liberi sarà finita, perché l'appetito mastodontico di queste Potenze mostruose non potrà non ingoiare tutto ciò che è debole e distruggere tutto ciò che è forte. Ma sarà finita anche ogni speranza d'ordine internazionale, perché il conflitto odierno non è soltanto conflitto di rivalità e d'interessi europei. È un problema mondiale che si combatte in Europa, ma i cui effetti non possono rimanere limitati solo ad essa (1). L'idea stessa di diritto internazionale nel mondo moderno è un prodotto della civiltà europea ed ha le sue radici più profonde, come tutti i valori più alti di questa civiltà, nella fede in un ordine spirituale trascendente, in una legge naturale e divina a cui sono soggetti stati e popoli non meno che individui.

(1) Queste parole furono scritte prima dello scoppio della guerra nel Pacifico.

Come ha detto il Papa, soltanto ritornando a quella legge, il mondo si potrà salvare dall'abisso di disordine e di distruzione in cui sta precipitando. E questo è un problema ancor più fondamentale che non quello della Lega delle Nazioni o d'un qualsiasi schema d'unione federale. Soltanto quando s'accetti il principio morale della legge internazionale, si può avanzare verso la creazione d'un sistema, europeo o cosmopolita, che dia contenuto concreto a questi principi. Così, dopo il naufragio delle ideologie d'anteguerra, ci ritroviamo alla vecchia questione ideologica, ma su un livello più profondo: all'affermazione dei principi filosofici ed etici, su cui si fonda non soltanto la civiltà cristiana, ma in ultima analisi, ogni civiltà.

VI - Secolarizzazione della cultura occidentale (1)

(1) Adottiamo la terminologia dell'autore definita all'inizio di questo capitolo, benché non s'adatti perfettamente all'uso italiano. (Nota del traduttore).

Non si può trattare di storia moderna né da un punto di vista religioso né da un punto di vista politico, senza usare la parola "cultura". Ma essa ha tante accezioni e sfumature di significato che, per evitare confusioni inutili, è bene dir subito in che senso la si userà qui.

Il Concise Oxford Dictionary dà tre significati: lavorazione della terra, progresso dovuto all'esercizio della mente e del corpo, e sviluppo intellettuale. Ma nessuno di questi tre sensi è precisamente quello in cui la parola è usata da antropologi, sociologi e, sempre più, storici e filosofi. Da quando, nel 1871, Tyler pubblicò in Inghilterra il suo famoso libro sulla " Cultura Primitiva ", e molto tempo prima nel Continente, la parola si è estesa a significare l’intero complesso d'istituzioni, di costumi, di credenze, d'arti, di mestieri e d'organizzazioni economiche, che costituiscono l'eredità sociale di un popolo. Equivale quindi quasi esattamente alla parola "civiltà", sennonché questa si riferisce generalmente alle forme più alte di cultura, perché c’è un evidente controsenso nel parlare di "civiltà" dei popoli incivili. Adopero perciò la parola "cultura" in un senso più ampio, e "civiltà" nel senso di un tipo particolare di cultura, nelle sue manifestazioni più alte e coscienti.

Se quindi si può andare dietro ed oltre la civiltà e studiare la natura umana in uno stato relativamente primitivo, non si può mai andare di là dalla cultura. L'idea settecentesca d'uno stato di natura in cui l'uomo esisteva prima di lasciarsi irretire nei lacci dello stato e della religione organizzata ed a cui deve trasportarsi colla mente se vuoi costruire un ordine razionale della società, non è che mito e sogno. L'uomo primitivo rientra, come e più di un uomo civile, in un quadro sociale, spesso molto complicato; e dipende, come lui o più di lui, da tradizioni culturali.

È altrettanto impossibile separare la cultura dalla religione, e quanto più indietro si risale la corrente della storia, e quanto più si discende nella scala dell’evoluzione sociale, tanto più si trovano cultura e religione legate l’una all'altra. Questo è molto comprensibile, e dipende dalla natura della religione stessa: perché la religione non è, come credevano i razionalisti degli ultimi due secoli, un fenomeno secondario dovuto allo sfruttamento della credulità umana o, come dice Hobbes, " alla credenza negli spiriti, all'ignoranza delle cause seconde, alla venerazione di ciò di cui s'ha paura ed all’errore di prendere per pronostico ciò che è dovuto al caso"; la religione sta proprio al centro della coscienza umana, nel sentimento della dipendenza da potenze superiori, della relazione col mondo spirituale. Ed il fatto che una cultura quanto più è semplice, tanto più è strettamente legata alla religione, non significa che una cultura primitiva sia più spirituale d'una cultura più elevata, ma solo che i limiti ristretti del dominio sulla natura aumentano nell'uomo primitivo il senso della dipendenza e gli rendono difficile pensare che una società possa esistere senza l'intervento delle potenze misteriose che lo circondano.

La relazione tra forme più elevate e più basse di religione non ha mai avuto espressione più esatta, che nelle parole pronunciate dagli Apostoli Barnaba e Paolo ai semplici Licaoni quando questi li accolsero come dèi : "Predichiamo che abbandoniate queste vanità per servire il Dio vivente che ha fatto il cielo e la terra ed il mare e tutte le cose che sono in essi, quel Dio che nel passato ha permesso a tutte le genti di camminare per le loro vie. Egli però non ha lasciato il mondo senza testimonianze della Sua bontà e ci ha donato le piogge dal cielo e le stagioni dei frutti ed ha riempito i nostri cuori d'alimenti e di letizia". Per l’uomo primitivo la religione è precisamente connessa con quelle cose, alimenti e pioggia e corso delle stagioni, in cui vede la mano di Dio e l’opera di forze sacre e magiche. Perciò le sue consuetudini e le crisi della sua vita sono inestricabilmente intessute di credenze e di pratiche religiose; e questo intreccio costituisce i lineamenti della sua cultura.

Tuttavia anche le forme più crude e più primitive di religione non si riducono mai a questi lineamenti soltanto, ma possiedono sempre un elemento di trascendenza senza di cui cesserebbero d'essere religione. Perché, dato che la religione è il legame tra l'uomo e Dio, tra la società umana ed il mondo spirituale, essa ha sempre un duplice aspetto. Per l'estraneo, sia egli un esploratore od un critico razionalista, le religioni primitive sembrano un corpo morto di convenzioni e di superstizioni sociali che intralciano il progresso della società, mentre per il primitivo stesso la religione costituisce l'Ordine degli Dei, l'ordine tradizionale consacrato, che mette la vita umana in rapporto con le forze più alte. E vediamo dalla storia delle religioni più evolute che le pratiche religiose più semplici ed elementari non sono soltanto capaci di provocare emozioni religiose, ma di diventare il veicolo di concezioni profonde, come nel caso del rito sacrificale dell’India antica e dell'ordine delle cerimonie nell'antico calendario cinese.

D'altro lato, anche nelle religioni più alte, dove c'è un'affermazione cosciente dell'assoluta trascendenza di Dio e dell'ordine spirituale, non si trova ancora una separazione completa tra religione e cultura. Anche il Buddismo, che a prima vista sembra volgersi dalla vita umana e condannare tutti i valori naturali su cui è costruita la cultura, influenza da millenni la cultura del Tibet e di Ceylon ed imprime il suo carattere sulla loro vita sociale, non meno d'una religione francamente positiva, o, come si dice, "pagana", rispetto alla natura ed alla vita: umana. Religioni di questo tipo fanno tuttavia risaltare più chiaramente quell'elemento di tensione e di conflitto tra religione e cultura, che è meno evidente nelle religioni primitive, apparentemente del tutto fuse ed identificate colle forme sociali.

Perciò non si trova nulla in questi due tipi di cultura che corrisponda realmente al problema che oggi ci assilla, della separazione e del dislocamento tra religione e cultura. cioè d'una cultura secolarizzata. Senza dubbio altre culture hanno attraversato fasi di relativa secolarizzazione. come la Cina del terzo secolo a. C. e la Roma della fine della Repubblica. Ma queste fasi erano ristrette a particolari società e quasi certamente a piccole classi o élites. Ma oggi si tratta d'un fenomeno di vastità mondiale che, almeno nelle società più avanzate, abbraccia l'intera struttura sociale e tocca da vicino tanto la vita della gente comune quanto il pensiero delle classi e dei gruppi dirigenti.

E’ abbastanza facile vedere come l'universalità della situazione presente sia dovuta al fatto che la civiltà occidentale si diffuse in tutto il mondo, mediante l’espansione degli imperi, il progresso materiale e la penetrazione economica ed intellettuale. Ma che rapporto c'è tra la diffusione immensa di questa civiltà e la sua secolarizzazione? Sono in rapporto di causa ed effetto? Se sì, quale delle due è la causa e quale è l'effetto?

Non c'è dubbio che il rapido progresso materiale e la rapida diffusione della cultura occidentale abbiano avuto un effetto "secolarizzante". Gl'imperi mondiali perdono generalmente contatto colle loro radici spirituali: e questo vale anche dell'espansione amministrativa ed intellettuale della civiltà, come nel caso del mondo ellenistico del terzo e del secondo secolo a. C. Questa non è però la causa essenziale del cambiamento: perché la cultura occidentale si stava secolarizzando prima che cominciasse il gran periodo della sua espansione. Le cause prime di questo processo erano cause spirituali collegate con tutta l'evoluzione spirituale dell'uomo dell'Occidente e furono quelle stesse che provocarono l'espansione di questa cultura in altri paesi. Erano anzi due aspetti d'un processo unico, d'una rivoluzione mondiale così grandiosa che sembra trascendere la storia e creare nuove categorie che sfuggono alle nostre forme tradizionali di giudizio.

Il maggior difetto delle risposte tradizionali riguarda il problema religioso. Perché chi lo considera da un punto di vista cristiano, si trova di fronte al paradosso che l'origine di questa rivoluzione va cercata non in una cultura pagana, ma in quella cristiana: mentre lo storico laico, "secolare", deve fare i conti col fatto ugualmente imbarazzante che l'elemento dinamico di tutto il processo di trasformazione è stato l'elemento non secolare della cultura occidentale, tanto che una secolarizzazione completa della cultura, privata di quest'elemento, arresterebbe totalmente il movimento di progresso e produrrebbe una società statica tanto signora delle trasformazioni sociali da perdere ogni "slancio vitale".

La grandezza e la miseria della civiltà moderna è questa: ch'essa ha conquistato il mondo perdendo la sua anima; e che, persa l'anima, dovrà perdere anche il mondo. La civiltà occidentale non è mai stata un'unità naturale come le grandi civiltà dell'antico Oriente, l'Egitto, la Cina e l'India. E’ un'associazione mutevole di popoli e di paesi che deve la sua unità alla continuità d'una tradizione non prodotta da essa, ma ereditata, trasformata ed allargata fino a divenire la fonte d'un mondo nuovo, d'una nuova umanità. Per mille anni la portatrice di questa tradizione è stata la Chiesa Cristiana e durante questo periodo di formazione le nazioni potevano partecipare alla comunità della cultura occidentale soltanto diventando membri della Chiesa.

Questo fattore è stato raramente apprezzato a sufficienza dagli storici. Essi ammettono l'influenza della Chiesa nella storia medievale, come ammettono che dall’unità religiosa della Cristianità dipese l'evoluzione dei popoli occidentali. Ma mi sembra che nessuno di loro abbia compreso il valore del fatto, quasi unico nella storia del mondo, che l’Europa ha trovato la sua unità e la sua forma culturale non soltanto nella professione di una fede comune, ma entrando in una comunità spirituale preesistente e già dotata d'un principio organizzativo autonomo, con i propri organi d’autorità, le sue istituzioni e le sue le leggi. La Chiesa medievale non era uno stato nello stato, ma una società sovra-politica, di cui lo stato era un organo subordinato, locale e limitato. Idealmente c'era una grande società, quella del popolo cristiano, con una duplice gerarchia di ministri spirituali e temporali. Ed il conflitto spirituale che dominò la coscienza medievale non nasceva soltanto dai rapporti reciproci fra le due gerarchie, ma anche, seppure meno coscientemente e meno profondamente, dal problema di conciliare quest'ordine ideale col mondo reale di stati.

territoriali e di principati feudali, fondati colla spada dai discendenti dei barbari.

L'esistenza di questo doppio dualismo, di Chiesa e Stato e d'ideale cristiano e realtà barbarica, e una delle ragioni principali della mancata evoluzione della Cristianità occidentale in una civiltà religiosa chiusa come quelle dell'Oriente antico. L'unità della Cristianità fu invece spezzata e l’egemonia della Chiesa distrutta dalla rivoluzione religiosa del XVI secolo. Ma benché ciò preparasse la via alla secolarizzazione della cultura, nulla avrebbe potuto essere più alieno dalla volontà e dal pensiero dei capi del movimento che credevano anzi di lavorare alla " desecolarizzazione " della Chiesa ed alla restaurazione del Cristianesimo alla sua primitiva purezza: non comprendevano che il tentativo di purificare e di separare la religione dalle escrescenze culturali avrebbe avuto come contrapposto una aumentata secolarizzazione della vita e del pensiero. E questo, è ciò che infatti avvenne, con un processo graduale durato per secoli.

Nonostante ciò, la nuova cultura laica umanistica, che cominciava a svilupparsi in Occidente nel quattrocento e cinquecento, era ben lungi dall'essere totalmente secolare. Come ha mostrato il Burdach, l'idea stessa di Rinascimento, cioè della rinascita della cultura, era strettamente legata alla Riforma ed alla rinascita del Cristianesimo. Ambedue furono influenzate da principio dalle speranze apocalittiche d'un rinnovamento spirituale della Cristianità, così diffuse nei tardo Medio Evo, con manifestazioni diverse nell'Europa settentrionale ed in quella meridionale. Né gli umanisti né i riformatori sognavano di distruggere la Cristianità; credevano, come Erasmo. " che il mondo si riprendesse, come se si risvegliasse da un profondo sonno ", e pensavano che la religione e la cultura potessero mutare la pelle e ringiovanire ritornando alle origini.

Così il Rinascimento, come Colombo, scoprì un mondo nuovo, mentre cercava nuove vie per raggiungere il mondo vecchio. L'abolizione improvvisa delle barriere che avevano contenuto il pensiero e l'azione dell'uomo medievale, la scoperta di nuovi mondi e delle possibilità illimitate della ragione umana, sprigionarono energie

83

prima ignote che diedero alla cultura occidentale un nuovo carattere mondiale. Benché la cultura, occidentale fosse ancora nella sua infanzia, uomini come Leonardo da Vinci, Paracelso, Campanella e Bacone avevano ormai cominciato a comprendere come essa potesse trasformare il mondo. Scrive Campanella:

Gloria a Colui che ‘l tutto sape e puote:

O arte mia, nipote al Primo Senno,

Fa' qualche cenno di su' immagin bella,

Ch'uomo s'appella.

E, dio secondo, miracol del primo,

Egli comanda all'imo, e 'n ciel sormonta

Senz'ali, e conta i suoi moti e misure

E le nature.

Il vento e '1 mar ha domo, e 'l terren globbo

Con legno gobbo accerchia, vince e vede,

Merca e fa prede.

Ei leggi pone, come un dio. Egli astuto

Ha dato al cuoio muto ed alle carte

Di parlar arte; e che i tempi distingua

Da al rame lingua.

L'autore di questi versi è un esempio tipico del modo in cui il Rinascimento fondeva, la cultura umanistica cogli ideali religiosi apocalittici e colle speranze rivoluzionarie d'un nuovo ordine della società.

Durante i suoi trent'anni di prigione nelle carceri di Spanna e dell'Inquisizione, il Campanella continuò a sostenere le sue idee d'un mondo futuro in cui l'umanità sarebbe unita sotto il governo della natura. Ma anche nella sua prima forma, più rivoluzionaria, la Città del Sole di Campanella era lungi dall'essere secolare. Era una teocrazia comunista totalitaria governata da un re sacerdote, il Metafisico, eletto a suffragio universale, e da tre ministri (rappresentanti le tre Persone della Divinità: Potenza, Saggezza ed Amore), addetti rispettivamente alla guerra, alla scienza ed all'educazione, all'economia ed all'eugenica. Né proprietà, né matrimonio, né famiglia erano riconosciuti ed i magistrati distribuivano il lavoro secondo le capacità, gli onori secondo il merito ed il cibo secondo i bisogni ed il fisico.

A prima vista l'utopia di Campanella assomiglia a quella di Tommaso Moro, ma ne differisce profondamente

84

in ispirito ed in intenzione. Tommaso Moro non fu decapitato per la sua " utopia ", ma per aver difeso l'ordine tradizionale della Cristianità. Ma l’utopismo del Campanella, era nettamente rivoluzionario, come apparve nel tentativo fantastico d'un manipolo di frati e di fuorilegge di rovesciare il governo spagnolo nel 1599 e di fondare la Città del Sole a Stilo in Calabria. Per questo credo che Campanella, più di Tommaso Moro e più degli Anabattisti di Munster, dovrebbe essere considerato il precursore del moderno socialismo rivoluzionario, tanto più che l'idea dell'organizzazione e del controllo della vita sociale per mezzo della scienza naturale formava parte essenziale della sua teoria. Eppure, nonostante il suo pensiero rivoluzionario e la sua rottura completa colla tradizione culturale del Cristianesimo medievale, il suo ideale non era, come ho già detto, secolare. Più che guardare innanzi a se, allo stato secolare ed alla secolarizzazione della vita, egli guardava al passato, all'identificazione pagana della religione colla cultura. Per questo egli fu sì acerbo nemico della Riforma, che considerava un movimento individualistico, mirante a desecolarizzare la religione, e dovuto alla naturale indisciplina della gente germanica : insomma una nuova rivolta dei barbari.

Nonostante tutta la sua incomprensione della situazione, egli ha colto questo elemento di verità : che la causa principale della secolarizzazione della cultura occidentale fu la scomparsa dell'unità cristiana, la dissoluzione della comunità in cui i popoli dell'Occidente avevano la loro cittadinanza spirituale. Il fatto stesso della scomparsa dell'unità creò un territorio neutrale che gradualmente si estese fino ad includere quasi intera la vita sociale. Le guerre di religione e la lunga disputa sulla tolleranza religiosa, che produssero, nel XVII secolo, e specialmente in Inghilterra, una sì vasta letteratura, costrinsero gli uomini ad accettare almeno come necessità pratica il principio della comune azione politica ed economica da parte d'uomini di dottrina teologica e di chiesa diverse. Ed una volta ammesso il principio che un eretico può essere un buon cittadino (e che un infedele può essere un buon uomo d'affari!), si fu inevitabilmente portati a considerare come mondo

85

reale questa attività pratica e come mondo privato la sfera esclusiva della religione, fosse essa una fede personale o semplicemente un'opinione privata.

In questo modo nacque la nuova cultura umanitaria liberale, che rappresenta uno stadio intermedio tra l'unità religiosa della Cristianità ed un mondo totalmente secolarizzato. Sul continente essa fu da principio un'elite internazionale, sovrapposta alla cultura tradizionale del popolo e la sua diffusione nella società fu accompagnata, almeno nei paesi cattolici, da una violenta crisi rivoluzionaria. Soltanto in Inghilterra e nell'America del Nord essa procedette nell'altra direzione, dal basso all'alto, perché s'ispirò non soltanto all'idealismo razionalistico della tradizione umanistica, ma ancor più all'idealismo religioso del puritanesimo, colla sua concezione della " Sacra Repubblica " e della Libertà Cristiana.

Ma ambedue queste correnti si fusero infine per formare la cultura borghese liberale del secolo XIX col suo individualismo e la sua etica cristiano-umanitaria, colla sua fede nella ragione e nel progresso, nel libero scambio e nel governo costituzionale. Il posto occupato dalla religione in questa cultura, differiva da paese a paese e da classe a classe. Ma credo che complessivamente si sia avuta la tendenza a sottovalutarne l’importanza. Nel primo periodo dell'Inghilterra vittoriana, per esempio, quello che colpiva l’osservatore straniero non era semplicemente il numero dei praticanti, ma il fatto che il Cristianesimo influenzava la politica. Uno statista francese del tempo scriveva : " Le convinzioni religiose non sono lì semplici norme di condotta privata o dilettantismo intellettuale, ma entrano nella vita politica, ed influenzano le azioni degli uomini di governo, perché la coscienza vale per ciascun individuo. Le sette religiose dissidenti sono generalmente le prime ad agitarsi energicamente quando sembri loro che la religione le obblighi a perseguire un dato fine particolare. Il movimento si estende allora attraverso l'intera chiesa cristiana del paese, poi penetra nelle varie classi della società civile e finalmente raggiunge il governo stesso, che o va d'accordo, o si rassegna a seguire. Così è stata abolita la tratta degli schiavi ; così lo spirito di pace ha

86

predominato in Inghilterra fino agli ultimi anni. divenendo potente sia per la, saggezza degl'interessi materiali, sia per la forza delle convinzioni religiose; e fu imposto dalla nazione al governo, che da parte sua, durante questo periodo non ha osteggiato il sentimento pubblico, ma lo ha volontariamente adottato come. norma di politica generale " (1).

Il fatto che la cultura liberale si basava su valori morali cristiani, la rese accessibile ad influenze religiose anche in un'età secolare. Ciononostante gli elementi spirituali della cultura liberale non erano abbastanza forti per dirigere le forze immense messe all'opera dal progresso delle scienze applicate e dalle nuove tecniche economiche. Il trionfo della macchina che fu in un certo senso il risultato della cultura liberale, si dimostrò fatale ai valori ed agl'ideali liberali e, in ultima analisi, ai tipi sociali che avevano creato e in cui s'era concretata la cultura.

La macchina, significò un aumento ed una concentrazione di potenza e portò in un primo tempo alla meccanizzazione della vita economica e poi della vita sociale. E’ vero che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti gli effetti rivoluzionavi della meccanizzazione furono ridotti dall'immensità, sterminata dei territori coloniali e dai mercati stranieri ad assorbire le nuove forze economiche che in essi si trovavano. Il suo carattere rivoluzionario divenne evidente soltanto quando la meccanizzazione fu applicata al mondo chiuso dell'Europa continentale. E questo soprattutto quando la meccanizzazione passò dalla borghesia liberale dell'Occidente alle mani delle monarchie burocratiche dell'Europa orientale, che s'accinsero a risolvere i problemi del nuovo ordine colla politica di forza e d'organizzazione militare.

Il grande conflitto che ha diviso l'Europa del XX secolo e che ha prodotto due guerre mondiali, è il risultato dell’applicazione d'una medesima tecnica con spirito opposto e con opposti fini; in un campo la scienza e la meccanizzazione venivano usate con spirito commerciale per l'accrescimento della ricchezza : nell'altro, con uno spirito militare per la conquista della potenza.

(1) Guizot, Memoires II, 72. (Trad. ingl. 1859).

87

E col procedere del conflitto, la meccanizzazione della vita diventa sempre più completa fino a che la condizione necessaria per la sopravvivenza della società sembra risiedere in un'organizzazione totalitaria.

La cultura liberale cerco d'evitare il pericolo d'una completa secolarizzazione insistendo sulla conservazione d'un margine di libertà individuale, immune dal controllo dello stato a cui, almeno in teoria, era subordinata la vita economica. E nell'ambito della libertà individuale, la libertà religiosa era la rocca di difesa della personalità, umana. Ma il progresso della meccanizzazione e l'organizzazione sociale che necessariamente ne deriva, hanno costantemente ridotto questo margine di libertà al punto che oggi il controllo sociale si estende, negli stati totalitari, all'intera vita ed alla coscienza stessa; e negli stati democratici non si è molto lontani da questo. Dato poi che questo controllo s’esercita in uno spirito utilitario a fine politico, economico e militare, la secolarizzazione completa della cultura sembra inevitabile. Se la religione sopravvive ancora, ciò è dovuto da un lato al fatto che la tecnica del controllo sociale non è ancora completamente sviluppata, cosicché ci sono degli angoli remoti della società e della personalità umana che sono riusciti a sfuggire, in un modo o nell’altro, al processo di reggimentazione, e dall’altro lato, perché la religione stessa viene usata dallo stato come strumento per il controllo sociale, prcss'a poco come Augusto quando risuscitò i riti e le istituzioni moribonde del paganesimo romano per aggiungere al suo ordine nuovo il prestigio dell'antichità e della tradizione. Ma una religione di questo tipo, usata o come mezzo a fini politici, o al massimo come strumento di cultura, ha perduto il suo carattere trascendente e con ciò ha cessato d'essere una religione nel pieno senso della parola.

Così, come ho detto, il progresso della civiltà occidentale per mezzo della scienza e della potenza sembra condurre ad uno stato di totale secolarizzazione in cui sia religione sia libertà scompaiono simultaneamente. La disciplina imposta all'uomo dalla macchina è talmente stretta, che la natura umana stessa corre il pericolo d'essere meccanizzata ed assorbita nel processo materiale. Dove questo venga accettato come un'ineluttabile

88

necessità storica, abbiamo una società organizzata con spirito strettamente scientifico; ma sarà un ordine statico e senza vita, senz'altro fine che la propria conservazione, che deve poi provocare l'indebolimento della volontà umana e la sterilizzazione della cultura". D'altro lato, se la società, rifiuta il determinismo scientifico, e cerca di conservare e di sviluppare la vitalità umana nell'ambito d'uno stato totalitario, essa è costretta, come nella Germania nazionalsocialista, a sfruttare gli elementi irrazionali della società e della natura umana, scatenando al dominio ed alla distruzione del mondo le forze della violenza e dell'aggressione che tutte le culture del passato hanno cercato di disciplinare e di controllare.

Questo è il dilemma d'una cultura secolarizzata, e non possiamo evitarlo né con un idealismo umanitario che chiuda gli occhi al lato irrazionale della vita, né con una religione di spiritualità personale che tenti di trovare rifugio in un mondo a sé che il "tecnico costruttore della società " rapidamente liquida ed inaridisce.

PARTE SECONDA

RESTAURAZIONE DI UN ORDINE CRISTIANO

L'idea d'una società legata ad un programma, " preordinata ", ha avuto un effetto rivoluzionario sul pensiero e sull'azione politica dell'ultimo ventennio; ma l'opinione pubblica non ne coglie tutta l'importanza. Eppure questa idea può significare per la civiltà umana il cambiamento più vasto dalla fine dell'età della pietra e dal sorgere delle civiltà arcaiche dell'Egitto, della Mesopotamia e delle valli dell'Indo e del Fiume Giallo.

Tale idea è senza dubbio implicita (e se n'erano già accorti gli uomini del Rinascimento, quali Leonardo, Campanella e Bacone) nell'idea di scienza applicata. Essa è meno apparente nel periodo successivo in conseguenza della fede settecentesca in un'armonia prestabilita tra il mondo della natura e quello morale, per cui l'interesse dell'individuo era una guida infallibile al benessere della società e si guardava con sospetto all'attività dei governi.

Furono i socialisti dell'ottocento, e specialmente i sansimonisti, che primi divulgarono l'idea e vi basarono sopra la loro filosofia sociale.

Quest'idea divenne finalmente realtà politica nel secolo XX colla Rivoluzione russa e col sorgere dello stato totalitario. Soprattutto l'iniziativa staliniana del Piano Quinquennale del 1938 suscitò un interesse mondiale per la possibilità d'un programma statale d'azione su vasta scala, e diede origine a tutta una letteratura di propaganda e di discussioni sull'argomento.

L'idea di un piano economico e sociale non rimase però monopolio della Russia o del comunismo. Fu accettata dalle democrazie occidentali come soluzione della crisi economica e della disoccupazione ed ispirò negli Stati

92

Uniti il New Deal di Roosevelt. In Germania poi fu applicata colla massima perfezione tecnica e con una forza spietata alla riforma, dell'intera vita nazionale in forma nazista ed alla preparazione per la conquista ed il dominio del mondo.

La rivelazione delle sinistre possibilità d'una simile organizzazione scientifica sfruttata da stati totalitari, ha condotto ad una certa reazione contro l'ingenua idealizzazione del "piano", dell'ordine prestabilito, quale panacea sociale infallibile. Tutti tendono a riconoscere la necessità di difendere la libertà, umana ed i valori spirituali contro gli effetti disumanizzanti di un'organizzazione totalitaria della società. I primi difensori del " piano " sociale in Inghilterra ed in America sono stati i socialisti riformisti, che accettavano ancora i valori umanitari e liberali e non pensavano ad altro che ad eliminare l'egoismo e la confusione del sistema capitalistico. Ma quando videro che dittatori e militaristi usavano la stessa idea per fini molto diversi, furono costretti a rivedere il loro programma; e cominciarono a rendersi conto che i valori liberali, da loro accettati senza esame, erano legati più strettamente che non avessero creduto, con i valori cristiani da loro respinti e che se non si difendono questi valori contro l'inumanità diabolica delle nuove tirannidi, tutti questi risultati dell'organizzazione scientifica e del controllo scientifico della società, non solo sarebbero vani, ma diverrebbero strumenti di distruzione e di degradazione.

E’ quindi ora di riesaminare il problema, del " piano ", dell'ordine prestabilito, nelle sue più vaste conseguenze. La discussione è stata limitata finora ai problema politico ed economico, ma l'opinione pubblica non ha quasi toccato ancora il problema basilare d'una civiltà " prestabilita ". Ed è proprio la ripulsione naturale d'una civiltà prestabilita che costituisce una delle forze più potenti della lotta contro il totalitarismo.

Ma non occorre essere materialisti per rendersi conto che non si può avere un ordine sociale prestabilito senza coinvolgere allo stesso tempo problemi culturali ed economici. Si può limitare il piano culturale come hanno fatto in passato gli stati democratici, ma allora bisogna limitare anche il piano economico. Ogni piano economico totalitario

93

significa una società prestabilita e perciò una cultura altrettanto prestabilita. Ed il crudo utilitarismo della civiltà, moderna è dovuto proprio a questa situazione, in cui un piano culturale è una questione estemporanea che l'economia prestabilita impone alla società, contro la sua voglia ed i suoi desideri.

Perché se si accetta il principio d'un " piano " sociale dal basso all'alto senza curarsi dei valori morali, ci troveremo con una cultura, standardizzata che differisce da paese a paese soltanto nel grado di meccanizzazione raggiunto. Per la maggioranza, degli uomini questa e una prospettiva spaventosa, perché per l'uomo medio la razionalizzazione della vita non è l'unico bene; che anzi la gente è più spesso attratta dalla varietà, che dalla razionalità della vita. Anche se si potesse risolvere ogni problema materiale della vita, miseria, disoccupazione e guerra, e costruire un ordine mondiale scientificamente prestabilito, esso non soddisferebbe né gli elementi più forti né quelli più deboli della natura umana.

Per i " progressisti ", queste idee di solito non vanno perché sono " reazionarie ". E non si può negare ch'esse sono gli argomenti dei conservatori, dei tradizionalisti e dei romantici. Burke ed i romantici furono i primi a svolgerli contro il razionalismo sociale dell’illuminismo e della Rivoluzione francese. Ma la loro critica era basata su una, visione realistica della storia e, soprattutto, su una visione molto più profonda e più chiara della cultura che non quella dei filosofi ch'essi criticavano. Essi vedevano l'immensa ricchezza e vitalità della cultura europea nel suo sviluppo molteplice nelle varie nazioni attraverso i secoli, e al confronto l'ideale filosofico d'una società fondata su principii razionali astratti sembrava vuoto e privo di vita.

Ed oggi, nonostante tutti i risultati della tecnica e le aumentate possibilità del controllo sociale, rimane ancora il problema : è possibile produrre con un piano scientifico una cultura altrettanto ricca e varia e vitale come quella, che crebbe inconsciamente o quasi nel corso dei secoli?

Se si paragona la società moderna prestabilita colle società storiche non prestabilite a cui succede, vediamo ch'essa e immensamente superiore il loro in potenza e ricchezza, ma ha

94

due grandi debolezze : sembra che non abbia posto (o molto poco) per la libertà umana e che trascuri i valori spirituali.

Questi due difetti sono più che mai evidenti negli stati totalitari, così assolutamente spietati contro i diritti dell'individuo. Ma dovunque la moderna cultura meccanizzata di massa ha avuto il sopravvento, anche in paesi di tradizioni liberali, troviamo la libertà individuale minacciata dalla pressione delle forze economiche ed i valori culturali più elevati sacrificati alle forme inferiori della civiltà di massa. Qui non si tratta semplicemente d'un conflitto di classe perché la standardizzazione culturale, lungi dall'essere limitata alla vita del proletariato, tocca nella forma più estrema, i livelli economici più alti. L'albergo di lusso è uguale in tutto il mondo e rappresenta un tipo dì cultura totalmente materialistico, mentre la locanda delle classi più povere ha conservato moltissimo della sua individualità e del suo carattere nazionale o locale.

La cultura passata era caratterizzata da una grande disuguaglianza e varietà di libertà individuale. Esisteva ogni tipo di libertà diverse : il nobile, il borghese ed il contadino avevano ciascuno la propria libertà ed i propri limiti. C'era in complesso molta libertà e nessuna uguaglianza, mentre oggi c'è molta uguaglianza, ma quasi nessuna libertà.

Similmente, la vecchia civiltà aveva un dominio molto limitato sull'ambiente naturale e sociale; ma aveva norme spirituali molto chiaramente definite, ed era ricca di valori culturali. Questi erano, naturalmente, in primo luogo valori religiosi, perché la religione era allora la suprema forza unificatrice, ma erano anche valori culturali in senso più stretto che davano a quella società un senso dello stile molto maggiore del nostro.

Oggi abbiamo fatto un progresso incalcolabile nel dominio scientifico dell'ambiente, ma al medesimo tempo la nostra civiltà ha perduto tutte le norme ed i fini spirituali chiaramente definiti, ed i nostri valori culturali si sono impoveriti.

La vecchia civiltà, orientata religiosamente si disgregò più di due secoli fa, ed ora assistiamo al medesimo processo di disgregamento della cultura umanistico-liberale che

95

ne ha preso il posto. Questo disgregamento della cultura non significa tuttavia che chi oggi vuol fare il " piano " moderno della società possa ignorare il problema culturale ed accontentarsi d'una ricostruzione economica e politica. Al contrario, uno dei fattori principali del disgregamento culturale è stato un errore di questo genere e di lì è nato il disordine di cui soffre il mondo moderno e che s'esprime in rivoluzioni ed in guerre.

Una civiltà che concentra la sua attenzione sui mezzi e trascura quasi completamente i fini, deve necessariamente disgregarsi e perdere la sua spiritualità. Questo è avvenuto nelle nostre società democratiche che hanno concentrato l'opera loro nei "piani" d'organizzazione tecnica ed industriale, lasciando la sfera della cultura all’iniziativa individuale, dove, naturalmente, manca ogni "piano". Questo era possibile prima dell'età della macchina, quando la classe dominante consisteva di proprietari nel vecchio senso della parola, gente con una base economica stabile e con una tradizione di agi, non diversa dalla classe dei cittadini nell'antichità. Ma quando questa classe ebbe perduto la sua base economica, e fu progressivamente assorbita nell'ordine meccanizzato, cessò d'essere culturalmente produttiva.

D'altro lato, gli stati totalitari hanno avuto i loro piani centralizzati, con fini ben definiti, ma sono stati ancor più crudamente materialisti degli stati democratici. I loro piani sono a breve scadenza e perciò pratici ed utilitari. E se essi hanno fatto piani culturali, li hanno subordinati a questi fini pratici, col risultato che la cultura è stata ancor più degradata e vuotata di spiritualità. Nelle democrazie c'è stata certamente perdita e c'è stato impoverimento di valori spirituali. Quelli che rimangono sono però liberi e non abbiamo la sensazione che la religione e la filosofia, l'arte e la scienza, vengano prostituite per servire agl'interessi d'un partito o dello stato.

Si può obiettare che questa subordinazione della cultura alla politica è inseparabile dal concetto di " piano ", d'ordine prestabilito. Una cultura libera significa cultura senza "piano", ed organizzarla significa metterla a servizio di fini sociali e perciò dello stato.

96

Questo è il problema vitale. È possibile sviluppare una cultura preordinata senza toglierle la libertà? Un "piano" culturale non implica forse necessariamente uno stato totalitario?

Questa è la questione che il Dott. Mannheim tratta negli ultimi capitoli del suo Man and Society. Le origini del totalitarismo, egli osserva, vanno ricercate nell'assolutismo militare del continente : " L'esercito degli stati assoluti fu la prima grande istituzione che non soltanto inventò metodi razionali per creare artificialmente, mediante la disciplina ed altri mezzi diretti a vincere la paura, una uniforme condotta di massa, ma usò questi mezzi anche per educare grandi masse di uomini. scelte per lo più fra le classi infime, ad agire, e, se possibile, pensare nel modo prescritto (1).

Questo sistema di trasformare colla costrizione una massa d’individui in un corpo disciplinato è evidentemente semplicissimo e molto rudimentale, ma chi vi è stato abituato è naturalmente più suscettibile d'organizzazione totalitaria che non chi è stato abituato a sistemi più democratici. Così non c'è da meravigliarsi che le due grandi società totalitarie d'oggi siano le eredi delle due più grandi monarchie militari di ieri, la Russia e la Prussia. Mentre le due grandi società democratiche, la Commonwealth britannica e gli Stati Uniti d'America, sono essenzialmente stati "in borghese", che non hanno mai conosciuto, se non in momenti eccezionali, una reggimentazione universale, imposta da un sistema militarista.

Ma questo metodo d'imporre un'organizzazione uniforme con una disciplina obbligatoria, benché facilissimo e capace di risultati rapidi, non è, a lungo andare, il più efficace, non soltanto perché lascia un campo troppo ristretto all'adattamento dell'individuo, ma perché una società basata sulla disciplina e sull'obbedienza cieca ha meno risorse interne e meno potere di resistenza morale che non una società libera. Un popolo che possa organizzarsi liberamente sarà più forte d'uno organizzato per forza. È la vecchia storia dei soldati-

(1) K. Mannheim, Man and Society, p. 255 (Kegan Paul, 1940).

97

cittadini dell'antica Grecia contro gli eserciti della Persia.

Ora nel caso d'una società "prestabilita" moderna, si tratta di vedere se si può sostituire alla Gleichschaltung obbligatoria della dittatura totalitaria un libero coordinamento di tutti gii elementi sociali, un processo che il Dott. Mannheim paragona all'orchestrazione d'una sinfonia. Ma una sinfonia implica, oltre ad un direttore, anche un compositore. E dove lo si troverà? E’, mi pare, l'ideale del Filosofo-Re o del legislatore d'una repubblica platonica. Ma chi è oggi capace di prendere la parte di legislatore del mondo spirituale? Il Dott. Mannheim è forse d'accordo che questo problema non è ancora risolto e che né il biologo, né l'economista sono capaci di risolverlo. Egli pensa piuttosto al sorgere d'una nuova scienza di psicologia sociale che guiderà il legislatore non solo nel compito d'organizzare la cultura esistente, ma in quello di trasformare la natura umana in modo che soddisfi alle nuove condizioni di un ordine prestabilito, perché " soltanto rifacendo l'uomo è possibile ricostruire la società'". "Allo stadio presente ", egli scrive, "ci occorre un nuovo tipo di previsione, una nuova tecnica per risolvere i conflitti, assieme ad una nuova psicologia, ad una moralità, ad un piano d’azione diversi sotto molti rapporti da quelli prevalenti nel passato ". "Mentre fino ad ora nessun gruppo particolare ha avuto la responsabilità di creare una unità sociale, perché tutto quello che accadde fu il risultato d'un compromesso casuale tra tendenze contrastanti, ci sono oggi sintomi che se chi è nella politica s'ostina a non guardare di là dal suo interesse immediato, la società sarà condannata" (Op., cit. p. 15).

Mi sembra che la soluzione del Dott. Mannheim vada incontro a due difficoltà. Anzitutto, una scienza sociale come quella ch'egli desidera, benché se ne vedano segni precursori, non è ancor nata. In secondo luogo, la riforma della natura umana è compito che trascende di molto la politica e che, affidato allo stato, porterebbe inevitabilmente ad una distruzione della libertà umana ben più radicale di quella tentata dagli stati totalitari.

98

Questi stati ci mostrano tuttavia i pericoli d'un ordine completamente prestabilito che sacrifichi sull'altare del successo immediato e della potenza le libertà ed i valori spirituali del vecchio tipo di cultura. Un "piano " della cultura non può intraprendersi in ispirito dittatoriale, come un piano di riarmo, perché essendo compito molto più alto ed arduo di qualsiasi organizzazione economica, richiede maggiori risorse d'ingegno, di conoscenza e d'intelletto : più ancora, va intrapreso in uno spirito religioso.

E’ chiaro che, nel passato, ogni volta che la cultura veniva diretta a fini coscienti, ciò avveniva soprattutto per opera della religione. Nel Medio Evo la religione creò le istituzioni culturali che guidarono e diressero la mente della società, cosicché tutte le più alte attività della cultura erano, se non scientificamente preordinate, almeno dotate di forma e d'unita spirituale. E nella cultura umanistico-liberale che formò il periodo di transizione tra il Cristianesimo medievale e la civiltà laica moderna, la religione aveva ancora una grande importanza culturale. Benché spesso i liberali non ne tenessero conto e cercassero di basarsi su idee astratte, la religione era la fonte delle norme morali e dei valori spirituali, essenziali alla tradizione liberale. Ma gli ideali razionali del liberalismo derivavano da una tradizione storica religiosa e la cultura liberale fu più forte e resistente precisamente in quelle società in cui era più viva la coscienza cristiana sociale e politica.

Ciononostante il liberalismo preparò le vie alla completa secolarizzazione della società facendo una netta divisione tra il mondo pubblico dell'economia e della politica ed il mondo privato della religione e della cultura intellettuale. Limitò il " piano " alla sfera più bassa e lasciò quella più alta interamente libera ed interamente inorganizzata. Perciò, coll'estendersi del "piano" e dell'organizzazione alla sfera più alta, siamo costretti, nei nostri schemi d'organizzazione sociale, a tenere conto della religione e perciò a " delaicizzare " la cultura, o a trascurare totalmente la religione, e quindi a produrre una cultura completamente secolare, come quella comunista basata sul materialismo economico.

Quando l’ordine sociale europeo era coscientemente religioso, esso conservava una

99

duplice organizzazione sociale. Si riconosceva che la sfera della religione e dell’intelletto trascendeva lo stato, avendo nella Chiesa la sua propria organizzazione o società spirituale. Questa organizzazione dualistica aveva, per la cultura europea, un'importanza molto maggiore che comunemente non si credesse. Era, senza dubbio, entro certi limiti, una fonte di conflitto e di tensione, d'una tensione sana e vitale, che contribuì assai alla libertà della società occidentale ed alla ricchezza della sua cultura.

È evidente che la cultura moderna è troppo secolare e la religione moderna troppo divisa per poter ridare vita direttamente a questo principio, facendo ancora una volta della Chiesa la comunità, che tutto abbraccia. Qualsiasi tentativo di fare ciò dall'esterno, come una misura di restaurazione sociale, sarebbe costruzione artificiale, non viva spiritualità. Il campo in cui un tempo dominava la Chiesa è ora in gran parte deserto. La religione s'è ritirata in fortezze isolate, dove rimane sulla difensiva, tendendo lo sguardo sulla campagna di tra le feritorie del suo castello.

Né le condizioni della cultura intellettuale sono migliori; anzi, in un senso, sono peggiori, perché il suo disgregamento è più recente, e non ha avuto il tempo, che ha avuto la religione, d'organizzare le sue difese. Sembra anzi che si cominci ad assistere ad una specie di persecuzione della cultura, del tipo del movimento anticlericale ed antireligioso del secolo scorso. Naturalmente la cultura che si sta aggredendo non è la medesima cultura che abbiamo discussa. E’ una specie d'intellettualismo isterilito, privo ormai d'ogni funzione e d'ogni senso di responsabilità sociale.

Questa è una forma di cultura, decadente e morente, e destinata a scomparire. Ma questo non significa che la società possa esistere del tutto senza cultura, è facile dire: "Al diavolo ,la cultura"; ma questo è proprio quel che è capitato; e vedete dove siamo finiti! Nell’ultimo trentennio gli elementi che per natura avrebbero dovuto dirigere la cultura occidentale sono stati quasi tutti annientati, sul campo di battaglia, da compagnie d’esecuzione, in campi di concentramento, in esilio. Un uomo muscoloso può valere più

100

d'un sapiente, ma una società dominata dai muscoli non è necessariamente una società, muscolosa : più probabilmente è una società disordinata e disgregata, fenomeno abbastanza comune nella storia, tipico dei periodi di transizione, e spesso seguito da un'acuta reazione che prepara la via ad una rinascita spirituale.

Presto o tardi, la cultura deve rinascere, la vita spirituale della società occidentale si deve riorganizzare. Quanto più completa e riuscita è l’opera dell'organizzazione, tanto più sarà necessario avere un obiettivo sopraeconomico d'azione sociale. Se l'aumentato dominio sullo "ambiente e le aumentate risorse materiali sono dedicati esclusivamente alla moltiplicazione quantitativa dei bisogni e delle soddisfazioni materiali, la civiltà finirebbe in un marasma d’incontinenza collettiva. Ma la soluzione più naturale e razionale sarebbe di dedicare questa aumentata potenza e ricchezza e questo maggiore benessere, derivante da un ordine sociale prestabilito, a fini culturali, o, come direbbe Aristotele, a " vivere bene" . Perché la cultura più alta è, in sostanza, il frutto del soprappiù d'energie e di risorse d'una società. Cattedrali e teatri, università e palazzi, sorgono naturalmente appena una società abbia acquistato un margine di libertà e di agi.

È evidente che la nuova società basata su un " piano" dovrebbe essere culturalmente più creativa che non le società del passato, che hanno compiuto sì grandi cose, malgrado la loro povertà e la loro debolezza. La ragione per cui questo non si è fino ad ora realizzato è la nostra preoccupazione intensa ed unilaterale per il problema economico che ha inaridito tutte le funzioni non economiche, ed ha anche creato il problema della disoccupazione nella forma in cui lo conosciamo. Ma una cultura preordinata, complemento necessario di un'economia preordinata, rimetterebbe in bilico la bilancia della società, perché dedicherebbe altrettanto pensiero e sforzo sociale organizzato allo sviluppo delle funzioni non economiche. Segnerebbe così un ritorno alla tradizione dell'età preindustriale che assegnava alle funzioni non economiche un valore sociale molto più alto di quanto non si sia fatto nell'Occidente negli ultimi 150 anni.

101

Rimane il problema se si possa assolvere questo compito d'una cultura "preordinata", come spera il Dott. Mannheim, mediante lo sforzo puramente razionale richiesto da un piano scientifico o se invece c'è nella cultura e nella vita umana un elemento che trascende necessariamente ogni " piano ", allo stesso modo che ci sono elementi irrazionali e subrazionali che si possono preordinare soltanto meccanicamente. In altre parole, avremo nell'avvenire una cultura completamente laica, o avrà essa un carattere religioso?

Per il vecchio razionalismo, non c'è questione d'elementi soprarazionali. La religione non è che un'espressione dell'irrazionale umano, un potere oscuro e sinistro, nemico sia della vera cultura sia della scienza. Ma il razionalismo moderno è alquanto diverso e, più che insistere che la religione è irrazionale, sostiene ch'essa "sublima l’irrazionale". La si critica però anche come un modo di sfuggire alle responsabilità, come una soddisfazione di vani desideri, come un sostituto illusorio della realtà. Se così fosse, sarebbe inutile cercare nella religione una fonte di potenza spirituale ; si troverebbe in essa una fonte di debolezza, una specie di nevrosi collettiva che perverte ed inaridisce le energie sociali (1).

Ma è possibile conciliare una simile idea colla realtà storica? Perché la religione è stata senza dubbio una delle maggiori forze motrici della storia umana. Sembra che abbia accresciuto, piuttosto che diminuito l'energia collettiva, e tutte le volte che l'umanità, si è mossa, la religione è stata come la colonna di fuoco e la nuvola che guidavano gl'israeliti attraverso il deserto.

Sembra perciò impossibile credere che la potenza dello spirito non sia che una perversione e quindi una degradazione dell'energia fisica, come ci porterebbe logicamente a concludere l'argomento razionalista. Sarebbe come dire che la ragione nasce dalla perversione dell'irrazionale. E un modo di pensare che conduce al vuoto

(1) Questa è la teoria freudiana. Freud scrive: " Le religioni dell'umanità vanno classificate come illusioni di massa di questo tipo ", cioè trasformazioni illusorie della realtà, basate sul desiderio d’ottenere certezza di felicità o protezione dalla sofferenza. S. Freud, Guerra e Morte, trad. ingl., di J. Richman (1939), p. 34.

102

del nichilismo e dell'assurdo. Se, d'altra, parte, partiamo da princìpi opposti, cioè dalla forza creativa della ragione e dal primato dello spirito, dobbiamo lasciare nel nostro mondo preordinato, un posto per una forza che trascenda, il "piano"; e l’unico posto che le convenga è sulla vetta, perché essa è la sorgente dell'energia spirituale ed il principio direttivo dell'intero sviluppo civile. Poiché come un piano economico è impossibile se la società non possiede una certa dose di vitalità fisica, una volontà di vivere che fornisca la forza motrice per il lavoro, così il " piano " culturale richiede un principio analogo di vita spirituale, senza il quale l'idea dì cultura diventa una pallida astrazione.

L'unico modo di secolarizzare" la cultura è dare un fine spirituale a tutto il sistema d'organizzazione; cosicché la macchina diventi schiava dello spirito e non la sua nemica o la, sua padrona. Evidentemente questo è un compito immenso; ma non possiamo evitarlo nel prossimo avvenire. Se la cultura non deve essere dinamizzata dal basso mediante lo sfruttamento delle forze animali subrazionali della natura umana, essa deve essere attivata dall'alto e venir messa ancora una volta in rapporto colla potenza di Pio, colla Sua sapienza e col Suo amore. La fede nella possibilità di quest'azione divina sul mondo è la base del pensiero cristiano. "Noi crediamo che la Grazia divina abbia una nuova risposta ad ogni nuova necessità, e che ogni crisi storica, crisi del destino umano, venga risolta da un nuovo efflusso dello Spirito. La Chiesa ed ogni cristiano hanno il compito di preparare la via a questa azione divina, d'aprire le finestre della mente umana e d'abbassare il velo dell'ignoranza e dell'egoismo che tiene addormentata l'umanità. I Vangeli ci mostrano come la religione possa agire da alleata alla stupidità umana ed alla mala volontà, come possa accecare gli occhi degli uomini e chiudere i loro orecchi; ma non si possono usare i Vangeli a provare il fallimento della religione. Essi anzi provano che la potenza dello Spirito può spezzare ed abbattere tutti gli ostacoli e superare tutte le barriere più complicate che l'ingegno umano possa inventare. E se la situazione presente sembra sotto molti aspetti più grave che mai nel passato, essa è anche più instabile, meno fissa nei

103

costumi e nelle passioni. Anzi sotto certi aspetti, la meccanizzazione della vita umana la rende più sensibile all’influenza spirituale che non il vecchio tipo di cultura, non organizzata. Al momento presente questo fatto è più che mai evidente dove le forze in questione sono più malvagie; ma evidentemente questa non può essere la sola possibilità, ed il grande problema che dobbiamo affrontare è scoprire i mezzi necessari per aprire questo nuovo mondo meccanico, senza anima e distruttore dell'anima, al mondo spirituale che gli è così vicino.

II - Principii sociali cristiani

La fede cristiana ha sempre sostenuto la possibilità della salvazione. Contro il ricorrere di credi fatalistici e materialistici che hanno legato il destino umano alle stelle od alla terra, essa ha sostenuto la libertà umana ed il suo destino spirituale. Ha riconosciuto, più francamente di molte delle filosofie umane, la realtà del male e l'immensa influenza del male sulla natura umana. Ha però sostenuto che questo lussurioso animale carnivoro dalle passioni infinitamente più distruttrici ed incalcolabili di quelle delle belve della giungla, perché guidate dall’intelligenza, è capax Dei, capace d'acquistare una natura spirituale e di raggiungerti un fine divino. Perché il Cristianesimo, più d'ogni altra religione, è caratterizzato dalla sua dottrina del rinnovamento e della rigenerazione spirituale. Per esso la natura umana va sanata e trasformata in Cristo; per esso esiste la creazione d'una nuova umanità.

Questa grande verità centrale è stata oscurata e spesso dimenticata dall'individualismo religioso degli ultimi due o tre secoli, che concepivano la salvazione come una felice vita dell'al di là, raggiungibile dalle persone pie a ricompensa della loro perfezione morale o delle loro pratiche religiose. Ma l’idea cristiana della salvazione è essenzialmente sociale. Ha le radici nel Vecchio Testamento, nella concezione del Popolo di Dio, nell'insegnamento profetico della restaurazione spirituale d'Israele, e nella manifestazione progressiva del piano divino nella storia. Apparisce nel Vangelo come la buona novella della venuta del Regno, un Regno non nazionale o politico nel senso in cui lo concepivano gli ebrei, ma universale e trascendente, un nuovo ordine spirituale, destinato a trasformare

106

il mondo e l'umanità. E finalmente le conseguenze teologiche ed antropologiche di questa credenza sono sviluppate appieno negli scritti apostolici che dichiarano il mistero della salvazione, il mistero dell'Incarnazione, cioè la nascita d'una nuova umanità, per mezzo della quale l'uomo viene assunto nell’unità organica del Corpo Divino (1).

Se questa è l’essenza della dottrina cristiana per quanto riguarda la natura ed il destino dell'uomo, è chiaro ch'essa deve determinare la concezione cristiana della storia e dell'ordine sociale. Tutti gli avvenimenti temporali e tutti i mutamenti della civiltà vanno riportati, in un modo o nell'altro, a questa realtà centrale. Non c'è nulla d'umano che non sia toccato da questa rivoluzione divina. Emitte Spiritum Tuum et creabuntur et renovabis faciem terrae.

Il nuovo mondo, la nuova umanità, esistono come un lievito o un seme sotto la superficie dell'ordine presente che i Cristiani chiamano " mondo ". Noi crediamo che quel lievito sia destinato a trasformarlo, crediamo che verrà il giorno in cui i regni di questa terra diverranno il Regno di Cristo, e tutte le cose saranno rinnovate. Non è certo facile, accettare quest'idea, che da un punto di vista umano, appare incredibile. Eppure già una volta il mondo ha sperimentato questa verità : perché che cosa avrebbe potuto sembrare più impossibile che la trasformazione della civiltà antica per opera di pochi uomini oscuri e non istruiti, appartenenti alla razza disprezzata d'un paese remoto? Eppure fu così, e dopo diciannove secoli, dopo che tanti regni e tanti popoli sono venuti e passati, questa trasformazione ha ancora una certa influenza sulla nostra vita e sul nostro pensiero.

Si dirà che questo non può accadere una seconda volta, che quel che è passato, è passato, è diventato parte della storia. Ma i Cristiani pensano altrimenti. Per loro la conversione del mondo pagano non è che un esempio, un assaggio della potenza propria alla fede cristiana, di trasformare il mondo; per i Cristiani è anormale quel Cristianesimo statico e

(1) Cf. F. Prat, S.J., La théologie de St. Paul, 2a ed. -1912, I p. 429 e sgg.. Le grand mistère.

107

passivo che il mondo moderno considera naturale. Ma il mondo moderno è, come abbiamo visto, quel mondo secolarizzato che ha scartato il Cristianesimo come parte d'un passato morto, privo ormai d'ogni senso dei valori spirituali cristiani.

Oggi tuttavia, non assistiamo al precipitare della cultura tradizionale della Cristianità, ma alla catastrofe della cultura secolare che ne prese il posto. Perché la nostra civiltà non ha saputo soddisfare i bisogni più profondi dell'uomo, e così ha creato un vuoto spirituale, un " cuore d'oscurità e di caos" dominato dall'ordine meccanico e dall'intelligenza scientifica del mondo moderno. Ecco perché si esige un ordine nuovo, una soluzione totale dei problemi sociali, una riorganizzazione della società, che trasformi la vita umana, che rifaccia l'uomo. Questi non sono, in fondo, che sintomi dell'esigenza religiosa fondamentale, l'esigenza della salvazione, vestita di forme nuove, corrispondenti alla cultura esclusivamente secolare da cui sono nati. Ma se, come abbiamo cercato di provare, il fallimento della civiltà moderna è strettamente legato al suo secolarismo ed alla sua perdita di valori spirituali, è inutile sperare in rimedi, per quanto energici, che trascurino questo problema fondamentale. Perciò c'è più che mai ragione d'affermare l'altra soluzione, quella cristiana, d'un rinnovamento e d'un ordine spirituale, perché in esso e non nell'organizzazione politica ed economica si trova il vero significato e l'attualità dei principi cristiani. La Chiesa parla un linguaggio diverso da quello del mondo moderno che ha perduto l'idea stessa della teologia, e dobbiamo fare i conti col fatto che le parole della Bibbia e dei Padri della Chiesa ed i dogmi sono lettera morta per la maggioranza degli uomini odierni ; che cioè le grandi realtà fondamentali, le verità da cui dipende tutto il resto, verità più reali di ciò che vediamo e tocchiamo, sono gettate da parte come parole vuote, pie formule che non toccano neppur da lontano la vita moderna.

Anche da un punto di vista esterno e superficiale, sarebbe un errore lasciare che difficoltà di questo genere oscurassero alla nostra mente principi ed idee che hanno un valore concreto per i problemi fondamentali del nostro tempo.

1. Il diritto di natura.

Quali sono i principi più importanti su cui si basa la concezione cristiana dell'ordine cristiano? Anzitutto c'è il principio della dipendenza della vita e della società umana dall'ordine divino ; l'idea del Diritto Naturale mediante cui ogni essere razionale partecipa alla Ragione Eterna, fonte e legame di tutto l'ordine cosmico.

Questa è un'idea antichissima, tanto vecchia che giuristi, filosofi e teologi l'hanno trattata come un principio accettato universalmente fin dagl'inizi della civiltà. Ciononostante, oggi lo si sfida nel modo più diretto e radicale, anzi si può dire che in questa sfida sta la ragione morale fondamentale di questa guerra. Perché tutto il sistema, nazionalsocialista, colla sua esaltazione dell'illegalità e dell'aggressione riuscita, colla sua affermazione dei diritti del più forte a spese del più debole e col suo cinico disprezzo della legge e dei trattati internazionali, non è che la negazione della tradizionale concezione del Diritto Naturale e l’espressione d'una teoria diametralmente opposta ad esso.

Secondo questa nuova dottrina, la, legge è un atto politico che non esprime se non la volontà della comunità e dello stato. La volontà dello stato è legge, e poiché lo stato mira alla propria conservazione ed al proprio interesse, la legge non è basata sulla giustizia, ma sulla volontà di potenza e sulla volontà dì vivere. E così abbiamo un'altra " legge di natura " (un altro " diritto naturale"), legge amorale, perché esprime la medesima forza irrazionale che spinge le belve a divorarsi a vicenda e che fa prosperare gl'insetti a danno d'organismi più alti.

Quindi tutto dipende dalla soluzione di questo problema : esiste un ordine spirituale che sia naturalmente rivelato all'uomo mediante la nozione del bene e del male? O invece il mondo corre ciecamente, spinto da forze irrazionali cui l'uomo deve servire, pena la morte? Nel primo caso è chiaro che stati e nazioni sono, come gl'individui, legati da una e

109

legge superiore a quella dell'interesse proprio e della propria conservazione. C’è una legge eterna che governa tutte le cose e che è, si può dire, la ragione dell'universo. A quest'ordine l'uomo partecipa coscientemente, in quanto è un essere razionale e morale; da esso traggono la loro definitiva sanzione tutte le leggi umane. Come dice Sant'Agostino in un passo famoso della "Città di Dio " : " Non si può credere che Iddio, da Cui tutti gli esseri, tutte le forme, tutto l'ordine, traggono la loro esistenza e che non ha negato né al Cielo, né alla Terra, né agli Angeli, né agli uomini, né alla più bassa delle creature, né alla penna dell'uccello, né al fiore della pianta, né alla foglia dell'albero l'armonia delle parti che loro compete, e, per così dire, una certa, pace, non si può credere che Egli abbia voluto che i regni degli uomini, i reggitori, i sudditi, fossero estranei alla Sua provvidenza ".

E’ vero che Sant'Agostino sapeva benissimo di quante tenebre fosse fatta la storia dell'uomo e che anche la pace e l'ordine relativi dati al mondo antico dall'Impero Romano erano stati acquistati soltanto a prezzo immenso di sangue e d'umana sofferenza. L'Impero non era realmente creazione della giustizia, ma della volontà di potenza; ma in quanto non s'accontentava, di potenza- soltanto, ma voleva regnare colla legge, accettava il principio della giustizia e con esso i principi morali e le leggi eterne che ne sono la fonte prima.

Questo è il significato del Diritto Naturale nel senso tradizionale cattolico; dottrina molto semplice che si può compendiare nelle parole di S. Tommaso, che " esiste negli uomini una legge naturale, partecipazione alla legge eterna, per cui gli uomini distinguono il bene dal male". Senza questo potere di discernimento l'uomo non sarebbe un essere ragionevole. Ma questo non significa che tale legge fornisca un codice bell'e fatto di regole accettate da tutti. Il senso morale varia secondo le capacità intellettuali e queste come quello variano col variare dell'educazione, della cultura e del carattere. Perciò S. Tommaso ammette che il Diritto Naturale possa essere oscurato o pervertito da cause sociali ; e porta ad esempio le parole di Cesare sui Germani, che non consideravano cosa ingiusta il furto, purché avvenisse fuori delle frontiere dello stato, ma ne facevano

110

anzi una lodevole attività giovanile (1). Ma benché la coscienza morale dell'uomo possa essere limitata e condizionata da fattori sociali, essa non può mai essere totalmente annullata; allo stesso modo che l'uomo è sempre un essere razionale, anche se è in uno stato di barbarie che paia all'uomo civile poco più alto di quello d'un animale. E come ogni uomo possiede, mediante la ragione, una qualche conoscenza della verità, così ogni uomo ha per natura qualche conoscenza del bene e del male, che gli rende possibile d'aderire all'ordine universale o di deviarne.

Come ho già detto, quest'idea di Diritto Naturale è così fondamentale che fu accettata come verità, evidente sia da teologi sia da giuristi ai tempi dell'Impero Romano fino ai giorni nostri. Così tutta la teoria giuridica ciceroniana è basata sul principio che la legge umana, non è se non un’applicazione di principi fondati sulla natura e sull'eterna legge di Dio, indipendenti dalla volontà dei reggitori, dalle decisioni dei giudici, dalla volontà del popolo, esattamente come ne è indipendente il corso della natura. E 1800 anni dopo Cicerone, Blackstone, la personificazione del tradizionalismo legale e del buon senso inglese, dichiarava che la " legge di natura, essendo vecchia come l'umanità e dettata da Dio stesso, ha una forza coattiva naturalmente superiore a qualsiasi altra legge. Comanda e lega su tutto il globo, in tutti i paesi ed in tutti i tempi; nessuna legge umana ha validità se è contraria a questa legge " (2).

Come avvenne che questa tradizione sacra e secolare è stata abbandonata quasi dappertutto nel mondo moderno? I suoi nemici vengono da campi diversi; ma non a caso vanno d'accordo su questo punto, sintomo d'una frattura profondissima nel pensiero europeo. Questo rifiuto del Diritto Naturale è dovuto da nn lato ad un elemento del pensiero protestante, e più specificatamente luterano, cioè alla dottrina della totale depravazione umana e del dualismo (o piuttosto della contraddizione) tra Natura e Grazia per cui la prima sarebbe in preda alle forze del male, fino a che non la salvi l'irruzione

(1) Cesare, De Bello Gallico, VI, 25.

(2) Introduzione al Commentaries.

111

violenta della grazia divina. Questo dualismo porta ad un distacco tra la religione e la legge morale che viene così ad avere soltanto un valore temporale. Nel linguaggio di Lutero la legge appartiene alla terra, il Vangelo appartiene al cielo, e devono essere tenuti separati il più possibile. " "Nel governo civile bisogna esigere ed osservare nel modo più rigido l’obbedienza alla legge: lì non deve esistere né Vangelo, né coscienza, né grazia, né remissione di peccati, e neppure Cristo stesso, ma soltanto Mosé, la Legge, le opere. Così Legge e Vangelo vanno tenuti quanto si può distanti l’uno dall’altro, e ciascuno deve rimanere al posto che gli compete. La Legge deve stare lungi dal cielo, cioè dal cuore e dalla coscienza, mentre la libertà del Vangelo deve stare lungi dal mondo, cioè fuori del corpo e delle sue membra. " (1).

Per il profondo pessimismo di Lutero la natura non era che il regno della morte : la Legge di Natura, era legge d'ira e di punizione; così il suo estremo " soprannaturalismo " preparava la secolarizzazione del mondo e l'abolizione delle norme oggettive.

Ma la rivolta contro il Diritto Naturale non nasceva soltanto dallo " oltramondanismo " di Lutero e dei "Riformatori. Molla ancor più potente ne era il " mondanismo " degli statisti e nei pensatori del Rinascimento. Già prima della Riforma, Machiavelli aveva dato alla luce la sua " Guida dell’Uomo Intelligente alla Politica", in cui l'arte del governo è studiata come tecnica amorale mirante all'acquisto ed al mantenimento del potere; lo stato perde così il suo carattere religioso d'organo della giustizia divina e gl'interessi dello stato divengono norma suprema d'ogni azione politica.

Questa è la fonte della "nuova giurisprudenza" che prese il posto d'ella legge comune della Cristianità e che, come spiegava Leone XIII nelle sue Encicliche politiche (2). minava le basi morali della civiltà occidentale. In questa " nuova giurisprudenza" non c'era posto per la consacrazione dello-stato a Dio, espressa un tempo in forma tanto solenne e sacramentale nel rito della coronazione dei re cristiani. Al contrario, essa

(1) Commento alla lettera ai Galati.

(2) P. es. Immortale Dei, e Libertas praestantissimum.

113

implica la secolarizzazione dello stato e la sconsacrazione della legge e dell'autorità; emancipando il principe dalla subordinazione ad un ordine superiore, privò lo stato sia del principio dell'ordine che di quello della libertà.

Questo falso realismo politico che nega o trascura le realtà spirituali è non meno fatale alla tradizione cristiana e non meno distruttore della Cristianità come realtà sociale, del falso spiritualismo di Lutero. Anzi, la sua influenza è stata più ampia e più profonda, perché non è stata limitata a pochi paesi e popoli, ma ha raggiunto cattolici e protestanti allo stesso modo, ed è aumentata coll'aumentata secolarizzazione della nostra civiltà. Il pensiero di Lutero appartiene ad un mondo diverso da quello in cui viviamo ; benché fosse in rivolta contro il Cattolicesimo medievale, egli era ancora un uomo del Medio Evo. Ma il pensiero di Machiavelli è ancor vivo nel mondo moderno e trova espressione nelle parole e nei fatti di statisti e di dittatori moderni. Come scrive Pio XII nella sua Enciclica " Tenebre sopra la Terra". " Oggi le idee false del passato si sono amalgamate con nuove invenzioni e con nuovi errori della mente umana. E questo processo perverso ha tanto progredito che nulla rimane se non confusione e disordine. Bisogna segnalare un errore fondamentale, che è come la fonte, ben profondamente nascosta, dei mali dello stato moderno. Sia nella vita privata sia nello stato stesso, e nelle relazioni tra stato e stato, e paese e paese, si prescinde dall'unica nonna morale universale, intendiamo dire dalla Legge di Natura, dal Diritto Maturale, ora sepolto sotto una massa di critica distruttiva e di trascuratezza ".

2. L'idea di Cristianità.

Ho già indicato le cause storiche di questa rivolta contro la classica concezione cattolica del Diritto Naturale e la loro stretta dipendenza, dallo spezzarsi dell’unità religiosa medievale nel secolo XVI. Oggi vediamo risorgere sia nelle sfere religiose sia in quelle laiche questa critica del Diritto Naturale, tanto ch'esso è diventato uno dei punti più aspramente dibattuti della dottrina cattolica. Fino a che si rimane in campo cristiano,

113

come nel caso di Karl Barth e dei suoi discepoli, inglesi, questa critica nasce in parte dall’incomprensione del posto assegnato al Diritto Naturale dalla teoria cattolica. Esso non è mai stato considerato l'unica base della teoria sociale cristiana; è essenzialmente parziale e limitato. Per la Chiesa la civiltà non è un ordine statico, basato sulle norme immutabili del Diritto Naturale, ma una realtà storica concreta che trae i suoi valori morali e perfino la sua unità, spirituale dalla tradizione religiosa.

Nonostante i numerosissimi studi dedicati alla dottrina sociale delle Encicliche papali negli ultimi anni, si è prestata relativamente poca attenzione a questo loro aspetto, benché esso si ritrovi in tutte le Encicliche dal 1878 ad oggi, e non si possano senza di, esso comprendere gl'insegnamenti riguardanti l'ordine internazionale. Esso si basa sull'idea che l'Europa è essenzialmente una società di popoli cristiani, di nazioni cristiane, uniti non dalla razza o da interessi economici, ma da una comunità spirituale, e che solo restaurando questa base spirituale si può restaurare l'ordine europeo.

Come diceva Benedetto XV, "la storia insegna che quando la Chiesa pervase del suo spirito le nazioni antiche e barbare dell'Europa, a poco a poco s'appianarono le molte e molteplici differenze che le dividevano; s'estinsero le loro lotte; ne venne col tempo una società omogenea, da cui uscì l'Europa cristiana, che, sotto la guida e gli auspici della Chiesa, pur conservando la varietà delle nazioni, tendeva ad una unità, produttrice di prosperità e di gloria" (1).

Così la civiltà cristiana, pur non essendo la meta del Cristianesimo, è in realtà un suo frutto. Perché, come scriveva Pio X nel 1905, (3) ci sono nell’ordine naturale molti benefici, che, pur non essendo Io scopo diretto della missione della Chiesa, ne sono tuttavia naturali conseguenze. " La Chiesa ", egli scriveva, " mentre prega Gesù Crocifisso, pietra dello scandalo e follia agli occhi del mondo, è stata la prima ispiratrice e promotrice della civiltà. Essa s'è diffusa dovunque hanno

(1) Pacem Dei munus pulcherrimum, 23 maggio 1920.

(2) Il fermo proposito, 11 giugno 1905

114

predicato i suoi apostoli, conservando e perfezionando ciò ch'era buono nell'antica civiltà pagana, traendo in salvo dalla barbarie ed innalzando a forma di società civile i nuovi popoli rifugiatisi nel suo grembo materno e dando a tutta la società umana lentamente, ma con marcia sicura e sempre avanzante, quello stampo caratteristico ch'essa, ancora conserva in ogni luogo. La civiltà del mondo è civiltà cristiana e tanto più è vera, durevole e produttrice di frutti preziosi, quanto più francamente cristiana, ma tanto più debole, a grande detrimento della società, quanto più si allontana dall’ideale cristiano".

" Così per forza intrinseca delle cose, la Chiesa diventa ancora una. volta custode di fatto e protettrice della civiltà cristiana. Questa verità fu riconosciuta ed ammessa in tempi passati ; formava perfino la base irremovibile della legislazione civile. Su di essa sì fondavano le relazioni fra Chiesa e Stati, il pubblico riconoscimento dell'autorità della Chiesa in tutte le questioni riguardanti in un modo o nell'altro la coscienza, la subordinazione di tutte le leggi dello stato alle leggi divine del Vangelo, l'armonia, dei due poteri civile ed ecclesiastico, per procurare il benessere temporale delle nazioni senza danno al loro benessere eterno" (1).

Questo concetto della civiltà cristiana che non è un ideale astratto, ma reale tradizione storica, che si è concretata in istituzioni sociali e che si manifesta in molteplici attività culturali, è l’idea della Cristianità. Sia che l'accettiamo o che la respingiamo come ideale, non possiamo negare che essa fu cosa reale, una grande fonte d'unità europea, la miniera da cui fummo estratti, la pietra, in cui fummo tagliati. Perfino Gibbon, che nessuno vorrà accusare d'esagerata simpatia per l'elemento cristiano nella nostra civiltà, ne è testimonio favorevole quando dice che la religione e l'autorità dei Papi cementarono l'unione della repubblica cristiana e produssero gradualmente le abitudini uniformi e la giurisprudenza

(1) Il fermo proposito, 1905

115

comune che hanno distinto dal resto dell'umanità le nazioni indipendenti e perfino ostili dell’Europa moderna " (1).

Ma benché l'Europa tragga la sua forma, la sua unità spirituale e la sua cultura dalla tradizione cristiana, essa non è più " Cristianità " ; o piuttosto è Cristianità in uno stato di disgregamento e di dissoluzione, perché, come dicono le Encicliche, la cultura europea non può rimanere se stessa se è priva dei suoi fondamenti religiosi. Il Cristianesimo è l'anima della civiltà occidentale. E quando l'anima se ne va, il corpo imputridisce. Non è in pericolo la professione esterna del Cristianesimo, ma l'intimo legame che tiene unita la

società, che tiene stretti fra loro gli uomini e che tiene in stretto rapporto l'ordine dello stato e l'ordine della natura. E quando scompare questo vincolo, nulla rimane se non il principio della forza bruta, essenzialmente inconciliabile con una società pluralistica quale la comunità europea, forza rivoluzionaria che distrugge, sia nell'ordine sociale sia in quello internazionale, mettendo classe contro classe e nazione contro nazione, fino a che o la società è annientata o l'umanità è ridotta ad un livello di sterile servitù sotto il pugno dì ferro della forza. Per più di settant'anni un Papa dopo l'altro hanno ammonito il mondo moderno della catastrofe imminente, (2) ed ora la catastrofe è venuta.

L'ottimismo, che riempiva il XIX secolo dei sogni utopistici umanitari di progresso materiale e d'illuminismo, non inganna più nessuno. C’è, se mai, il pericolo di cadere negli estremi opposti del disfattismo e della disperazione. È perciò importante non perdere di vista l'aspetto positivo dell'insegnamento dei Papi e ricordare che la Santa Sede non ha mai disperato della repubblica cristiana, ma, come diceva Leone XIII, " si è fatta baluardo per salvare la società umana, da una ricaduta nella barbarie ".

Perché se la civiltà europea trae vita ed unità da un principio spirituale superiore, essa non è legata al ciclo

(1) Gibbon, Decline and Fall of the Roman Empire, cap. XXXVII.

(2) P. es. Leone XIII, nella prima Enciclica, Inscrutabili, del 1878.

116

fatale di nascita, e di morte. Essa ha in un certo senso un'anima immortale, o almeno una possibilità di rinnovarsi spiritualmente. " Ristaurare tutte le cose in Cristo ", scriveva Pio X nell'Enciclica sopracitata, " è sempre stato il motto della Chiesa, ed è specialmente il motto nostro nei tempi pericolosi in cui viviamo... ristaurare in Cristo non solo ciò che dipende dalla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche, come abbiamo spiegato, ciò che naturalmente deriva dalla sua divina missione, cioè la civiltà cristiana, in ciascuno ed in tutti gli clementi che la compongono".

Così l'apparente apostasia della Cristianità e le catastrofi sociali e politiche che ne seguirono non distruggono la possibilità d'una restaurazione. Le catastrofi possono anzi preparare la via al rinnovamento abbattendo le mura e le torri costruite dagli uomini a rifugio del loro egoismo, a fortezza della loro superbia. Tra le rovine rimangono ancora le fondamenta d'un ordine cristiano, perché esso si basa sull'eterna legge di natura, che è la legge di Dio, e sulle immutabili esigenze della natura umana. Abbiamo con noi, diceva il Papa nel suo appello radiodiffuso alla vigilia della guerra, non soltanto lo spirito della vecchia Europa che ha conservato la fede nel genio del Cristianesimo, ma tutta la razza umana che ha fame di pane e di libertà, non d'acciaio.

D'altro lato, come mostra, il Papa nell'Enciclica " Tenebre sopra la terra ", i principii che hanno minato e distrutto l'ordine cristiano non sono soltanto negativi, ma addirittura innaturali. Perché sia la negazione della fratellanza dell'uomo, sia l'affermazione dell'onnipotenza e dell'assolutismo dello Stato hanno origine nella negazione della Legge Naturale che, come insegna Leone XIII, è fonte e norma della legge e della società umane (1). Se l'Europa cristiana è divenuta una vera società di nazioni, ciò fu perché riconobbe questa suprema legge che trascende le differenze nazionali e gl'interessi dei governi. Perché, come dice Benedetto XV, quantunque la legge sia stata spesso violata, quantunque ci siano state guerre e rivoluzioni ed innumerevoli ingiustizie sociali, la santità della legge fu sempre

(1) La Libertà umana.

117

riconosciuta dalla coscienza della Cristianità sì da fornire una nonna oggettiva per giudicare le nazioni (1).

Senza giustizia, lo Stato non è che furto organizzato, e la legge delle nazioni non è se non legge di distruzione del più debole. Oggi si trascurano i diritti delle nazioni perché l'Europa non possiede più una norma morale comune. E’ vero che dopo l'altra guerra si tentò di restaurare l'ordine internazionale, dando giustizia a tutti i popoli ed a tutte le nazionalità, e di ridare loro il diritto di vivere tutti su uno stesso piano di libertà e di sicurezza, forti o deboli che fossero (e questo era in perfetto accordo colle Encicliche) ; ma la Lega delle Nazioni non riuscì a restaurare un ordine cristiano perché ignorò l'aspetto spirituale del problema, e creò uno scheletro giuridico d'ordine internazionale, non il corpo vivente d'una comunità spirituale. Perché, come ha detto il Papa attuale, anche i regolamenti migliori e più dettagliati saranno imperfetti e condannati al fallimento se i popoli ed i governanti non si sottometteranno volontariamente a quello spirito che solo può dar vita, autorità e obbligatorietà alla lettera morta dei patti " (2).

Il risultato fu che la Lega non riuscì nel suo compito di vincere la corsa verso l'anarchia, la guerra, e la rivoluzione: ed al suo posto si sviluppò mostruoso l'assolutismo totalitario, che, come dice il Papa, elegge se stesso ai privilegi dell'Onnipotenza, e " tratta lo Stato o la massa dei cittadini come il fine a cui deve tendere ogni azione umana e la norma con cui vanno giudicate tutte le questioni morali e legali". Se questo assolutismo trionferà sarà la fine del Cristianesimo, la fine dell'Europa come comunità di popoli liberi, la fine della civiltà stessa. La sua sconfitta, dipende in ultima analisi non dalla forza delle armi, ma dalla forza dello Spirito, da quella misteriosa influenza che sola può cambiare la natura umana e rinnovare la faccia della terra.

3. La forza dello Spirito.

Dal punto di vista cristiano, il fallimento della Lega delle Nazioni e la sterilità che ha

(1) Ubi arcano Dei: cf. Pio XII, Tenebre sopra la terra.

(2) I cinque punti del Papa per la pace.

118

colpito tutti gli altri tentativi degli uomini di buona volontà per creare un giusto ordine sociale ed internazionale, sono un risultato inevitabile della, progressiva secolarizzazione della cultura moderna. Come ha osservato Pio XII nell'Enciclica "Tenebre sopra la Terra ", gli effetti di questo processo non possono essere circoscritti alla sfera teologica. Alla perdita della fede in Dio segue 1a perdita dei principi morali universali, ed infine la perdita di tutto ciò che tiene legato uomo ad uomo. Per mancanza di fede in Dio, le nazioni si disgregano e si distruggono reciprocamente.

It will come

Humanity must prey upon itself

Like Monsters of the deep. (1)

La nostra civiltà sta cadendo in potere a queste forze cieche perché ha perduto lo Spirito, fonte di vita e di luce. Come ha detto il Papa, nessuna organizzazione politica, nessun ordine nuovo, nessuna Lega di Nazioni, nessuna istituzione internazionale potrà aiutarci se non ci rendiamo conto di ciò e se non ci sottomettiamo a questo potere che solo può dare vita, autorità ed obbligatorietà alla lettera morta della legge. Ma come si può fare? E’ possibile che un mondo così vecchio, così deluso ed infedele, ringiovanisca e rinasca nello Spirito? È il problema di Nicodemo : " Come possono accadere tali cose? " E la risposta per i popoli o per le civiltà è la medesima che per gl'individui. "Lo Spirito soffia dove vuole e tu odi la Sua voce, ma non sai donde venga e dove vada" . Non si può circoscrivere il potere di Dio o negare la possibilità, della Sua azione creatrice e non si può neppure decidere in anticipo come ci si comporterà di fronte ai nuovi compiti che potremo essere chiamati ad assolvere come nazione e come gruppo.

Nel Vecchio Testamento i profeti ammonivano continuamente gli ebrei a non fidarsi dell'abilità e dell'efficacia dell'azione politica, a non affidarsi al " braccio della carne", a non aspettare il "giorno dell'Uomo": ma condannavano anche non meno energicamente il

(1) Giorno verrà in cui l'umanità si scaglierà a distruggere se stessa, come i Mostri dell'abisso.

119

debole dì cuore, il fiacco di spirito, che non voleva chiedere grandi cose a Dio ed aver fede di essere salvato da Lui di fronte a difficoltà e disastri travolgenti.

La situazione odierna esige nuovi metodi d'azione. Dobbiamo armarci per un conflitto spirituale contro le forze organizzate del male, che, come dice S. Paolo, non sono soltanto materiali o umane, ma sono anch'esse spirituali, i " Signori del mondo delle tenebre ". il cui assalto subdolo e violento travolge, le fragili barriere d'un ordine e d'una civiltà umana che hanno negato la loro esistenza stessa.

A chi non vede nel male che un'astratta generalizzazione degli errori, delle debolezze dagl'individui, la soluzione cristiana sembra naturalmente altrettanto vaga ed oscura. Ma se riconosciamo l'immane realtà dei mali che ci sovrastano, vedremo che la potenza dello Spirito è l'unica potenza che può sopraffarli.

Siamo ad una delle grandi svolte della storia: un giudizio delle nazioni più terribile di qualunque giudizio descritto dai profeti. Tutte le risorse della scienza della tecnica di cui andavamo tanto orgogliosi, sono oggi metodicamente dirette a distruggere il nostro mondo. E dietro a questa distruzione materiale, ci sono mali ancor più grandi, la perdita della libertà e la perdita della speranza, l’asservimento d'interi popoli all'ordine inumano della violenza e dell'oppressione. Eppure, per quanto tenebroso appaia, l'avvenire, sappiamo che la decisione finale non è nelle mani dell'uomo, ma nelle mani di Dio, e che Egli non vuole abbandonare l'umanità in preda ai suoi impulsi di distruzione e sotto il giogo delle potenze del male. Iddio non soltanto governa la storia, Egli interviene come attore nella storia, ed il mistero della divina redenzione e la chiave della Sua azione creativa. Perché la regalità di Cristo e la Sua autorità sopra le nazioni non sono pie frasi : sono princìpi d'importanza rivoluzionaria sia per l'ordine morale come per quello politico. Scriveva Newman un secolo fa : " La religione di Cristo non era soltanto un credo od una filosofia. Un credo o una filosofia non avrebbero avuto bisogno d'intromettersi nei regni di questo mondo; avrebbero potuto esistere sotto l'Impero Romano o sotto quello

120

Persiano. No; il Regno di Cristo fu un "controregno ". Conquistò terreno, avocò a se il diritto di governare sugli uomini, su cui fino allora, avevano dominato senza rivali i governi di questo mondo : e se i regni di questo mondo non vollero riconoscere questa legge e sottomettervisi e reggere all'ombra di essa ed in armonia, con essa, il Regno di Cristo li frantumò non colle armi della carne, ma colla potenza divina ".

III - La Spada dello Spirito

Abbiamo visto come la teoria cristiana dell'uomo e della società sia ben lungi dall'essere quel tradizionalismo statico che ila hanno creduta, tanto spesso i critici razionalisti. Quello che distingue, la teoria cristiana da quella secolare della storia e soprattutto la credenza nel governo divino del mondo, nell'intervento dello Spirito nella storia, e nell'umana libertà di resistere a quest'azione divina o di collaborare con essa. Questi concetti sono evidentissimi nei profeti d'Israele, in coloro cioè che brandirono in un senso tutto speciale la Spada dello Spirito. Perché i profeti non soltanto interpretano la storia in funzione del Regno di Dio e del giudizio divino, ma rivelano anche la potenza di Dio manifestintesi, nel modo più completo, nella parola profetica.

La Voce disse: Grida. Ed egli disse: Che cosa debbo gridare ?

Tutta la carne è erba, e tutta la sua gloria come l’erba del campo.

L'erba, si dissecca, il fiore appassisce, perché soffia su di esso lo Spirito del Signore.

Davvero, il popolo è erba.

L'erba si dissecca, il fiore appassisce, ma la Parola del Signore rimarrà per sempre.

In tutte le crisi della storia, essi vedevano la mano di Dio ; Iddio aveva la Sua parola per ogni nuova crisi, ed i profeti avevano la missione di proclamarla.. Se Dio non rivelava la Sua parola, o se falsi profeti la pervertivano, la storia correva ciecamente.

Il profeta che ha sognato dica il sogno, e chi ha la mia parola, pronunci fedelmente la mia parola.

Che cos'ha da fare la pula col grano? dice il Signore.

Non è forse la mia parola come un fuoco, dice il Signore, e come un maglio che frantuma le rocce?

123

Ma la parola di Dio non era soltanto la parola del giudizio e della distruzione, era anche una forza creatrice, la Parola di Vita, lo strumento dello Spirito che rinnova la faccia del mondo. Lo si vede nella visione d’Ezechiele della valle delle ossa; le ossa inaridite della Casa d'Israele, dopo la distruzione della città santa, quando il popolo d'Israele era in esilio, prigioniero, privo di speranza.

Ed Egli mi disse: Profetizza allo spirito, profetizza, o Figlio dell'uomo, e dì allo Spirito : Così dice il Signore Iddio : Vieni, Spirito, dai quattro venti e spira su questi morti, perché vivano.

Qui abbiamo un vitalismo veramente dinamico, di fronte al quale il nuovo vitalismo biologico del sangue e della razza, e l'antico vitalismo pagano degli dèi della terra sono deboli, bassi ed oscuri. Lo Spirito soffia per il mondo come il vento e come il fuoco, trascinando innanzi a sé i regni, spazzandoli, bruciando le opere dell'uomo come erba secca. Ma il significato della storia non va cercato nel vento e nel fuoco, bensì nella "piccola voce " della Parole) che non tace mai, ma che non può produr frutto se l'uomo non vi collabori con un atto di fede e di spirituale obbedienza. Quest'elemento profetico e dinamico è parte essenziale della tradizione cristiana ed è presente perfino in epoche in cui la Chiesa sembra, legata ad un ordine sociale fisso ed immutabile, come nel Cristianesimo bizantino. Ma ha acquistato importanza nuova oggi che è stata abbattuta la barriera tra la vita religiosa e quella secolare e che il mondo intimo dell'esperienza spirituale e quello esterno degli avvenimenti storici si sono incontrati a formare una nuova unità.

Il Cristianesimo è oggi immerso nell'evoluzione storica come lo erano, ai tempo dei profeti, il popolo e la religione d'Israele, anche se i Cristiani non hanno ancor avuto tempo d'uniformare la loro vita agli eventi. Ma i più comprendono che i problemi sociali e politici sono problemi dello spirito e che la Chiesa non può rimanere assente, senza tradire la sua missione. La prima ragione di questa trasformazione non è però ragione religiosa; non si tratta d'un progresso di ciò che è cristiano nella nostra cultura, né della riconquista del mondo a Dio. Si tratta, al contrario, dell'invasione del campo spirituale da parte di

123

quello temporale ; si tratta del trionfo di una civiltà e di uno stato secolare che s'impongono contro i valori dello spirito e contro la Chiesa. Ciò che conta nel totalitarismo, nello stato totalitario, è ch'esso controlla e domina completamento tutte le attività e le energie umane, fisiche e spirituali, e le dirige a quella qualsiasi meta che venga imposta dagli interessi dello stato, o piuttosto dagl'interessi del partito o della clique dominante.

Già i despoti del passato fecero tentativi simili, perché lo stato-dio è il più antico nemico di Dio. Ma se nel passato il potere dello .stato era circoscritto dai mezzi limitati di cui disponeva, oggi esso è illimitato perché il progresso della scienza e della tecnica non ha soltanto esteso immensamente il dominio dell'uomo sull'ambiente, ma anche quello della società sull’individuo, dello stato sulla società, dei reggitori sullo stato. Nei nuovi stati la macchina smisurata e complicata d'un partito, della polizia, della propaganda tiene legati a sé non soltanto la proprietà ed il lavoro dell'individuo, ma la sua famiglia, il suo riposo ed il suo pensiero. La società ne viene trasformata da una comunità di liberi cittadini in un alveare o in un formicaio. Perché la nuova tirannide non consiste soltanto, come quella del passato in un soggiogamento violento al comando d'un padrone; essa adopera le nuove tecniche della psicologia individuale e sociale per dirigere la personalità e, si può dire, per dominare dall'interno l’anima dell’individuo. Colla repressione e collo stimolo, colla suggestione e col terrore, la personalità viene continuamente sottoposta ad un metodico assalto psicologico, fino a che la persona rinuncia alla sua libertà e diventa una marionetta che grida e marcia e odia e muore alla voce del padrone, o in risposta a stimoli invisibili provenienti da lui, senza che però se ne possa scoprire la fonte. In un ordine simile non c'è posto per una religione che non rinunci alla libertà spirituale e non divenga uno strumento di cui il nuovo padrone si serva per dirigere e dominare la vita psichica delle masse. Ma questa soluzione è impossibile per il cristiano, perché essa è un peccato contro lo Spirito Santo nel senso più assoluto dell'espressione. La Chiesa deve perciò assumere ancora una

124

volta il compito profetico e recare testimonianza al Verbo, anche se ciò significhi un giudizio delle genti ed una guerra aperta contro le potenze del mondo.

Le democrazie occidentali ed i loro capi hanno gravemente sottovalutato la forza rivoluzionaria che muoveva gli stati totalitari, col risultato che il vecchio sistema degli stati europei s'è afflosciato come un castello di carte, ed ora si deve combattere contro un nemico spietato per salvare la propria esistenza. Allo stesso modo, i Cristiani non hanno compreso quanto profondamente fossero state scosse le fondamenta morali del mondo e quale immenso sforzo fosse necessario per salvare l’umanità, dall'abisso del nichilismo e della disgregazione spirituale. Queste due battaglie non sono certamente la medesima battaglia; perché può accadere che la sconfitta della Germania lasci più forti che mai i mali spirituali del totalitarismo ; e, d'altra parte, la guerra è di per se stessa un elemento distruttore che favorisce il progresso dello spirito nichilistico e di distruzione.

Tutto dipende dalla possibilità o meno di adoperare la lotta temporale non per fini distruttori o semplicemente materiali, ma per tenere a freno le forze diaboliche scatenatesi sul mondo. Perché, come scriveva Burke centocinquant'anni fa, nessun guadagno materiale basta a compensare il costo d'una guerra, ch'è stato pagato colla vita di molti uomini. " Il sangue umano non si dovrebbe versare se non per redimere sangue umano. È ben versato per la propria famiglia, per i propri amici, per il proprio Dio, per la propria patria, per la propria stirpe. Tutto il resto è vanità, tutto il resto è delitto ".

E se questo è vero per le piccole guerre del passato, è ancor più vero per la guerra totale col suo carico mostruoso dì distruzione. Questo male immenso si può tollerare soltanto se non c'è altro mezzo per evitare od impedire mali ancor più grandi. E questo appunto noi crediamo, perché ci pare che non si possa negare che la maggioranza degli inglesi, qualunque sia la loro fede religiosa, sentano di difendere non solo la loro vita e la loro proprietà, ma cose più grandi di loro stessi e più profonde degli interessi politici o economici. Sentono di combattere contro la violenza, il tradimento, l'ingiustizia, a difesa di tutta l'umanità.

125

Se, come avviene ora, l'uomo medio è pronto a rischiare tutto per questa fede vaga ma reale, il cristiano è obbligato, in fede ed in onore, a non fare di meno nel conflitto spirituale che sta dietro alla lotta delle genti, o a recar testimonianza alla parola di Dio, a qualsiasi costo. Questo è lo scopo fondamentale del movimento della " Spada dello Spirito ", che ha preso a suo motto le parole dì San Paolo, dov'egli parla dell'armamento spirituale per la guerra che sì combatte " non contro la carne o contro il sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male in posizioni elevate" (1).

Come diceva il Cardinale Hinsley nell'allocuzione inaugurale del movimento:

L'Apostolo scriveva queste parole in prigione, incatenato tra due soldati romani armati di tutto punto. E dice che queste pesanti armature di guerra, queste armi materiali, poco valgono contro lo Spirito, perché la Parola di Dio non è legata, Verbum Dei non est alligatum. Lo spirito non può farsi schiavo o prigioniero se non con tradimento volontario. La Spada dello Spirito è la Parola di Dio, o la Parola di Dio e più penetrante d'una spada a doppio taglio.

Se i Cristiani avessero compresa questa verità, se ne avessero fatto un principio d'azione, non sarebbero mai nati i mali clic oggi minacciano di sopraffarci. Ma questa è precisamente la verità rifiutata dal mondo moderno, che ha riposto la sua fiducia nel " braccio della carne ", come gli ebrei del Vecchio Testamento, ed ha creduto alla parola dell'uomo piuttosto che alla Parola di Dio, che ha invertito la gerarchia dei valori spirituali, cosicché la nostra civiltà è stata capovolta, colla faccia verso le tenebre ed il non-essere. ed il dorso volto al sole della verità ed alla fonte dell'essere. Per breve tempo - decenni o secoli, poco importa - il mondo scivolò pericolosamente sul ghiaccio sottile del razionalismo e dell'umanesimo secolare. Ora il ghiaccio s'è spezzato, e la corrente ci trascina giù, malgrado le nostre illusioni che le forze ora scatenate siano nostra creazione e servano alla nostra volontà di potenza.

E’ possibile invertire questo processo? "Nessuna forza

(1) Efesini VI, 12.

126

umana può arrestare questa corsa verso l'abisso, ma soltanto un profondo moto di conversione che porti ancora una volta lo spirito umano in intimo rapporto collo Spirito di Dio.

Ogni crisi mondiale (la parola stessa lo dice), è un giudizio, una decisione da cui deve uscire qualche cosa di nuovo. È quindi un'occasione per ascoltare la Parola di Dio e perché lo Spirito manifesti all'umanità la Sua potenza creatrice. Questa, è la speranza dei profeti nella visione del giudizio delle genti, speranza costantemente ripetuta nella liturgia, "Vieni o Signore, non attendere, libera il popolo dalla mano della potenza. Mostra il tuo volto e tutti saremo salvati ". Questo senso potente di un'urgente necessità e d'una vera liberazione si riflette solo vagamente, pallidamente nella religiosità del cristiano medio. Ecco perché la fede cristiana ha influenzato così poco il mondo moderno e sembra incapace d'influenzare il corso della storia. E benché il movimento della " spada dello Spirito" possa sembrare piccola cosa in sé, credo che sia importante, perché tenta d'affrontare questo problema vitale, troppo trascurato ed ignorato dalle forme più altamente organizzate d'attività ecclesiastica. Come diceva, il Cardinale Hinsley, ognuno può contribuire a questa crociata spirituale, perché lo Spirito distribuisce i Suoi doni secondo il modo in cui li vuole usare. Possiamo contribuirvi colla preghiera, collo studio e coll’azione. Non occorre parlare molto della prima e dell'ultima, perché tutti i cristiani comprendono l'importanza della preghiera e tutti gli inglesi comprendono l'importanza dell'azione. Ma sia cattolici che inglesi trascurano generalmente la seconda arma spirituale e sottovalutano l'importanza del pensiero. La vera ragione per cui trionfano le nuove forze conquistatrici del mondo e per cui il Cristianesimo non riesce ad arrestarle è che quelle hanno usato al massimo le loro armi intellettuali, mentre i cristiani si sono accontentati di buone intenzioni e di sani principii, accettati senza discussione. Il più grande dei dittatori, Napoleone, disse: "Ci sono al mondo due poteri, la spada e la mente. A lungo andare la spada è sempre battuta dalla mente ". E nessuno vorrà accusare "Napoleone di sottovalutare il potere della spada. E così, se per noi la forza dello Spirito è ancor più

127

grande di quella della mente, non è questa una buona ragione per trascurare la seconda, che può essere allo stesso tempo lo strumento più potente a servizio dello Spirito e il Suo più pericoloso avversario.

Non è la prima volta che la mente cerca di fare a meno dello Spirito e di costruire un mondo di cui solo l'uomo sia padrone e fine. Come ha. mostrato Sant'Agostino, è questa una tendenza che si ritrova in tutta la storia sotto forme diverse nelle varie età. Ma non si è mai rivelata, così esplicitamente come oggi nello stato totalitario, che è quasi riuscito a costruire un mondo completamente chiuso allo Spirito e senza una sola finestra o un solo angolo riservato alla libertà spirituale. Ma il risultato è così opprimente per la natura umana, e in ultima analisi così distruttivo, che produrrà inevitabilmente una reazione di resistenza e di rivolta, in cui si faranno sentire nuovamente gli elementi cristiani della civiltà occidentale. Può sembrare utopia, parlare oggi del sopraggiungere d'un nuovo ordine cristiano, d'una nuova Cristianità. Ma quante più ci sentiamo lontani dalla meta, tanto maggiore è la speranza d'un trionfo finale.

Perché non si tratta oggi di cercare un’alleanza col potere temporale, come. nella vecchia Cristianità, o di seguire esteriormente le norme cristiane, ma di riordinare tutti gli elementi della vita umana e della civiltà per mezzo della potenza dello Spirito per far rinascere una vera comunità che non sia ne massa inorganica d'individui né organizzazione meccanizzata di forza, ma ordine spirituale vivente.

L'ideale di questa comunità fu il sogno che ispirò i riformatori politici ed i rivoluzionari dei due secoli scorsi, ma, siccome essi rifiutarono la potenza dello Spirito, i loro ideali si dimostrarono irreali ed utopistici; e ne venne o una libertà senz'ordine, o un ordine senza libertà.

Oggi stiamo combattendo contro l'ordine totalitario, negazione più d'ogni altra radicale e sistematica della libertà. Ma, mentre combattiamo per la libertà, dobbiamo riconoscere che la libertà sola non salverà il mondo.

128

Una vera pace si potrà avere e conservare solo se si restaura un ordine spirituale, perché soltanto nello Spirito si conciliano ed uniscono potenza e libertà, cosicché la Spada dello Spirito è ad un tempo la potenza che ci può liberare dalla mano del nemico e la forza che risveglia e da corso alle fonti assopite d'energia della natura umana.

IV - Ritorno all'unità cristiana

1. Se la fede cristiana contiene una fonte tanto ricca d'energia e dì potenza spirituale, se la Chiesa è l'organo divino per la trasformazione del mondo ed il seme di una nuova umanità, come ha potuto accadere che il mondo, e soprattutto il mondo cristiano, sia precipitato nella tragedia attuale? Per il cristiano è facile comprendere la persecuzione e l'avversità esteriore ed il fallimento particolare, ma è molto più difficile affrontare il problema d'un fallimento del Cristianesimo sul piano spirituale. Perché la verità non è soltanto che la civiltà moderna s'è secolarizzata, ma che i cristiani hanno permesso che ciò avvenisse. Nel passato la Chiesa forniva i capi ed i maestri spirituali dell'Europa. Aveva in mano le università, possedeva in ogni città ed in ogni villaggio d'ogni cristiano un centro educativo per la predicazione del Vangelo e per la formazione del pensiero cristiano. Se questo è andato perduto, com’è avvenuto quasi dappertutto, non si può come cristiani rifiutare ogni responsabilità e dare la colpa ai razionalisti ed agli anticlericali. Perché, come ho già mostrato (nel cap. III della prima parte), la causa prima della secolarizzazione della cultura occidentale va ricercata nelle divisioni religiose tra cristiani. Dietro la crisi presente nella vita d'Europa stanno secoli di lotta e disunione religiosa che hanno gettato in iscompiglio le menti nel campo stesso dello spirito e che hanno distrutto il legame di carità, l'unico che può trascendere il conflitto degl'interessi materiali e l'egoismo collettivo di classi e di popoli.

130

Il ritorno al Cristianesimo è perciò la condizione indispensabile per la restaurazione dell'ordine spirituale e per la realizzazione d'una comunità spirituale che sia fonte di nuova vita per la nostra civiltà. Questo principio è stato accettato in teoria da tutti i cristiani sinceri, ma in pratica ci sono differenze profonde, non soltanto tra Cattolici e Protestanti, ma anche in seno agli uni ed agli altri, sia riguardo ai metodi da seguire per raggiungere l'unità, sia riguardo ai limiti entro cui i cristiani possono collaborare, malgrado le loro differenze, in un'azione comune per affrontare la crisi attuale.

I cristiani hanno la grave responsabilità di far sentire in quest'ora di tenebre la loro voce. Altrimenti la parola passerà, alla voce dura, e odiosa dell'avversario di Dio, dello "accusatore dei fratelli ". Le divisioni dei cristiani gli hanno sempre dato abbondanti argomenti per accusarli e se non impediamo che queste divisioni facciano tacere e confondano i nostri testimoni, ci arrendiamo e tradiamo la nostra causa in un momento decisivo.

Rimane tuttavia il fatto che i cristiani divergono fra loro in questioni di fede e d'ordine, sono divisi da secoli e secoli di lotta e di controversie, ci sono state persecuzioni e contropersecuzioni, sono corsi fiumi di sangue, e tutti questi vecchi errori e divisioni ed inimicizie hanno lasciato tracce, come le cicatrici di vecchie ferite, ed hanno lasciato mutilazioni nel corpo della Cristianità. Tale situazione fa nascere due atteggiamenti contrari di fronte al problema della collaborazione cristiana. Da un lato c'è chi si ribella al passato tenebroso di dissenso e di lotta e crede che la prima condizione per un'azione comune fra cristiani sia una rinuncia a differenze ed un'immediata unificazione sulla base delle verità che tutti hanno in comune e che, a loro modo di vedere, formano l'essenza del Cristianesimo. D'altro lato ci sono quelli per cui le divisioni sono sostanziali, e tanto importanti da oscurare l'esistenza d’ogni elemento comune. Il Cristianesimo non è per questi che un nome di cui ci si serve per coprire molte religioni differenti che non hanno necessariamente in comune nulla più dì quanto non abbiano in comune con altre religioni non " cristiane" .

131

E’ chiaro che non possiamo accettare né l’una né l’altra di queste posizioni estreme e che esse cadono nei medesimo errore, di sottovalutare l’importanza della credenza religiosa. Chi rinuncia ad una determinata confessione tende ad abbandonarsi a ciò che i teologi cattolici chiamano " indifferentismo ", una dottrina secondo cui le credenze particolari non contano e solo importa la volontà di collaborare. Il rigorista invece dà tanta importanza all’autorità ed all'ordine ecclesiastico, che dimentica o sottovaluta l'importanza delle credenze, dei valori morali, delle tradizioni religiose, dei sacramenti e dei riti che le varie confessioni religiose cristiane hanno ancora in comune. Il criterio fondamentale del Cristianesimo è espresso nel modo più chiaro nella testimonianza apostolica che dice : "Lo Spirito di Dio si conosce a questo segno : ogni spirito che confessa che Gesù Cristo è diventato carne, è di Dio; ed ogni spirito che nega Gesù, non è di Dio; e questo è Anticristo ".

Oggi abbiamo da affrontare l'Anticristo in una forma nuova, l'Anticristo totalitario o la totale organizzazione della società umana su principi anticristiani. Questo è il nemico che la " Spada dello Spirito " vuole combattere ; e questa lotta dovrebbe essere la causa comune di tutti quelli che confessano il nome di Cristo.

Senza compromessi di principi e senza, meschini esclusivismi, c'è qui una ragione chiara per collaborare su basi profondissime e quanto mai spirituali.

"Essi sono del mondo: per questo parlano del mondo ed il mondo li ascolta". "Voi siete di Dio ed avete vinto il mondo ; perché Quegli Che è in voi è più grande di quello che è nel mondo ".

L'appello della " Spada dello Spirito " non è tuttavia limitato ai cristiani, benché in primo luogo sia diretto a loro. Perché il nuovo Anticristo è anche il nemico di Dio e dell'uomo, ed ogni uomo che riconosca in un modo o nell'altro una legge più alta di quella della forza e dell'interesse nazionale o individuale ha il diritto e il dovere di prendere parte a questa crociata. Questa è la base del Diritto "Naturale, a cui s'è accennato cosi spesso, e che è stato ampiamente esposto nelle Encicliche Papali. Citerò qui soltanto un passo tratto dall'Enciclica di Pio XI sulla Chiesa in Germania, perché, più

182

d'ogni altra dichiarazione, tocca da vicino la questione che stiamo trattando.

" È tendenza del tempo presente il voler distaccare non solo la dottrina morale, ma anche le fondamenta del diritto e della sua amministrazione dalla vera fede in Dio e dalle norme della rivelazione divina. Il nostro pensiero si rivolge qui a quello che si suole chiamare Diritto Naturale, che iì dito dello stesso Creatore impresse nelle tavole del cuore umano (Rom. 2, 14 e segg.), e che la. ragione umana sana e non ottenebrata da peccanti e passioni può leggere in esse. Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del comando e nella obbligatorietà dell’adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono affette da vizio originale, non sanabile né con le costrizioni né con lo spiegamento di forma, esterna. Secondo questo criterio va giudicato il principio : " diritto è ciò che è utile alla nazione ". Certo a questo principio può darsi un senso giusto, se si intende che ciò che è moralmente illecito non può essere mai veramente vantaggioso al popolo. Persino l'antico paganesimo aveva riconosciuto che, per essere giusta, questa frase dovrebbe essere capovolta e suonare: "non vi è mai alcunchè di vantaggioso, se in pari tempo non è moralmente buono, e non perché è vantaggioso è moralmente buono, ma perché moralmente buono, è anche vantaggioso " (Cicerone, De Offìciis, 3,30). Quel principio, staccato dalla legge etica, significherebbe, per quanto riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le nazioni ; nella vita nazionale poi misconosce, nel confondere interesse e diritto, il fatto fondamentale che l'uomo, in quanto persona, possiede diritti dati da Dio che devono essere tutelati da ogni attentato della comunità che avesse per scopo di negarli, di abolirli e di impedirne l'esercizio. Disprezzando questa verità, si perde di vista che in ultima analisi, il vero bene comune, viene determinato e conosciuto mediante la natura dell'uomo con il suo equilibrio armonico fra diritto personale e legame sociale,

133

come anche dallo scopo della società determinato dalla stessa natura umana. La società è voluta dal Creatore come mezzo per il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali, di cui l’uomo ha da valersi, ora dando, ora ricevendo, per il bene suo e quello degli altri. Anche quei valori più universali e più alti che possono essere realizzati non dall'individuo, ma solo dalla società, hanno per volontà del Creatore come ultimo scopo l'uomo naturale e soprannaturale. Chi si allentana da questo ordine scuote i pilastri, su cui riposa la società, e ne pone in pericolo la tranquillità, la sicurezza e l’esistenza.

Il credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla in quella forma che ad esso conviene. Quelle leggi, che sopprimono e rendono difficile la professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto col diritto naturale ".

Si osserverà che questo passo finisce con una forte affermazione del diritto alla libertà religiosa. Questa questione s'è dimostrata uno degli intoppi nella via della collaborazione cristiana nella " Spada dello Spirito ", perché pareva che i cattolici non avessero accettato questo principio. È però chiaro da questo passo e da tutti la dottrina della " Spada dello Spirito " che su questo punto particolare non c'è diversità d'opinione tra cattolici e protestanti; sia gli uni sia gli altri sono ugualmente interessati a difendere la libertà spirituale contro ciò che Pio XI chiama " le mille forme di schiavitù religiosa" , " la mancanza, di notizie vere e dei mezzi ordinari di difesa " che sono caratteristici dello stato totalitario. Senza dubbio c'è una grande differenza d'opinione tra i cattolici ed i membri delle Chiese Libere riguardo ai diritti ed ai privilegi che una Chiesa riconosciuta può giustamente considerare suoi. Ma lo stesso si può dire, benché in forma leggermente diversa, della differenza fra le Chiese Libere e la Chiesa Anglicana, o tra le Chiese Luterane riconosciute e le Chiese Libere nel Continente. Ma queste differenze non costituiscono una ragione sufficiente per rifiutare d'unirsi contro un pericolo che minaccia, allo stesso modo la libertà religiosa delle grandi Chiese storiche della Cristianità colla loro tradizione di potenza e di privilegio, e le organizaziom religiose più piccole ed

134

umili che hanno sofferto persecuzioni più e più volte nel corso della loro storia.

È perciò evidente che la libertà religiosa è uno di quei " prìncipi della libertà umana e del Diritto Naturale" cui accenna lo statuto del movimento, come uno dei suoi fini fondamentali. Ammesso questo, è certamente tempo perso, o peggio, discutere sulle cause di urti che sono d'origine politica più che religiosa. Dobbiamo però ricordare che i principi del Diritto Naturale, per quanto essenziali, sono la base minima dell'azione comune. L'appello vero della " Spada dello Spirito " è diretto alla grazia ed alla potenza di Dio, che sole sono forti abbastanza per resistere e recare sconfitta a quelle potenze della tenebra spirituale, di cui scrive San Paolo nel passo dell'Epistola agli Efesini da cui la " Spada dello Spirito " trae il suo nome. "Nessun rimedio secolare può soddisfare alle necessità del mondo ; nessuno sforzo puramente morale può restaurare una vera pace ed un ordine spirituale nella società. L'unica meta finale cui può essere diretta l'azione cristiana è la Restaurazione di tutte le cose in Cristo. Tutto l'insegnamento cattolico sull'azione sociale nel secolo presente è stato basato sulla dottrina della "Regalità universale di Cristo che costituisce la risposta della Chiesa alle pretese universali dei sistemi totalitari. Tuttavia, malgrado le conseguenze immense cui porta questa dottrina, essa non dovrebbe costituire un ostacolo alla collaborazione cristiana : essa è un principio d'unità, non di divisione, perché quando si riconosca che la Regalità di Cristo non è un'astrazione teologica, ma una realtà sociale, le divisioni del Cristianesimo saranno superate e la razza umana realizzerà la sua unità organica sotto il Capo Divino.

Ma questa meta di un'unità spirituale può sembrare infinitamente distante dal mondo visibile, dalla realtà d'una civiltà che ha volto le spalle a Dio e s'è messa a servizio di forze diaboliche. Sembra infinitamente distante anche dal mondo religioso così dolorosamente diviso e disgregato. La visione dell'unità non è tuttavia soltanto una specie d'utopia cristiana : è una realtà spirituale vivente, altrettanto .innegabile ed indistruttibile quanto l'unità della razza umana nell'ordine naturale.

135

Come ha scritto recentemente un teologo cattolico, " Tutti gli uomini sono nel loro intimo virtualmente membri di Cristo, e quindi membri del Suo Corpo, la Chiesa. E quella virtualità non è soltanto una possibilità remota ed astratta perché il principio vivificatore, la Potenza, di Cristo ed il Suo Spirito, è presente in ogni luogo; come è in ogni luogo presente la libertà d'accettarlo o di respingerlo. La fratellanza universale è aperta a tutti, ma non respinge nessuno " (1).

Noi crediamo che la creazione di questa divina società sia infinitamente più importante d'ogni altra cosa nella storia dell'umanità, e che soltanto in tale società la specie umana possa liberarsi dalla maledizione dell'incomprensione e della lotta fratricida serbata in sorte all'umanità caduta. E lo spinto di questa società, che è la carità, è l'unica forza capace di dare una vita nuova : " a questo segno riconosciamo d'essere passati dalla morte alla vita, perché siamo i fratelli ".

Il mondo presente dev'essere giudicato dai cristiani in relazione a queste verità fondamentali. Non siamo stati capaci di far sentire la nostra voce in faccia alle genti; abbiamo lasciato che la " beata visione della pace, la Città di Dio nella quale regna la Verità, la cui legge è la Carità, i cui confini sono l'Eternità", rimanesse nascosta dietro alla polvere della controversia e si restringesse entro i limiti della nostra vista debole e parziale.

Eppure, per quanto i cristiani abbiano mancato fede alla loro missione nel passato e nel presente, crediamo che la forza trasformatrice e rigeneratrice dello Spirito sia ancora presente nella Chiesa di Cristo, e che se noi facciamo la nostra parte, Iddio manifesterà ancora una volta questa potenza in risposta alle grandi necessità del mondo.

2. Si può però obbiettare che la collaborazione dei cristiani sulla base di questi principi fondamentali è impossibile, perché vi si dimentica il disaccordo sostanziale.

(1) Membership of the Church ; Victor White, O.P, Blakfriars, sett. 1941, p. 468

136

Pur ammesso che cattolici, anglicani, ortodossi, luterani e membri delle Chiese Libere, credano tutti nella Chiesa del Dio vivente come nel pilastro e nella base della verità, rimane il fatto che oggetto di fede non è per essi una medesima Chiesa in un senso istituzionale positivo. E questo appare particolarmente chiaro nel caso di cattolici ed ortodossi. Qui abbiamo due società spirituali perfettamente concrete e definite, che s'accordano in grande misura nel concetto della loro natura e della loro missione, ma che si escludono reciprocamente, tanto che può sembrare che quanto più profondamente credono nella " Chiesa ", tanto più completamente siano separate l'una dall'altra. Nel caso delle sette protestanti e specialmente delle Chiese Libere, la situazione è naturalmente meno chiaramente definita, data la scomparsa completa d'una unità di struttura e di dottrina. Malgrado ciò si può pensare che una reazione contro la tendenza disgregatrice del Protestantesimo, reazione di cui si ha il più notevole esempio nel Movimento Ecumenico, possa portare alla creazione d'una Cristianità Protestante riunita, che si opporrebbe alla Chiesa Cattolica nel medesimo modo in cui le si è opposta nel passato la Chiesa Ortodossa.

Così ci ritroviamo ancora una volta di fronte al problema fondamentale della disunione cristiana, il problema dello scisma. Questo problema è, in pratica, legato così strettamente a. quello dell'eresia, cioè della differenza di credenze religiose, che è facile confonderli l'uno con l'altro. È tuttavia importante distinguerli chiaramente, ed esaminare per se stessa la natura dello scisma, perché credo che la chiave del problema della disunione del Cristianesimo vada cercata nello scisma piuttosto che nella "eresia. L'eresia non è di solito la causa d'uno scisma, ma una scusa per lo scisma, o piuttosto una sua razionalizzazione. Dietro ad ogni eresia sta un qualche conflitto sociale, e si può restaurare l'unità soltanto risolvendo questo conflitto.

Ad illustrazione di ciò valga lo scisma tra la Chiesa Bizantina e quella Armena, controversia abbastanza lontana da noi per poter .essere trattata in uno spirito di completa imparzialità. I punti teologici in questione erano in quello scisma l'eresia monofisita ed i

137

decreti del Concilio di Calcedonia, argomenti della massima importanza implicanti i problemi più profondi e più sottili della scienza teologico. Eppure era evidente fin dal principio che le passioni che riempivano di tumulti o di sangue le strade d'Alessandria e che spingevano vescovi a combattere come animali feroci, non erano ispirate ad un puro desiderio di verità teologica, o ad altri motivi puramente religiosi. Era uno spirito fazioso che adoperava formule e motti teologici, ma che traeva la sua vera forza da motivi del tipo di quelli che provocano la lotta politica, o addirittura la guerra e la rivoluzione.

E quando si passi dal conflitto iniziale d'Alessandria e d'Efeso alla sue conseguenze in Armenia o in Abissinia, è evidente che qui l'elemento teologico era in pratica trascurabile, e che il vero conflitto era conflitto di sentimenti nazionali. Si prenda ad esempio la rubrica che si trova nella liturgia greca per la settimana precedente la Domenica di Settuagesima (citata nel mio " The Making of Europe ") : " In questo giorno gli armeni, tre volte maledetti, cominciano il digiuno blasfemo che chiamano artziburion ; ma noi mangiamo formaggio ed uova per confutare la loro eresia ". Qui, mi pare, si può vedere in forma quasi pura lo spirito da cui nascono questi dissensi religiosi. In parole crude, significa che i greci consideravano gli armeni un popolo di bestie, che non poteva che sbagliare in tutto ciò che faceva. E che cosa si può sperare dalla discussione teologica dove regna uno spirito di questo genere? Lo stesso spirito che faceva confutare la bestialità armena con un piatto di formaggio, non avrebbe alcuna difficoltà a trovare qualche espressione teologica, e se non fosse andata bene la dottrina dell'Incarnazione, ci si sarebbe serviti di qualche altra dottrina.

È facile ora condannare i greci e gli armeni, perché noi apparteniamo ad un mondo diverso e, anche se digiuniamo, non possiamo capire perché si possa dare tanta importanza al come ed al quando esattamente si digiuni. Ma possiamo essere sicuri che, sotto forme diverse, lo stesso spirito non sia altrettanto forte ancor oggi? Mi ricordo di aver letto anni fa un episodio d'un eminente teologo non anglicano (ho dimenticato il

138

nome) che mi ha colpito come un esempio di questo fatto. Aveva visitato Assisi ed era stato immensamente colpito dalla storia di S. Francesco e dall'arte medievale che le aveva dato espressione. Ma una sera mentre visitava la Chiesa Inferiore, incontrò nn frate ed un gruppo di contadine che facevano la Via Crucis e cantavano uno di quei tristi canti tradizionali, tanto diversi dagli inni inglesi, e che ci colpiscono come nenie semiorientali.

Improvvisamente provò un senso violento di ripulsione e disse a se stesso : " Questa religione non è la mia religione, e questo Dio non è il Dio che io adoro ".

Questo mi sembra un esempio perfetto che fa al caso mio, perché è privo d'ogni motivo intellettuale o teologico. Quel teologo non condannava né la " Mariolatria " né la pompa, delle cerimonie, né la Messa solenne. Era disgustato proprio da quel che in Italia corrisponde a ciò che vogliono le Chiese Evangeliche inglesi, una manifestazione spontanea, di devozione popolare cristocentrica. E quello che lo turbava non erano differenze di dottrine teologiche, ma semplicemente l'aspetto straniero e la diversa tra dizione culturale che separa il mondo del contadino italiano da quello della classe media benestante d'Inghilterra.

Non occorre insistere su questo punto, che era del resto fin troppo chiaro ai pensatori dell'Illuminismo da Bayle a Gibbon ed a Thomas Paine, ed a cui fu dovuta in gran parte la reazione settecentesca contro l'ortodossia. Esso è stato però tanto usato come arma contro la religione rivelata che l’apologia dell'ortodossia è quasi cieca al suo vero significato. La storia ha mostrato che non si può trovare nessuna vera soluzione seguendo la via dell'Illuminismo del secolo XVIII, costruendo cioè una filosofia meramente razionale della religione, basata su elementi generali astratti, comuni a tutte le forme di religione. Perché il Deismo non è che lo spettro della religione che abita nella tomba d'una fede morta e d'una speranza perduta. Ogni vera religione deve riconoscere, da un lato, il carattere obiettivo della verità religiosa (e quindi la necessità, d'una teologia) e, dall'altro, la necessità che la religione prenda forma concreta, corrispondente alle tradizioni culturali ed al carattere nazionale della gente. E’ giusto che i contadini italiani ed i mercanti inglesi

139

esprimano i loro sentimenti in forme, diverse ; quello che è errato è che adorino dèi diversi o che si con sidereo separati dallo spirito di Cristo e dal corpo della Chiesa perché parlano un linguaggio diverso e sono mossi da emozioni e stimoli diversi. In altre parole, una differenza di rito non dovrebbe portare con sé un differenza di fede.

Non occorre ora insistere sull’importanza di questo fatto in relazione al problema della riunione dell'Europa cattolica e protestante. Per il protestante medio, il Cattolicesimo non è la religione di S. Tommaso, di S. Francesco di Sales, di Bossuet, ma la religione del " barbaro latino ", degli Wops e dei Dagoes che adorano le immagini della Madonna o fanno tutto quello che il prete dice loro di fare. E lo stesso vale, mutatis mutandis, per il cattolico medio.

Alla fonte delle lotte teologiche che dividono il Cattolicesimo dal Protestantesimo sta il grande scisma culturale tra l'Europa settentrionale e l'Europa meridionale che sarebbe esistito anche se non ci fosse mai stato Cristianesimo, ma che, dato ch'esso esiste, si traduce inevitabilmente in termini religiosi.

Eppure questa divisione è cosa naturale e non si può condannarla come necessariamente malefica, perché fa parte del processo storico. Se fosse stato possibile conservare la vita ad un punto morto d'uniformità in cui inglesi e spagnoli, francesi e tedeschi, fossero tutti eguali, le condizioni sarebbero forse più favorevoli ad una unità religiosa, ma la civiltà europea sarebbe stata immensamente più povera e meno viva e la sua vita religiosa ne sarebbe stata forse ugualmente impoverita ed isterilita. È peccato caratteristico dell'idealista quello di sacrificare la realtà ai suoi ideali ; di respingere la vita perché essa non raggiunge i suoi ideali : e questo vizio non è meno dominante negli idealisti religiosi che in quelli secolari. Se condanniamo il principio della diversità o della polarità nella storia e se esigiamo un'astratta civiltà uniforme che abolisca i pericoli di guerre e di scismi religiosi, offendiamo la vita esattamente come se, al modo di molti eretici, condannassimo la differenza dei sessi, perché porta all'immoralità. "E questo non è un paragone fuori di

140

luogo, perché la polarità o dualità della cultura di cui ho parlato, non è che un esempio dì quel ritmo universale della vita che trova la sua espressione più evidente nella divisione dei sessi. Non voglio, naturalmente, dire che la dualità della cultura sia una legge fissa, assoluta, immutabile ; essa è piuttosto una tendenza che agisce diversamente in società diverse ed in stadi diversi d'una medesima società. Ma questa tendenza è sempre presente e sembra tanto più chiaramente definita quanto più la vita e la cultura sociale è ricca e creatrice, come per esempio al tempo del Rinascimento.

Un qualsiasi punto della vita della società può diventare il centro d'una tale polarizzazione e dove una cultura ha un'organizzazione eccezionalmente rigida, come nell'Impero bizantino, il principio della dualità può esprimersi in una divisione apparentemente arbitraria, come quella delle fazioni del Circo, gli Azzurri ed i Verdi, che ebbe tanta parte nella vita sociale di Costantinopoli. Generalmente però la razza e la religione sono i punti vitali intorno a cui si raccolgono le forze contrastanti della società. Così vediamo come le correnti ionica e dorica formino i due poli opposti della civiltà greca, culminanti infine nel conflitto tra Atene e Sparta che straziò la Grecia nel quinto secolo avanti Cristo.

Talvolta i due motivi si fondono e si rinforzano a vicenda, come in Irlanda, dove la causa della religione e quella della razza s'identificano, così che l'opposizione tra celta ed anglosassone si esprime in forma religiosa nell'opposizione tra cattolico e protestante. Lo stesso si dica della Polonia, dove il conflitto fu duplice, tra polacco cattolico e russo ortodosso, nella parte orientale, e tra polacco cattolico e tedesco protestante nella parte occidentale, mentre nel sud, dove il conflitto era puramente nazionale; tra il polacco cattolico e l’austriaco cattolico, le passioni erano meno intense e l'opposizione culturale meno profonda. D'altro lato in epoca più antica, in Boemia dove l'opposizione fra ceco e tedesco si manifestò anche in forma religiosa, il nazionalismo slavo prese forma d'eresia religiosa ed il predominio tedesco fu identificato colla causa della Chiesa.

Ma oltre a questi casi in cui il principio della polarità sociale assume le forme più crude,

141

abbiamo un tipo meno evidente di polarità sociale-religiosa che si sviluppa entro la società nazionale unificata ed entro i confini d'una tradizione religiosa comune. Un esempio evidentissimo di questo tipo si trova in Inghilterra dove la tensione di forze sociali contrastanti si manifestò nella ''opposizione religiosa tra la Chiesa riconosciuta e le Chiese " nonconformiste ". A prima vista può parere che la varietà e la frammentarietà, del Nonconformismo contraddicano a ciò che ho detto dello scisma religioso come espressione della dualità di cultura e della tendenza delle forze sociali a convergere intorno a due poli opposti. Ma se prescindiamo dall'aspetto teologico del Nonconformismo e concentriamo l’attenzione sul suo carattere sociale, vedremo che l’opposizione tra " Chiesa" (Anglicana) e " Cappella " (Nonconformista), tra conformità e dissenso, è molto più forte, nella vita del villaggio e della piccola città dei due secoli scorsi, che non le differenze tra le varie sette nonconformiste. E quest'opposizione religiosa è il quadro di fondo, o la base spirituale, almeno entro certi limiti, della divisione politica tra i grandi partiti inglesi, tanto che in molte parti dell’Inghilterra era naturale che un uonconformista fosse buon liberale ed un anglicano buon conservatore. E’ vero che ciò non vale per i primi tempi nel Metodismo, ma il Metodismo sorse in un tempo in cui gli Whigs .rappresentavano l’ordine sociale tradizionale : e l'importanza di ciò va ricercata nel fatto che il Metodismo si dirigeva soprattutto alle classi minorate di diritti, a cui i partiti politici del tempo non si rivolgevano direttamente.

Ma comunque si considerino le cause di questo scisma particolare ed il significato sociale dei singoli movimenti religiosi, credo che non ci sia dubbio che nella storia del Cristianesimo, dal periodo dei Padri fino all'epoca moderna, l'eresia e lo scisma siano stati provocati prevalentemente da cause sociali, cosicché uno statista che avesse soddisfatto le aspirazioni nazionali dei cechi nel secolo XV o quelle degli egiziani nei V secolo. avrebbe contribuito di più ad arrestare l’espansione del movimento hussita e di quello monofisita che non un teologo che avesse difeso nel modo più brillante e convincente la Comunione in una sola Specie, o la dottrina

142

delle Due Nature in Cristo. Mentre è molto improbabile che se, viceversa, gli egiziani avessero accettato la dottrina di Calcedonia, essi non avrebbero trovato qualche altra ragione di contrasto fino a che non fossero scomparsi i motivi sociali della lotta.

Che cosa significa tutto questo per il problema odierno della riunione delle chiese? Il fatto che la disunione religiosa ebbe in passato cause sociali, non deve indurci nel grave errore di concludere che la si debba accettare con ispirito fatalistico, come se si potesse rimediarvi solo con mezzi politici od economici. I migliori mezzi per servire la causa dell'unità cristiana non sono né le controversie religiose né le azioni politiche, ma le virtù teologiche: fede, speranza e carità, applicate sia alla sfera intellettuale sia a quella religiosa. È soprattutto necessario spogliare il problema religioso di tutti i motivi estranei che nascono nei conflitti sociali inconsci, perché così facendo si priverà lo spirito scismatico del suo dinamismo. Se si possono comprendere le ragioni dell'antipatia istintiva contro altri corpi religiosi, si vedrà come le difficoltà puramente religiose e teologiche che ostacolano la riunione, divengano molto meno formidabili e molto più facilmente superabili. Ma fino a quando non si risolva l'elemento inconscio del conflitto sociale, la religione rimarrà in balìa a forze cieche d'odio e di sospetto, che possono assumere forme veramente patologiche. Se questa pare un'esagerazione, si guardi al nostro passato, e si pensi alla storia delle Sommosse di Gordon o alla Congiura Papista.

Il primo e maggior passo verso l'unità religiosa è quindi un passo interiore e spirituale : la purificazione dell'anima da motivi bassi, che contaminano la nostra fede. Perché nella grande maggioranza dei casi il peccato dello scisma non nasce da un'intenzione cosciente di separarsi dalla Chiesa vera, ma dal lasciare che l'anima si riempia e si veli d'inimicizie e d'opposizioni istintive, al punto che i problemi spirituali ne rimangano oscurati e che il nostro atteggiamento religioso si lasci determinare da forze che non hanno nulla a che fare colla religione.

È per esempio facilissimo vedere come nel XV secolo sia i capi della Chiesa sia quelli

143

dello Stato si siano lanciati trascinare da interessi personali o da motivi materiali ad ostacolare le riforme necessarie. È però altrettanto evidente che la passione rivoluzionaria che spinse allo scisma ed all'eresia un grande condottiero religioso come Martin Lutero non aveva origini puramente religiose, ma era il risultato d'un conflitto spirituale in cui gli elementi religiosi erano confusi, oltre ogni speranza di chiarezza; cosicché Lutero, se non fosse stato così " psichico " (in senso paolino e moderno allo stesso tempo), avrebbe potuto giudicare le cose profonde di Dio da uomo spirituale : avrebbe potuto essere un riformatore senza divenire un eresiarca.

Se passiamo alla Riforma inglese, l'influenza di fattori non religiosi nello scisma è così evidente, che non occorre insistervi. Era in gran parte un movimento dello Stato contro la Chiesa, animato dal risveglio della coscienza nazionale e dall'affermarsi d'una cultura nazionale. Il problema religioso s'identificò quindi a tal punto colla causa nazionale, che il Cattolicesimo divenne il rappresentante di tutte le forze ostili al nazionalismo ed ogni cattolico era considerato un cattivo inglese ed un suddito sleale. Per l'inglese medio il cattolico tipico non era Tommaso Moro, ma Guy Fawkes, e la celebrazione del "tradimento della polvere da sparo " (Gunpowder Treason), divenne una specie d'espressione rituale primitiva dell'odio popolare contro il nemico ereditario della tribù.

Quest'identificazione di religione nazionalità durò per più di due secoli e sopravvive ancor oggi sotto forma di pregiudizio subconscio nel fondo dell'anima di molti inglesi benché il progresso della moderna civiltà secolare lo abbia inevitabilmente indebolito, il nazionalismo, la coscienza di classe, i motivi economici, non hanno più bisogno di mascherarsi sotto vesti religiose, perché sono divenuti le forze coscienti e dominanti della vita sociale. Le ideologie che formano oggi i poli opposti della tensione sociale non sono religiose ma politiche, nazionali ed economiche e si sono diffuse nei vari campi un tempo opposti quasi cancellando le divisioni sociali e religiose che separavano l'Europa cattolica da quella protestante.

Mi sembra quindi che l'epoca presente sia più favorevole alla causa dell'unità che non

144

ogni altra epoca dal Medio Evo in poi ; perché, se il Cristianesimo diventa una religione di minoranza, minacciata da nemici e da persecutori, la causa comune del Cristianesimo diventa, da espressione verbale, realtà; e c'è un centro intorno a cui si possono raccogliere e riorganizzare le forze della Cristianità. Dobbiamo ricordarci che dietro l'evoluzione storica naturale del conflitto e della tensione sociale, c'è una più profonda legge di dualità e di polarizzazione spirituale che ha trovato espressione nella dottrina evangelica dell'opposizione tra il Mondo ed il Regno di Dio, e nella teologia agostiniana delle due città, Babilonia e Gerusalemme, dal cui conflitto trae il suo vero significato tutta la storia. Quando i cristiani lasciano che i conflitti, e le divisioni dell'uomo naturale escano dai loro confini e pervadano il campo della religione, la causa di Dio s'oscura di dubbi e nascono divisioni, scismi ed eresie. Ma quando la Chiesa è fedele alla sua missione, essa diventa la realtà concreta e visibile di questo principio divino in lotta contro l'eterno negativo del male.

Credo che l'età dello scisma stia per finire e che sia giunto il tempo in cui l'elemento divino della Chiesa affermerà la sua potenza d'attrazione raccogliendo a unità organica, tutti gli elementi della vita e del pensiero cristiani. Perché, essendo Cristo il Capo della Chiesa ed essendo lo Spirito Santo la vita della Chiesa, dovunque c'è fede in Cristo e nello Spirito di Cristo, lì c'è spirito d'unità, lì c'è la via della riunione. Non occorre quindi dilungarsi sulle vie e sui mezzi, perché le vie dello Spirito sono di loro natura misteriose e trascendono l'intelletto umano. Forse anche le forze stesse che si schierano contro la Chiesa e contro la religione contribuiscono all'unità, costringendo i cristiani ad unirsi, per così dire, loro malgrado; o forse la Chiesa reagirà un giorno positivamente alla situazione effondendo ancora una volta lo spirito apostolico, come profetizzava duecento anni fa il Beato Grignon di Montfort.

V - La costruzione di un ordine cristiano

Abbiamo veduto che le divisioni della Cristianità nacquero soprattutto da conflitti sociali. Che si possa, invertire il processo e trovare in una comune azione sociale una via per ritornare ad una unità sociale cristiana?

Oggi, spinti dalla necessità, ci ritroviamo tutti vicini. La nostra esistenza di nazioni libere, le nostre istituzioni, le nostre abitudini non sono mai state minacciate così seriamente come oggi. Ci troviamo di fronte a mali immensi, che spesso sembrano insopportabili; eppure, malgrado tutti questi mali, abbiamo un'occasione assolutamente senza precedenti, che non si può valutare in termini umani, perché è stata, pacata con sofferenze e con sacrifici che trascendono ogni scala di valori umani. Perché la guerra che distrugge tante cose buone, abbatte anche molti ostacoli e barriere, insuperabili in tempo di pace. La guerra ci spoglia dell'inessenziale e ci riporta alle realtà basilari della vita comune; soprattutto ci dà l'occasione di ricuperare l'unità spirituale di cui, in tempo di pace, non si ha quasi neppur coscienza, ma che è tuttavia la rocca su cui si fonda l'esistenza nazionale.

In passato siamo stati un popolo cristiano. Per più di mille anni la fede cristiana s'è intrecciata colla nostra storia ed è entrata nella vita e nel pensiero dell'uomo medio; e non abbiamo mai rinnegato coscientemente e deliberatamente questa eredità cristiana. Ir seme è ancora fra noi, benché abbia potuto mescolarsi colla zizzania, essere soffocato dai pruni, essersi inaridito su terreno sassoso. Ed ora che l'aratro della guerra è passato sul campo, il

146

seme può ancora recare frutto, se la terra non ha perso animo e cuore.

In questi tempi duri può sembrare poco realistico parlare d'un nuovo ordine cristiano. Ma se i tempi difficili non si confanno al Cristianesimo, i cristiani non hanno diritto dì parlare. Per costruire un ordine cristiano non occorrono grandi risorse economiche o tempi eccezionalmente prosperi. Occorre piuttosto lo spirito di Neemia e dei suoi compagni, che ricostruivano le mura infrante di Gerusalemme senza risorse, in continuo pericolo, tenendo In una mano gli arnesi del muratore e nell'altra la spada. Non occorrono programmi grandiosi d'un ordine ideale; dobbiamo costruire sulle basi, ancor sane, della natura umana e della tradizione nazionale.

Perché, come ha spiegato Pio XII nella Enciclica sulla guerra, la tradizione nazionale è una specie di sacra eredità che non sì deve disprezzare, perché, lungi dall’essere in contrasto coll'ideale cristiano della fratellanza degli uomini, è l'organo naturale della sua realizzazione. E la tradizione dei popoli di lingua inglese è sempre stata tradizione di libertà: come scriveva Burke, "tutti i vecchi paesi dell’Europa cristiana s'accordavano nel principio comune che lo stato è fatto per il popolo, non il popolo per lo stato : ma l’Inghilterra differiva dal resto, in quanto faceva della libertà individuale un compito diretto del governo e rifiutava di sacrificare l'individuo alla comunità, o la parte al tutto. Oggi questi principi sono minacciati molto più seriamente che mai nel passato, e dobbiamo difenderci contro un ordine che immola sull'altare della forza, a gloria del Nuovo Leviatano, tutti i diritti e 1a stessa persona umana.

Se dobbiamo costruire nn ordine cristiano per la Gran Bretagna. questo dev'essere basato sulla libertà, ma dev'essere una libertà cristiana, non la libertà del materialismo economico e dell'egoismo individuale; dev'essere cioè un ordine sociale diretto a fini spirituali, in cui ogni uomo possa usare la sua libertà a servizio di Dio in misura corrispondente alle sue forze ed alle sue doti. Le libertà che vogliamo e che, come noi, vuole tutta l'umanità, non sono il diritto del forte d'opprimere il debole o il diritto dell'ambizioso d'arricchirsi a danno altrui, ma i diritti elementari che servono allo spirito umano, come l'aria e la luce servono

147

al corpo : la Libertà di adorare Iddio, la libertà di parola, la libertà dalla miseria e la libertà dal timore. Senza queste libertà l'uomo non può essere pienamente uomo, e l'ordine che le nega è ordine inumano.

Il punto importante di cui ci si deve rendere conto è che non combattiamo per fini parziali o per ideologie di partito, ma per conservare i valori dell’intera nostra tradizione sociale e spirituale contro forze che minacciano distruggerla. Per questo, il termine " democrazia " non definisce soddisfacentemente la causa per cui combattiamo ; perché " democrazia " ha un significato politico limitato e non abbraccia l'intero campo dei valori che si devono difendere; e la confusione tra i due significati di "democrazia ", come termine generale che indica la nostra tradizione di libertà sociale e come termine politico più esatto, benché più limitato, può facilmente produrre incomprensione e disaccordo.

La causa che difendiamo è molto più fondamentale di qualsiasi forma di governo e di qualsiasi credo politico; essa è legata da un lato a tutta la tradizione della cultura occidentale e cristiana, tradizione di libertà sociale e di solidarietà civica, e, dall’altro, a quella della libertà spirituale e dell’infinito valore dell'individuo. Senza dubbio la democrazia, come ideale, difende questi valori e deriva da questa tradizione, ma in pratica, la civiltà democratica moderna non rappresenta spesso che una versione ridotta e secolarizzata di questo ideale, come de Tocqueville vide più di un secolo fa, e prepara per molte vie l'avvento dei nuovo ordine di massa che assume forma politica nello stato totalitario. In una parola, quello che difendiamo, non è la democrazia, ma l'umanità. La base della nostra unità, il punto su cui siamo tutti d'accordo, non è argomento d'opinioni politiche, è l'opposizione contro un sistema ch'è per noi contrastante a tutto ciò che il cristiano ha caro. Non possiamo più dire purtroppo " l’uomo civile" perché dobbiamo fare i conti con la dura realtà che l'ottimismo liberale del secolo scorso non volle vedere, per cui una società può diventare inumana, pur conservando tutti i vantaggi tecnici e materiali di una civiltà scientifica progredita.

148

E per rimediare a questa cosa inumana dobbiamo adattare la nostra vita ad una guerra totale ed alle condizioni inumane ch'essa comporta. Ma come si può far ciò senza sacrificare quelle stesse cose per cui viene fatto il sacrificio? In altre parole, è possibile salvare la vita senza perdere l'anima? A prima vista, pare facile rispondere affermativamente ad ambedue le domande, perché il nostro paese ha già sperimentato la guerra moderna ed ha sopportato per quattro anni l'interminabile agonia delle Fiandre e della Somme senza lasciarsi trascinare a rivoluzioni e senza perdere i valori tradizionali d'umanità, di rispetto reciproco e di libertà dell'individuo.

Ma oggi la questione va posta in forma molto più fondamentale. La perdita della pace, il fallimento della democrazia politica nell'Europa del dopoguerra, il sorgere degli Stati totalitari ed il loro riuscito sviluppo nelle nuove tecniche dì potenza, tutto mostra l’insufficienza di una politica puramente difensiva e la necessità d'un nuovo orientamento fondamentale della società e della cultura, per fronteggiare la sfida delle nuove condizioni di un'età di potenza, di massa, scientificamente organizzata. Una società libera sopravvive solo se viene organizzata e preordinata così completamente e scientificamente come l'ordine dispotico di massa degli stati totalitari. E così, in mezzo al turbine della guerra e con l'urgenza di una concentrazione intensiva dello sforzo nazionale, siamo costretti a risolvere anche il problema fondamentale a lunga scadenza dell'organizzazione di una moderna società dì massa, senza distruggere la libertà sociale ed i valori che la cultura cristiana occidentale ha finora posto a fondamento della vita umana.

Anzitutto dobbiamo riconoscere che non basta garantire la libertà religiosa nel senso tecnico d'un diritto di avere credenze religiose e di praticare l’uno o l'altro tipo di culto, perché è facile che una società preordinata incorpori gli elementi meno vitali d'un Cristianesimo al livello più basso d'energia spirituale e distrugga al medesimo tempo le radici dell'individualità, senza cui sia religione sia libertà sociale appassiscono e muoiono.

La soluzione totalitaria consiste nel salvaguardare la vitalità fisica sacrificando la libertà

149

spirituale. Il compromesso democratico consiste nel conservare la libertà individuale al livello superficiale della vita politica ed economica, trascurando le radici della vita, sia fisica sia spirituale.

Importa quindi soprattutto garantire le condizioni minime essenziali alla conservazione della libertà spirituale o addirittura alla sopravvivenza dell’anima umana; perché senza di ciò non sì potranno conservare né i valori cristiani né i valori tradizionali della società " occidentale" o democratica. Ma qui c'è il grande pericolo derivante dal fatto che lo sviluppo delle nuove tecniche di dominio sociale (o piuttosto la nuova coscienza di esse) ha superato gli sviluppi morali e religiosi della civiltà. L'effetto negativo e retrogrado che ha avuto sulla cultura è stato messo bene in evidenza dal Professor Karl Mannheim in Man and Society, ma egli scrive dal punto di vista di chi fa piani e governa, mentre il problema religioso è molto più chiaro se guardato dal punto di vista del suddito.

Se si vuol conservare la libertà bisogna anche concedere all'individuo una certa libertà d'associazione e di scelta della vocazione; e questo vale anche per la libertà spirituale. Deve esserci libertà di comunicazione, di " comunione", e libertà di vocazione, specialmente di vocazione contemplativa. Che relazione hanno fra loro queste varie libertà?

Nel passato, la libertà personale ha sempre avuto la sua base nella libertà privata. "Cittadino" equivaleva a "proprietario", e quindi solo chi era padrone d'immobili o chi aveva una posizione materiale stabile nella società godeva dei pieni diritti della cittadinanza. Il diritto di proprietà portava con sé il diritto alla libertà nella scelta di un'occupazione. Ma benché questo diritto fosse personale, esso non era del tutto individualistico; era strettamente legato all'esistenza d'un piccolo gruppo iniziale, la famiglia, che aveva la proprietà in comune sotto il governo del padre, una monarchia comunistica in miniatura, nucleo elementare su cui era costruito l'edificio della società. Al disotto ed a sostegno della politica, Legge della "civitas", stava l'economia, Legge

della casa.

Questo era l'ambiente sociale in cui respirava la libertà, spirituale del passato. In contrasto

150

con la libertà politica, la libertà, spirituale era però sempre considerata indipendente da legami economici. Anzi la libertà spirituale era spesso concepita come libertà dai vincoli della proprietà cosicché il voto di povertà era il complemento normale della vocazione spirituale, "Eppure nessuno pensò mai chi la libertà politica e quella spirituale si escludessero reciprocamente. La seconda anzi presuppone in un certo senso il diritto di proprietà, tolto il quale, essa perde ogni valore e significato morale.

Il cambiamento fondamentale, rivoluzionario della società moderna è stata la distruzione del vecchio concetto personale ed individuale della proprietà coll’avvento del nuovo ordine del capitalismo e del socialismo industriale che ha meccanizzato e spersonalizzato le basi economiche della vita sociale. Il nucleo elementare economico è diventato sempre più grande e si è identificato sempre più coi servizi pubblici organizzati, come l'esercito, i funzionari statali, le officine di stato, il genio civile, che erano sempre esistiti, ma che nel passato erano in netta contrapposizione all'attività economica privata.

La proprietà si separa sempre più dal lavoro e diventa sempre più un diritto di ricevere un reddito da imprese immense amministrate da professionisti salariati. In una società di questo tipo è evidente che c'è molto minor possibilità di scelta personale che non nel sistema passato. Al tempo degli eserciti mercenari, un uomo era libero di servire nell'esercito austriaco, hannoveriano, o svedese ed era anche libero di scegliere la forma di servizio od il reggimento che preferiva. Col servizio obbligatorio invece, il soldato è divenuto un numero di matricola, un pezzo dì materia grezza misurata e classificata prima d'essere messa, nella macchina. E lo stesso si dica del lavoro degli uomini nello stato socialista e totalitario. L'individuo è inviato a prendere il suo posto nella macchina economica quando lascia la scuola. Quanto più perfettamente organizzato il sistema, tanto più completamente l'individuo sarà condizionato ed adattato all'adempimento della sua funzione economica. Ma mentre non c'è posto per la libertà individuale che intralcerebbe il funzionamento della macchina, è altrettanto indesiderabile un senso d'inferiorità e di

151

ritegno che provocherebbe resistenza o inefficienza. La società tenderà quindi a condizionare l'individuo per un servizio totale a vantaggio della comunità ed i sistemi totalitari si sono molto avanzati verso questa meta.

Malgrado ciò questa soluzione è così contraria a tutta la tradizione della cultura occidentale e cristiana, che è quasi inconcepibile come la nostra civiltà la possa accettare. Ci si può anzi ben chiedere se la crisi presente di cui il mondo soffre non sia dovuta ad un'istintiva reazione della società occidentale contro un sistema, che ne distrugge l'essenza più intima e le radici di vitalità spirituale. E se questo non è ancor più evidente è perché il malanno s'è ormai sviluppato troppo. Già nel secolo XIX l'ordine capitalista ammetteva il trionfo dell'uomo economico e la subordinazione degli elementi spirituali della cultura occidentale a fini materiali, cosicché non aveva più la capacità morale di resistere all'assalto della rivoluzione totalitaria. Marx aveva perfettamente ragione quando sosteneva che la borghesia capitalistica si scavava la fossa e preparava i propri becchini, ma sbagliava quando profetizzava la vittoria inevitabile del proletariato, perché la medesima tomba era destinata a ricevere l'una e l'altro; e la vittoria era riservata non alla fratellanza dei liberi lavoratori, ma alla tirannide impersonale dell'ordine della macchina, ordine non solo produttivo, ma anche distruttivo, che trova la sua più alta, espressione nella guerra meccanizzata, nella guerra mondiale totale.

La mostruosità di questo sviluppo lo rende intollerabile ad ogni mente equilibrata. Tutti sono d'accordo che, se si vuole che la civiltà sopravviva, bisogna umanizzare l'ordine della macchina. Non basta socializzarlo, far ch'esso prema ugualmente su tutte le classi e su tutti gl'individui della comunità, perché questo significa semplicemente uguaglianza nella schiavitù. Bisogna riconoscere i pericoli della disumanizzazione inerenti ad un ordine meccanizzato, e prendere misure adeguate per proteggere la natura umana dalle forze impersonali che tendono a schiacciarla. In altre parole, bisogna, riorganizzare la civiltà partendo dal punto opposto da quello da cui sono partiti il capitalismo, il socialismo ed il

152

totalitarismo. Si devono proteggere con ogni cura ed apprezzare sopra tutti gli altri quegli elementi della società che sono stati fino ad ora abbandonati a se stessi.

Quali sono questi elementi? Anzitutto la libertà d'associazione, cioè quel principio che ha sempre distinto la comunità di liberi cittadini dell'antichità classica e dell'Europa moderna dallo stato servile in cui l'individuo è semplicemente un suddito. In secondo luogo la libertà di vocazione, su cui si basa la responsabilità personale. Questa libertà non è la stessa della libertà di concorrenza dell'uomo economico, che ne usurpava il posto nei due secoli scorsi : quella era libertà di commercio e d'industria e diritto individuale di dirigere le proprie attività per interessi privati. La vocazione e l'interesse sono anzi motivi opposti, perché quella, implica una certa misura di disinteresse che subordina l'altro motivo a fini non economici. In caso di vocazione religiosa, questo è così evidente, che non occorre insistervi; ed è chiaro anche nel caso delle professioni che adempiono ad una funzione sociale riconosciuta e che posseggono una tradizione di servizio disinteressato. L'esempio più tipico è la professione del medico che s'ispirò fin dagli inizi all'alto ideale di un servizio disinteressato e che trova la sua espressione classica nella formula del giuramento ippocratico. Ma un senso simile della vocazione e dell'onore professionale esisteva nel passato in misura maggiore o minore tra scienziati e soldati, letterati ed avvocati, artigiani e pastori. Il grande male della cultura capitalistica, fu appunto quello d'indebolire o distruggere questo spirito e di sostituirvi come somma norma di vita il motivo dell'interesse e la potenza del denaro. Ed ora che l'interesse viene sostituito dall'ideale della perfezione tecnica e che la potenza del denaro viene detronizzata dalla potenza dello stato, il problema centrale della società consiste nella restaurazione dell'etica della vocazione. Se si vuole detronizzare Mammone per sostituirvi Moloch, l'ordine nuovo sarà più inumano e più anticristiano di quello vecchio. E questo è ciò che vediamo nello Stato totalitario.

I rivoluzionari non hanno dimenticato l'importanza dei due elementi sociali in questione.

153

Il comunismo s'è fondato sull'ideale dello spirito cameratesco che è la base dell'associazione. Il fascismo s'è fondato sull'ideale del "capo", che è la base della vocazione. Ma l’uno e l'altro hanno rinnegato la libertà, e perciò il culto del "capo" diventa un'adorazione diabolica della forza, ed il culto dello spirito cameratesco diventa, una scusa per la soggezione dell'individuo alla spietata dittatura d'un partito.

La nostra, società conserva ancora una forte tradizione di libertà sociale e politica; e questo, ben più che non l'uguaglianza o il diritto divino delle maggioranze, è ciò che chiamiamo democrazia. Ma stiamo subendo anche noi, non meno che gli stati totalitari, il processo di trasformazione economica e sociale dalla libertà sregolata del capitalismo dell'ottocento all'ordine meccanico di una società preordinata. Fino ad ora abbiamo evitato l'asprezza d'un conflitto di classe e la violenza rivoluzionaria che accompagnarono altrove questo stesso processo. Fra noi esso sì è realizzato mediante un'espansione costituzionale e graduale della direzione burocratica in ogni campo d'attività sociale e fino a che il sistema non venga scasso da una catastrofe esterna di sconfitte militari, non sembra ci sia ragione alcuna per cui questo processo non debba continuare fino a quando la nostra società verrà totalmente preordinata come un qualsiasi stato totalitario.

Può sopravvivere la libertà a questo processo? Un pericolo è evidente: che l'organizzazione burocratica distrugga la libertà altrettanto completamente quanto la dittatura totalitaria. Ma questo non è necessario ed inevitabile perché il sistema non è m se stesso inconciliabile col principio della libertà di vocazione. Anzi il funzionario di stato è più adatto a rappresentare il principio del servizio disinteressato e dell'onore professionale nella società moderna contro il motivo capitalistico dell'interesse e contro la volontà dittatoriale di potenza che non l'uomo d'affari ed il politico. È vero che in passato i caratteri più evidenti della burocrazia sono stati quelli negativi, col risultato che l'uomo medio la associa comunemente coll'ostruzionismo d'ufficio e colla formalità, colla tendenza ad evitare responsabilità personali e colla passione per la. routine. Ma questo fu

154

dovuto soprattutto alle condizioni deprimenti è rigide dell'epoca dell’individualismo, quando la burocrazia era riservata ad una stretta cerchia dalla tradizione Whig del privilegio aristocratico da un lato e dal pregiudizio liberale contro l'interferenza dello stato dall’altro.

Le funzioni e la potenza della burocrazia, si sono talmente allargate ch'essa è oggi così diversa da quella d'un secolo fa, come la gerarchia ufficiale dell'età di Diocleziano era diversa dalla burocrazia dell'inizio dell'Impero. La. nostra società non ha tuttavia ancora assimilato la trasformazioue e l'opinione pubblica è ancora influenzata da modi di pensare appartenenti a tradizioni tramontate da lungo tempo. Il funzionario pubblico non ha ancora compreso a pieno le sue responsabilità. Non basta essere uno specialista competente e laborioso: in questo senso nulla potrebbe superare la burocrazia tedesca, che, appunto per questo, era la serva fedele di quella forza qualsiasi che con un mezzo qualunque riuscisse a prendere le redini dello Stato.

L'immensa espansione del potere amministrativo che caratterizza lo stato moderno dev'essere accompagnata da un aumento corrispondente del senso di responsabilità personale da parte degli amministratori, altrimenti si avrà un dominio impersonale di schiavi sopra schiavi : la tirannide degli schiavi d'ufficio sugli schiavi della macchina. In altre parole il funzionario pubblico dev'essere anche lui uomo libero e cittadino, se vuole amministrare una società libera. Come abbiamo visto, il nuovo ordine tende a trattare sia l'organizzazione economica sia quella politica come forme di burocrazia, cosicché la burocrazia diventa la norma ed il modello dell'intera struttura sociale. Di conseguenza, se si riesce a salvare il principio della libertà di vocazione a questo punto, esso garantirà, nel punto decisivo, la libertà spirituale, mentre se va perduto, tutta la società diverrà meccanizzata e sterile.

È vero che questo non è l'unico principio in pericolo, perché una libertà di vocazione senza libertà d'associazione è impossibile o priva di significato. Ma questa seconda libertà la possediamo ancora in misura notevole, benché la meccanizzazione della vita economica la limiti sempre più. Non abbiamo ancora perduto il senso civico e ci sono

155

ancoro vasti campi della vita sociale in cui può manifestarsi il principio della libera associazione: come per esempio, è accaduto di recente nelle città bombardate, quando furono creati nuovi aggruppamenti e nuove organizzazioni per venire incontro a nuove necessità sociali.

Questo però non ci dà che materiale grezzo per una società libera. Lasciato a sé stesso il principio d'associazione può consumarsi in una generazione anarchica di gruppi rivali agenti nel medesimo settore o può degenerare in uno sfruttamento dell'egoismo di gruppo, in cui lo spirito cameratesco diventa una scusa di rapina e corruzione. Soltanto quando tale principio riceve forma dallo spirito di vocazione e di responsabilità individuale, la libertà d'associazione diventa capace di servire l'ordine superiore della cultura e di creare le condizioni in cui la libertà umana reca imiti spirituali, in modo che ne risulti, invece d'una burocrazia morta che controlli un'attività informe dì massa, la forma organica di una comunità vivente. Nell’età del capitalismo s'insisteva tanto sul motivo dell'interesse che la società tendeva a diventare un'organizzazione senz'anima e senza cuore, incapace, al pari di una compagnia commerciale o industriale di mettere in opera, l’amore e la lealtà degli uomini. Nello stato totalitario s'insiste talmente sul motivo della potenza, che questo divora ogni altra cosa e distrugge non soltanto la libertà, ma le più elementari forme d'una vita che si rispetti. Stato capitalista e stato totalitario tendono ambedue allo sfruttamento; sfruttamento del debole da parte del forte e dei molti da parte dei pochi, sia che i forti siano rappresentati da chi detiene la forza; economica, come nella società capitalistica, o dai capi-partito e dalla polizia di stato che detengono la forza politica nel sistema totalitario.

Soltanto rinforzando l'elemento della vocazione sia nello stato sia nella società in generale, si possono evitare questi mali. La forza del sistema politico inglese del passato era nel fatto che, malgrado lo spirito di privilegio di classe, la politica era per esso una forma di servizio pubblico, e non un'occasione per spartirsi le spoglie del potere, e che

156

questo si rifletteva nei servizi pubblici e nelle professioni in modo che si pensava naturalmente in termini d'un alto livello d'integrità personale e di senso di responsabilità. E’ degno di nota che, quando nella prima metà del secolo XIX un grande scrittore francese volle fare il ritratto dell'ideale del dovere e del servizio disinteressato contro i motivi del potere, dell'ambizione e della gloria militare, scelse come personificazione del suo ideale un ammiraglio inglese, nemico della sua patria (1).

È evidente che, se l'Inghilterra deve adattarsi alla disciplina d'una società preordinata, è questo elemento della sua tradizione nazionale, che più d'ogni altro fornirà il dinamismo morale necessario. Il nostro temperamento nazionale si ribella naturalmente contro lo spirito prussiano di un'obbedienza militaresca e di un'organizzazione metodica dall'alto, ed ancor più contro il misticismo di massa che rende così facile agli slavi l'abbandonarsi estaticamente ad una forza collettiva impersonale. Gli inglesi, però, accettano più facilmente l'idea del dovere sociale e del servizio disinteressato con un senso di responsabilità personale. Se questo spirito si può applicare alle nuove condizioni della società di massa, è lecito pensare che una società preordinata non porti con sé la distruzione della libertà né con una burocrazia impersonale, né con una tirannide inumana. Ma il compito è talmente vasto che i mezzi politici e sociali non bastano ad adempirlo ; richiede l’azione di forze spirituali più profonde, che appartengono alla sfera religiosa. Se la nostra civiltà è talmente secolarizzata che è impossibile l’intervento di queste forze, credo che non ci sia speranza, di salvare la libertà, e che il nuovo ordine sarà sempre più impersonale e sempre più inumano. Ma se il Cristianesimo è ancora una forza viva in questo mondo, esso deve ancora dare la base fondamentale per la restaurazione della libertà umana e della responsabilità individuale.

L'ordine capitalista, basato sulla potenza del denaro e sul motivo dell'interesse, era profondamente alieno dai valori cristiani e fu la causa principale della secolarizzazione

(1) Il ritratto idealizzato dell'Ammiraglio Collingwood, in Servitude et Grandeur Militaires, di Alfred De Vigny.

nESTAUBAZIONE DI UN ORDINE CRISTIANO

157

della nostra cultura. L'ordine totalitario, basato sul culto della potenza segna un ritorno a forme di vita precristiane e trova la sua propria forma di esperienza religiosa in un nuovo paganesimo mentre un ordine fondato sul principio della vocazione ha un'affinità naturale cogli ideali cristiani. Anzi, il concetto di vocazione sociale, trova il suo modello, il suo archetipo, nell'idea cristiana della vocazione spirituale. Questa affinità è evidente fin dal principio nelle relazioni tra gli Apostoli cristiani ed i rappresentanti dell'ordine romano, cosicché Pietro e Paolo, gli eletti del Signore, sembrano aver avuto verso il centurione Cornelio ed il governatore Festo una specie di simpatia istintiva, che non provavano né per i sacerdoti ebrei, né per i filosofi greci. Vedevano in quei due, uomini che servivano disinteressatamente, seguendo la loro vocazione, e perciò dei ministri di Dio come loro, benché su un piano inferiore.

Appunto nella sfera religiosa, il principio della libertà e della vocazione trovano il più completo e pieno sviluppo, come si vede nei magnifici capitoli della Prima Epistola di San Paolo ai Corinti, dov'egli paragona i vari doni e le varie opere spirituali della Chiesa colle funzioni dell'organismo naturale.

Orbene, vi sono differenze di grazie, ma, uno solo è lo Spirito, differenze di ministeri, ma uno solo è il Signore e differenze d'operazioni, ma lo stesso Dio che opera tutto in tutti.

La manifestazione dello Spirito è stata concessa a ciascuno a sua utilità; ad uno è stata data per mezzo dello Spirito la parola della sapienza e per mezzo dello stesso Spirito e stata data all'altro la parola della scienza; ad un altro, nel medesimo Spirito, è stata data la fede e nell'unico Spirito la potenza di guarire è stata donata ad un altro; ad un altro la potenza dei miracoli; ad un altro della profezia; ad un altro di distinguere gli spiriti, ad un altro varie lingue; ad un altro l’interpretazione dei linguaggi. Ma tutti questi effetti sono prodotti dall'unico e medesimo Spirito che distribuisce a ciascuno secondo che vuole.

Perché come il corpo è "uno ed ha membra e tutte le membra del corpo sono molte, ma il corpo è tuttavia uno solo, così, anche Cristo; perché noi tutti, Giudei o Gentili, schiavi o liberi, siamo stati battezzati in un solo Spirito, sì da formare un solo corpo, e siamo stati abbeverati ad un solo Spirito. Perché anche il corpo, non è un membro solo, ma molte membra. Se il piede dicesse : " Siccome non sono la mano, non sono del corpo ", non è esso per questo del corpo? E se l'orecchio dovesse dire: " Siccome non sono occhio, non sono del corpo ", non è esso per questo del corpo? Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? E se tutto il corpo fosse udito, dove sarebbe l'olfatto? Ma Iddio ha disposto le membra, ciascuna parte come Gli è piaciuto, e se tutte fossero un solo membro, dove sarebbe il corpo? Ma ci sono molte membra, eppure il corpo è uno solo. E l’occhio non può dire alla mano: "Non ho bisogno del tuo aiuto "; né la testa può dire ai piedi ; " Non ho bisogno di voi ". Anzi proprio quelle che sembrano le partì più deboli del corpo, sono le più necessarie. E quelle che pensiamo essere le parti meno degne d'onore nel corpo, sono quelle che onoriamo più abbondantemente; e quelle che sono le parti nostre meno decenti, hanno più abbondante decoro. Ma le nostre parti decorose non ne hanno bisogno; ma Iddio ha armonizzato il corpo dando il maggior onore a ciò che più ne aveva bisogno; così che non ci fosse scisma nel corpo, ma le membra fossero premurose le une colle altre. E se una parte soffre qualche cosa, tutte le parti soffrono con essa; o se una parte ha gloria, tutte ne godono con essa. Orbene, voi siete il corpo di Cristo, e membra di membra. (1 Cor. XII, 4-27)

San Paolo passa poi a mostrare che al di là di tutti i doni spirituali c'è la via della carità, unica, universale, indispensabile, che tutti quei doni trascende e completa; essa è il cuore dell'organismo spirituale senza cui i più alti e potenti doni spirituali diventano vani e sterili.

Il medesimo concetto di vita organica della comunità ed i medesimi, principi d'ordine, di vocazione e di differenziazione funzionale furono applicati allo stato ed all'ordine sociale da pensatori cristiani, e divennero la base dell'etica sociale del Medio Evo, cosicché S. Tommaso vede nella società un cosmo di vocazioni in cui ogni funzione particolare, sociale od economica, trova il suo posto nell'ordine universale dei fini. E questa concezione penetrò così profondamente nella cultura occidentale, che non fu interamente distrutta nemmeno dalla Riforma o dall'individualismo dell'era capitalistica, ma mantenne la sua vitalità e fu finalmente riaffermata nelle Encicliche sociali dì Leone XIII e di Pio XI.

È vero che l’importanza di questa concezione fu parzialmente oscurata dal fatto che si sviluppò dapprima nell'ambiente sociale del feudalesimo dove dominava una tradizione patriarcale dell'autorità e così tendiamo sempre ad attribuirvi una parzialità conservatrice reazionaria ed antidemocratica. Abbiamo visto in questi anni come il fascismo ed il nazionalsocialismo abbiano sfruttato a loro vantaggio questi concetti d'organismo e di funzione benché sia assolutamente impossibile conciliare m pratica il meccanicismo inumano dello stato totalitario col principio della libertà di vocazione. Perché come la vocazione spirituale in senso religioso presuppone la libertà dello spirito ed i1 vincolo della carità, così il principio della vocazione nella sfera temporale esige la libertà personale ed il diritto di libera associazione, senza cui l'ordine dello stato e l’ordine economico, per quanto perfettamente organizzati, divengono ordini di schiavitù.

VI - Cristianità, Europa, ed il mondo nuovo

IL PRINCIPIO della vocazione è altrettanto importante per l'ordine internazionale come per la vita dello stato e della comunità. Se seguiamo a ritroso l'idea della vocazione fino alla sua prima fonte nella tradizione cristiana, troviamo ch'essa aveva fin dal principio un doppio carattere e che la. vocazione spirituale dell'individuo era inseparabilmente legata alla missione storica d'un popolo. Perché la vocazione d'Abramo, " amico di Dio ", era anche la vocazione d'un popolo eletto, serbato ad una missione mondiale. Ed in tutto il Vecchio Testamento troviamo i profeti che insistono non soltanto sulla vocazione divina d'Israele, ma anche sulla vocazione di nazioni e d'imperi ad adempiere particolari compiti nella storia del mondo.

È vero che nel "Nuovo Testamento s'insiste piuttosto sull'abbattimento delle barriere nazionali e sull'universalità del Vangelo : " Iddio ha fatto d'un sol sangue tutte le genti che abitano sulla faccia della terra " e " in Cristo non c'è né ebreo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina". Fu soltanto nella Chiesa che si realizzò e si manifestò questo principio fondamentale dell'unità e della fratellanza della razza umana. I Cristiani erano " una razza eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo di proprietà divina": (1 Pietro II, 9) o, colle parole dell'Epistola a Diogneto, " i Cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo... e l'anima è confinata nel corpo, ma conserva il corpo; ed i Cristiani sono confinati nel mondo come in una prigione, ma conservano il mondo... Dio li ha eletti ad una posizione così grande, ed essi non hanno diritto di rifiutarla" (Epistola a Diogneto, 6).

La storia del Cristianesimo è la storia d'una cultura basata su quest'idea dell'universalità spirituale; più che idea, anzi, perché essa si concretava nella società superpolitica della Chiesa. Colla conversione dell'Impero Romano e poi dei barbari, si formò una comunità di popoli con comune tradizione spirituale, trasmessasi d'epoca in epoca e da popolo a popolo fino ad abbracciare l'intera Europa; più ancora, a creare l'Europa. Perché il continente europeo è il risultato della cultura europea e non viceversa. Dal punto di vista fisico l’Europa non è un'unità, ma semplicemente l'appendice nord-occidentale della massa continentale asiatica. E non è neppure un'unità razziale, perché da tempi preistorici è stata un crogiolo di razze ed un punto d'incontro di tradizioni culturali della più diversa origine. Il principio formale dell'unità europea non è fisico, ma spirituale. L'Europa era la Cristianità; era la società di popoli cristiani che per circa mille anni è stata modellata dalle medesime influenze religiose ed intellettuali fino a possedere la coscienza d'una comunità spirituale trascendente i limiti politici e razziali. Fino a che questa comunità spirituale fu riconosciuta come realtà sociale concreta, non c'era posto per l'ideale moderno della nazionalità ed anche lo stato individuale come unità politica aveva una posizione relativamente umile. Re e principi erano considerati come funzionari della " repubblica " cristiana, non sovrani in senso agostiniano, ed il nome stesso di Stato - State, État, Staat – nel significato di comunità per eccellenza, che torma la base dì tutto il pensiero sociale dell'epoca moderna, nacque cogli scrittori italiani del Rinascimento, ribelli coscienti contro tutta la tradizione del Cristianesimo medievale, Anzi, il nuovo termine diventò moneta corrente nell'Europa occidentale colla specificazione sinistra di " ragion di stato ".

Però a spiegare il sorgere dello stato nazionale non basta dire semplicemente che esso fu una rivolta contro l'unità cristiana e le sue tradizioni culturali, perché tutti quegli stati

163

mantennero una certa fedeltà a queste tradizioni ed alla comune coscienza europea. Ciascuno dei grandi stati d'Europa era infatti un microcosmo dell'universale società cristiana da cui era emerso. Essi rappresentano una cristallizzazione dei diversi elementi sociali e culturali intorno ad un centro di forza che costituiva un polo d'attrazione delle energie sia politiche sia culturali. Così vi sorsero due atteggiamenti opposti, ma complementari verso lo stato e verso la nazione. Da un lato si riconobbe che la comunità era una parte d'un tutto più ampio, una parte d'Europa, un membro della società delle nazioni; d'altro lato il fatto che ciascuna delle grandi potenze si considerava l'erede e custode dell'ideale universale della Cristianità, fece comprendere loro che avevano una vocazione nazionale come d'un popolo eletto per una missione speciale nel mondo.

L'Italia, la Francia, la Spagna, l'Inghilterra, la Germania, la Russia, la Polonia, l'Irlanda tutte quante prima o poi, e talvolta al medesimo tempo, hanno cullato quest'idea d'una vocazione o d'una missione particolare che a volte, come nella Polonia, del secolo scorso, assunse precisa forma messianica, ma più spesso si manifestò aggressivamente sotto forma, d'imperialismo o d'espansione nazionale.

Un'importanza decisiva in questa evoluzione va attribuita al coincidere della disgregazione della società medievale cristiana coll’età delle scoperte e coll'aprirsi di nuovi mondi alla colonizzazione ed allo sfruttamento europeo. Mentre il Mediterraneo orientale, vecchia culla della nostra cultura, veniva strappato violentemente al resto dell'Europa dalla conquista ottomana; si aprivano nuovi ed illimitati campi d'espansione ai giovani popoli dell'Occidente nell'America, nell'Africa e nell'Asia sud-orientale. L'esempio della Spagna e del Portogallo fu presto seguito dall'Olanda e dall'Inghilterra e dalla Francia, cosicché il centro di gravità dell'Europa si spostò dal vecchio asse mediterraneo al nuovo mondo atlantico. Per di più la Russia moscovita che aveva per secoli vissuto una vita separata alle dipendenze dell'Impero Mongolo, riuscì finalmente ad arrestare il movimento che da epoca immemorabile spingeva verso occidente i popoli guerrieri delle steppe, e cominciò

164

ad espandersi nell'Asia settentrionale mentre riallacciava contatti coll’Europa occidentale e veniva sempre più sotto l'influenza della civiltà d’occidente. Così, col secolo XIX, l'Europa era diventata la padrona del mondo ; la civiltà europea fu considerata " civiltà" in senso assoluto. La scienza e la tecnica europea, le istituzioni ed idee politiche europee, perfino il modo di vestire e le maniere europee divennero universali e trasformarono la vita di milioni di persone, che fino allora avevano vissuto all'ombra delle sacre tradizioni di civiltà antiche o nelle condizioni preistoriche della barbarie primitiva. "Dappertutto, dalla prateria americana alla giungla dell'Africa, avventurieri europei s'impadronivano di terre vergini ed imprenditori e tecnici europei sfruttavano le risorse del mondo per procurare dividendi ad azionisti europei, e pane a lavoratori europei.

Ma quest'espansione mondiale della cultura europea fu accompagnata da. un movimento centrifugo, disgregatore dell'unità europea, che produceva da un lato una cultura generalizzata cosmopolita colle radici in Europa, ma senza stretta relazione con questo continente e dall'altro un nuovo culto della nazionalità che non lasciava posto a comunità più ampie. Questo nuovo culto trovò la sua espressione più completa' e più intensa in Germania durante il risveglio nazionale che seguì la conquista napoleonica, ma non fu esclusivamente tedesco d'origine ed i suoi sviluppi abbracciarono l'intera Europa e corsero da un estremo all'altro del mondo come parte inseparabile dell'ideologia occidentale. Nella sua. prima forma romantica, però, il nazionalismo non implicava ostilità contro l'idea dell'Europa. È significativo che il primo scrittore tedesco che coniò la parola "nazionalità" fu "Novalis, l'autore di Die Christenheit oder Europa, che cerca nella passata unità della Cristianità medievale un modello per la riorganizzazione dell'Europa e dell'umanità. Soltanto quando il nazionalismo si staccò da quest'idealismo romantico e fu riinterpretato in termini d'una biologia popolare di tipo darwiniano, esso acquistò un carattere nettamente antieuropeo. Ciononostante il nazionalismo, soprattutto in Germania, continuò

165

a mantenere un certo ideale quasi religioso e proprio questa ibrida fusione di materialismo razziale e di misticismo nazionalistico ha prodotto il mastodontico fenomeno sociale del nazionalsocialismo, quale lo vediamo oggi.

Qui lo stato non è più considerato come membro d'una società di nazioni, ma come un ente che esiste soltanto per realizzare i fini della comunità, razziale unica realtà fondamentale della società. Tra questi gruppi razziali elementari, non c'è comunione possibile, perché la natura esige che ciascuno si mantenga rigidamente entro i limiti delle sue speciali forme di vita; e la mescolanza di razze e di culture è il massimo delitto sociale. Quanto più pura è una razza, tanto più alta sarà la cultura : la legge finale del progresso umano va cercata nell’espansione vittoriosa, di tipi più alti e nell'eliminazione progressiva delle razze più basse.

È evidente che queste teorie offrono un'ottima base ideologica alla politica d'aggressione d'imperialismi militari e vediamo oggi nel caso della Germania e del Giappone quale potente impulso possa nascere dall'auto-esaltazione d'una comunità nazionale ad alto livello d'organizzazione. Esse però non offrono speranza alcuna d'un ordine mondiale, perché sono al polo opposto di tutte le tradizioni, di tutto lo spirito morale della civiltà occidentale che perfino Hitler considera come la fonte delle più alte conquiste dell'uomo (1). Perché, come abbiamo visto, l'unità europea fu creata dalla comunità spirituale e la civiltà occidentale acquistò un'influenza mondiale come comunità di cultura. È vero che l'Europa era anche una società di nazioni e che perciò l'elemento razziale, il vincolo del sangue comune, come il vincolo del comune linguaggio e della patria comune contribuì in grande misura al suo sviluppo. Ma sia la civiltà sia la nazione sono come dei composti chimici, che devono la loro esistenza stessa alla sintesi, ed ogni tentativo di risolverli negli elementi componenti porta alla loro distruzione. Il nuovo razzismo non è quindi che un sintomo di più della disgregazione della nostra cultura. La dissoluzione dell'unità

(1) Cf. le sue interessanti osservazioni sul Giappone e la cultura occidentale in Mein Kampf, Parte I, cap. 11.

166

d'Europa ha spinto gli uomini a dirigere la loro attenzione anzitutto alle sue parti, cioè alle nazioni, e poi agli elementi che le compongono.

Così l'ideologia razzista, come quella comunista, è il risultato del dissolversi dell'unità europea e del tentativo di trovare un sostituto in qualche elemento sociale primario, permanente ed indistruttibile. Ma se, come noi crediamo, l'Europa era sostanzialmente un'unità spirituale basata sulla religione e manifestantesi nella cultura, essa non può essere sostituita da una unità biologica odi economica, perché queste appartengono ad un piano differente di realtà sociale, sono elementi sociali, non organismi sociali nel senso pieno dell'espressione.

E’ vero che è impossibile restaurare il vecchio ordine europeo, anche nella forma più recente e più sconnessa, perché lo sviluppo economico moderno e la guerra moderna meccanizzata hanno lasciato un'impronta profonda sulle condizioni della vita politica e sulla concezione della sovranità dello stato e gli stati minori d'Europa non possono più mantenere la loro indipendenza col sistema tradizionale delle alleanze militari e coll’equilibrio delle forze. Ma questo non significa che debbano essere sacrificati alla volontà di potenza degli stati totalitari di massa, o assorbiti in un'unità razziale, creazione artificiale d'una propaganda nazionalista. Piccoli stati, come la Svizzera ed il Belgio, in cui si parlano diverse lingue, possono tuttavia possedere un forte carattere nazionale e tradizioni storiche che non si possono negare nell'interesse d'una teoria razzista o

Di un'ideologia di partito. Perché la civiltà europea esiste soltanto per mezzo di società storiche di questo tipo, grandi o piccole che siano. Perfino oggi le tradizioni nazionali e l'unità sociale dei popoli europei sembrano più forti che mai; il fallimento fu politico; dovuto all'incapacità dello stato individuale e del sistema europeo di stati nel loro insieme d'adattarsi alle nuove condizioni.

Eppure perfino questo fallimento è una prova indiretta della forza della civiltà occidentale perché fu il risultato dell'espansione mondiale della cultura occidentale e del suo trionfo sopra le limitazioni fisiche che nel passato condizionavano la civiltà. Fino al principio

167

del XX: secolo, la politica internazionale era ancora un campo chiuso, riservato alle potenze europee, ed il resto del mondo forniva, nn quadro di fondo passivo alle loro manovre. Non abbiamo ancora fatto l’occhio alla scala sempre più vasta della politica mondiale, né abbiamo considerato la possibilità d'un ordine mondiale in cui l'elemento unitario non sia lo stato, ma la civiltà.

Ma coll'avvento di questa guerra abbiamo visto sgretolarsi il vecchio sistema di stati, sotto gli assalti in massa d'una singola potenza totalitaria, mentre la lotta di superstati ultrapotenti continua sul corpo prostrato d'Europa. Al momento presente rimangono soltanto sei centri di potenza mondiale : la Germania. l'Italia, il Giappone, l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti e la Commonwealth britannica: tre potenze militari unitarie contro tre grandi federazioni (1), mentre una settima potenza mondiale dell'avvenire, la Cina, è quasi sommersa sotto l’irrompente marea della conquista giapponese. Ad eccezione dell'Italia, che deve quasi tutta la sua importanza alla dipendenza da un'altra potenza, nessuna di queste potenze è una nazione-stato nel senso tradizionale; sono o imperi militari o federazioni che abbracciano milioni di chilometri quadrati di terre e centinaia di milioni di abitanti. Gli Stati Uniti s'estendono dall'Atlantico al Pacifico, l'Unione Sovietica dal Pacifico al Baltico, mentre la Commonwealth britannica è una società mondiale che s'estende a tutti e cinque i continenti. E’ evidente che lo sviluppo di questi immensi superstati sconvolge completamente il delicato equilibrio del vecchio sistema di stati europei. L’unico possibile ordine internazionale è oggi un ordine mondiale che includa tutti i grandi centri di potenza mondiale ed organizzi la sicurezza internazionale su una base universale.

Questo principio fu riconosciuto dai fondatori della Lega delle Nazioni, ma, come abbiamo visto (cap. V della prima parte) essi non hanno tenuto conto delle forze nuove ed, hanno creato un'organizzazione che non era

(1) Adopero questa parola nel senso di " organizzazione politica in cui vari stati formano una unità, pur mantenendosi indipendenti per gli affari interni ". (Cf. il Concise Oxford Dictionary alla parola federation).

168

né europea né universale, perché non includeva né l'Unione Sovietica né gli Stati Uniti, e perché la sua vera base era costituita da un sistema d'alleanze simile a quello che aveva garantito l'equilibrio europeo nei secoli XVIII e XIX. Non c'è da meravigliarsi che un sistema che ignorava le realtà della potenza mondiale sia stato sfidato e rovinato dai nuovi regimi d'Europa e d'Asia che si basavano sul nudo fatto della forza, trascurando ogni altro fattore. Ma benché il razzismo, il militarismo, l'autarchia e l'aggressione illimitata siano potenti come forze rivoluzionarie e distruttrici, non possono servire da base a un ordine nuovo. L'opera della Lega delle Nazioni va rifatta con maggiore realismo e con più ampia responsabilità. Questo non può essere fatto dalla sola Europa, ma non può essere fatto senza l'Europa, perché l'Europa rappresenta ancora la più grande concentrazione di popolazione, dì forza e d'attività culturale al mondo. Per di più si deve ricordare che l'idea stessa d'ordine internazionale è venuta dall'Europa e dall'America, (che è il nuovo mondo dell'Europa), e che i popoli d'Africa e d'Asia hanno acquistato coscienza della loro appartenenza al mondo politico e della loro posizione internazionale solo mediante l'influenza occidentale ed in comunione colla cultura occidentale.

Ma bisogna chiedersi se si possa pensare ad una qualsiasi soluzione di questo problema, nella quale i diritti delle nazioni si concilino coll’esistenza dell'Europa e colle esigenze d'un ordine mondiale. Anzitutto bisogna tener presente che questo problema non è semplice : non si tratta d'un rapporto tra una data nazione ed una società di nazioni soltanto, oppure tra un dato stato ed una società mondiale; si tratta d'un rapporto triplice, perché tra le singole nazioni ed il mondo sì trovano le varie unità, culturali. Fino ad oggi non si è pensato mai ad andare oltre le unità culturali e ciascuna civiltà costituiva un mondo chiuso ; tale, per esempio la Cina di fronte all'Europa. E questi mondi chiusi si guardavano l’un l'altro come i greci ed i barbari dell'antichità e come i cristiani ed i maomettani del Medio Evo. Ma il mondo nuovo, il mondo che sta oggi dinanzi ai nostri occhi è una civiltà che coordina ed assomma le civiltà, una " civiltà di civiltà ". una

169

società mondiale costituita dì varie province culturali, ciascuna di queste costituita a sua volta di numerosi popoli e nazioni. Quasi tutte le teorie sociali e politiche odierne dimenticano questo stadio intermedio delle unità culturali e vedono nello stato 1a più alta realtà sociale che emerge su un quadro di fondo internazionale amorfo e privo d'organicità, nulla più che la somma di tutti gli stati del mondo. Ma un ordine mondiale vero deve prendere in considerazione non soltanto la realtà della forza, ma la realtà della cultura, che influenza, oltre alle istituzioni sociali e politiche, anche gl'ideali di vita ed i modelli che gli uomini seguono nella loro esperienza sociale.

Questo problema si può risolvere in due modi : od organizzando ogni unità geografico-culturale come un mondo a sé, autarchico, sotto il dominio d'un " superstato " totalitario , e questa è la soluzione tedesca e giapponese che non soddisfa né ai diritti delle genti, né alle esigenze d'una pace mondiale; oppure creando non una Lega di Nazioni, ma una Confederazione, una Lega di Federazioni, basate sulla comunanza di cultura ed organizzate, ciascuna d'esse, sotto forma, di società di nazioni o di stati con diritti autonomi.

Esempi di questo tipo d'organizzazione politica ci sono dati dalle tre potenze mondiali alleate nella presente lotta, nonostante le grandi differenze di costituzione politica e di tradizioni storiche. Gli Stati Uniti d'America costituiscono una federazione che ha dato origine ad un'unità nazionale, mentre la Commonwealth britannica e l'Unione Sovietica sono imperi sviluppatisi in federazioni. Tutte queste potenze professano ideali democratici e rifiutano il principio di disuguaglianza razziale benché l'applicazione di questi ideali sia limitata nell’Unione Sovietica dal carattere totalitario della dottrina comunista e dai metodi della dittatura rivoluzionaria e nell'Impero Britannico dalle differenze nel grado di autonomia tra i dominii indipendenti, i territori coloniali ed i protettorati, nonché dalla parte che in esso impero ha l'immensa regione indiana che costituisce una delle unità geografico-culturali che potrà diventare membro della confederazione mondiale. Perché l'India non è una nazione, ma una società di nazioni,

170

con una tradizione comune di civiltà, che trascende la politica e che s'è mantenuta in vita malgrado innumerevoli invasioni e dominazioni straniere.

Ma veniamo all'Europa. È forse possibile concepire una federazione europea occidentale capace di prendere il suo posto vicino alle tre unità, federali già esistenti, qual membro della società mondiale? Al momento attuale l'ideale degli Stati Uniti d'Europa può sembrare utopistico ed irreale ; eppure sembra l'unica soluzione che possa conciliare la libertà nazionale e l'autonomia culturale dei popoli europei occidentali colla tradizione dell'unità europea e con i bisogni dell'ordine mondiale.

Le obbiezioni che si levano contro l'idea d'una federazione europea sono in gran parte il risultato d'una visione troppo limitata dell'essenza della federazione, di una visione basata sugli Stati Uniti d'America dove la soluzione federale fu resa possibile dal fatto che il sentimento nazionale era concentrato sull'Unione piuttosto che sugli Stati che possedevano un carattere provinciale piuttosto che nazionale. Ma in Europa lo sviluppo intensivo delle tradizioni politiche e della cultura nazionale ha dato ad ogni popolo una coscienza così radicata della sua individualità che ogni limitazione di sovranità politica e considerata come una minaccia alla sua vita spirituale.

Che si debba concludere da tutto ciò che l'unica forma possibile d'unità europea consiste in un imperialismo totalitario distruttore d'ogni libertà nazionale, sembra certamente assurdo. È senza dubbio più ragionevole pensare che l’organizzazione d'Europa abbia ad essere il più possibile libera e variata. La Commonwealth britannica ha insegnato quanta varietà e quanta autonomia si possano dare alle diverse parti, senza per questo perdere una unità politica e sociale, non meno reale perché indefinibile. Come il nostro ipotetico ordine politico, la Commonwealth è una federazione di federazioni, che, per di più, si mantiene con un'organizzazione centrale ridotta, ai minimi termini. Analogamente è permesso pensare ad una unione europea, soprattutto sotto forma di società di popoli liberi, in cui stati piccoli e grandi, regni e repubbliche, con le loro istituzioni e costituzioni, vivrebbero l'uno a fianco dell'altro,

171

come i membri della Commonwealth britannica.

Una federazione di questo tipo corrisponderebbe al concetto tradizionale d'unità europea, definita dal Burke come un'associazione (commonwealth) di nazioni cristiane, basata, su comuni norme dì vita, comune cultura, comune diritto pubblico.

Il valore politico di questa concezione era viziato dall’accettazione della guerra come parte del diritto internazionale, vizio questo che fu ridotto, ma non curato, col tentativo di Grozio di definire le condizioni d'una guerra giusta. È vero che, in parte sotto l'influenza delle idee di Burke, si tentò seriamente nel 1815 d'unire gli Stati d'Europa sulla base dei principii cristiani facendone dei membri d'una famiglia cristiana di nazioni. Ma siccome il piano partiva dai tre grandi stati autocratici dell'Europa orientale e trascurava il principio di nazionalità ed i diritti dei popoli, i suoi ideali sublimi furono abbandonati come una maschera della tirannide e furono distrutti dai movimenti nazionalistici della metà dell'ottocento che trascurarono completamente l'esigenza d'un ordine organizzato europeo.

Oggi tutti si rendono conto della necessità d'un ordine europeo ed il problema vero non è se l'Europa debba sottostare ad un'egemonia tedesca od anglo-americana o russa, ma se l'Europa debba, essere organizzata in forma d'un impero militare totalitario, oppure in forma di libera federazione democratica. Soltanto nel secondo caso si potrà armonizzare il principio dell'autonomia nazionale con quello d'una unità più ampia dotata d'una cultura comune e d'una comune tradizione storica in misura tale che ne possa nascere un vero senso di solidarietà quale la Lega delle Nazioni è incapace di creare. Un'unità europea di questo genere sarebbe in grado di collaborare colle altre federazioni mondiali, quali la Commonwealth britannica, gli Stati Uniti d'America, l'Unione Sovietica, l'America Latina, l'India, la Cina, - come membro costitutivo d'un ordine federale mondiale.

In questo modo si potrebbe conservare il carattere nazionale e la funzione culturale degli stati

172

minori, che tendono a scomparire nell'atmosfera cosmopolita d'uno stato mondiale. La Svizzera e la Danimarca hanno il loro significato ed il loro posto nell'ordine europeo, come la Colombia e l'Ecuador nell'America Latina, la Nuova Zelanda o Terranuova nella Commonwealth britannica; ed i loro valori individuali andrebbero perduti o gravemente colpiti in un sistema mondiale uniforme in cui fossero incorporati gli stati minori, quali unità isolate, a fianco di stati giganteschi con centinaia di milioni d'abitanti.

Gli ostacoli che s'oppongono alla creazione di questo sistema federale organico d'ordine mondiale sono senza dubbio immensi, ma non sono maggiori che per ogni altro sistema di ordine mondiale, da quello d'una Lega delle Nazioni a quello d'uno stato unitario mondiale.

Eppure la storia catastrofica dell'ultimo trentennio, con le sue due guerre mondiali e la sua serie di crisi politiche ed economiche, dovrebbe essere sufficiente a convincere anche i più cauti conservatori che la questione dell'ordine mondiale non è idea utopistica, ma problema vitale da cui dipendono la nostra stessa vita e l'esistenza della nostra civiltà. Al momento presente le forze della distruzione e della violenza sono temporaneamente in ascesa cosicché gli uomini sono tentati ad abbandonare i principi su cui è stata basata la civiltà occidentale e ad arrendersi alle potenze diaboliche emerse di sotto la superficie razionalizzata della società, moderna. Questa è la grande tragedia del tempo nostro : che la politica d'aggressione e la propaganda della potenza amorale trova eco in elementi più profondi della coscienza di massa che non l'idealismo morale della giustizia internazionale e della pace universale. E perciò l'umanità può trovar salvezza da questo pericolo soltanto ritrovando una dinamica spirituale che scuota la coscienza della società più profondamente che non la volontà materiale di potenza.

Abbiamo visto come la civiltà europea non debba la sua origine né ad una unità razziale né ad un'organizzazione politica, ma alle forze spirituali che unirono romani e barbari nella nuova società cristiana. Questa società però non era limitata per principio alla particolare associazione di popoli che la componevano di fatto perché era una società universale, basata

173

sull'unità e sulla fratellanza di tutti gli uomini e corrispondeva, sul piano temporale, alla nuova idea d'umanità, trascendente ogni divisione di razza e di classe, "in cui non c'è né greco né giudeo, né circonciso né incirconciso, né barbaro né scita, né servo né libero, ma Cristo è tutto in tutti". Se nel mondo d'oggi questa, fede è ancor viva, essa non è meno valida come base d'un ordine mondiale di quanto non sia stata nel passato come principio creatore dell'Europa. Che anzi, l'idea sociale del Cristianesimo trova la sua espressione più piena soltanto in un ordine mondiale, perché l'etica sociale cristiana ha, fin dal principio, avuto a quadro di fondo la vocazione apostolica mondiale o la visione d'un universalismo spirituale.

I cristiani hanno quindi, nella crisi odierna, una responsabilità duplice ed una duplice missione. In primo luogo, sono gli eredi della vecchia tradizione europea ed i custodi del principio spirituale che ha dato vita all'Europa. Non c'è nulla nel passato d'Europa che non debba la sua esistenza al Cristianesimo o che non ne abbia subito l'influenza, non esclusi gli eretici ed i rivoluzionari, che sono stati spesso ispirati da una devozione esagerata ed unilaterale ad uno o ad un altro elemento particolare della comune tradizione. In secondo luogo i cristiani hanno una nuova responsabilità ed una nuova missione di fronte alla nuova società mondiale creata, malgrado se stessa, dall’Europa, mediante il progresso scientifico e l'espansione coloniale ed economica. Questa società mondiale è ancora informe, appare come un caos in cui siano attive solo le forze della distruzione e manchi di un qualsiasi principio d'ordine, di un qualsiasi potere spirituale capace di darle forma ed unità organica. Ogni tentativo d'organizzare il mondo su basì di potenza economica e militare non illuminata da una visione spirituale è condannato al fallimento perché trascura i fattori più profondi e più vitali del problema; e se si trascurano questi fattori psicologici e spirituali, essi tendono a riaffermarsi in una rivolta passionale e distruttrice quale quella che ha rovinato la repubblica di Weimar ed il sistema internazionale della Lega delle Nazioni.

È perciò impossibile escludere le pretese del Cristianesimo come estranee al problema dell'ordine internazionale perché le forze diaboliche che sono entrate nella casa vuota delle civiltà secolari non possono essere esorcizzate dall'economista o dal politico : la religione è l'unica forza che possa opporsi alle forze della distruzione su una base d'uguaglianza e salvare l'umanità dai suoi nemici spirituali.

La missione mondiale del Cristianesimo è basata sulla concezione d'una società spirituale trascendente tutti gli stati e tutte le culture, meta finale dell'umanità. Dovunque esiste il Cristianesimo, sopravvive un seme d'unità, un principio d'ordine spirituale, che non può essere distrutto dalla guerra o dal conflitto degl'interessi economici o dal fallimento di un'organizzazione politica. Si dirà, senza dubbio, che la Chiesa Cristiana non adempie in realtà alla sua funzione e che i cristiani sono troppo pochi, troppo deboli e troppo poveri in qualità intellettuali e spirituali per influenzare il corso della storia. Ma lo stesso si sarebbe potuto dire degli ebrei al tempo dei profeti o dei cristiani stessi al tempo dell'Impero Romano. " Voi vedete la vostra vocazione, fratelli ", scriveva San Paolo, " vedete che non molti uomini sapienti secondo la carne, non molti fra i potenti, non molti fra i nobili sono chiamati" . Per la sua stessa natura il Cristianesimo non dipende dai mezzi umani, non s'affida al "braccio della carne", non giudica gli eventi con norma umana e secolare. L'unica cosa ch'esso domanda è la fede e la mancanza di fede è l'unica cosa che può arrestare l'esecuzione del piano divino.

Così, in ultima analisi, l’unica speranza per il mondo risiede nell'esistenza d'un nucleo spirituale di credenti che rechino con sé il seme dell'unità. A quest'unità sono chiamati a contribuire tutti gli uomini, tutte le società umane; ognuno deve dare il suo contributo individuale ed insostituibile alla vita del mondo intero. Oggi invece, in questa situazione di disordine mondiale in cui ogni società s'affanna a raggiungere le sue proprie mete servendosi soltanto del potere politico senza preoccuparsi dei diritti altrui e della vita dell'intera comunità umana, la vocazione dei credenti viene ridotta all'impotenza : e quanto più alta, quanto più eccezionale la loro vocazione, tanto più radicale è l'opposizione ch'essa incontra, tanto più aspro è il conflitto. La conciliazione delle nazioni si raggiungerà soltanto su di un piano ben più profondo di quello dell'interesse economico e del potere politico perché è compito essenzialmente spirituale, che richiede una visione spirituale, la fede, ed una volontà spirituale, la carità.. Oggi vediamo qual sorte tocchi ad un mondo in cui l'odio diventa la forza motrice che spinge l’immensa macchina statale costruita dall'organizzazione scientifica moderna. In confronto con questo male, tutte le differenze dì partito, di classe, di nazionalità, di razza perdono ogni significato e perfino i mali della guerra attuale, per quanto terribili ed immensi, non sono che i segni esterni e visibili del "mistero d'arbitrio senza legge" che è all’opera nel mondo d'oggi.

La forza dello Spirito è l'unica forza che possa sopraffarlo. Fortificati dallo Spirito, i cristiani del passato hanno affrontato e sopraffatto la civiltà pagana dei conquistatori barbari. Il nuovo paganesimo che ci sta oggi di fronte è più terribile di quella civiltà e di quella barbarie, nella sua fredda, negazione dell'umanità e nel suo sfruttamento scientifico del male.

Ma se abbiamo fede nella forza dello Spirito dobbiamo credere che anche questi mali possono essere vinti. Perché le forze del mondo, per quanto formidabili appaiano, sono forze cieche che lavorano nelle tenebre e che traggono le loro energie dalle forze della negazione e della distruzione ; e sono impotenti contro lo Spirito che è Signore e Datore di Vita.. Ed allo stesso modo tutti i loro artifici, nuovi e complicati per asservire la mente umana sono impotenti contro quelle più alte forze della conoscenza e della volontà spirituale che sono i doni essenziali dello Spirito Santo.