DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La risposta è dentro di te. Epperò è sbagliata. È il bazar della spiritualità in cui sguazzano fedeli senza Cristo e cristiani senza fede

di Emanuele Boffi
Matthieu Ricard è l’uomo più felice del mondo. Francese, famiglia bene, enfant prodige – «ha lavorato con due premi Nobel» – a vent’anni si è convertito al buddismo perché voleva «migliorare come essere umano». Vive in Tibet, è amico del Dalai Lama, tiene conferenze a Princeton e Berkeley, il suo ufficio stampa divulga fotografie che lo ritraggono sorridente e a gambe incrociate in un morbido prato verde. Grazie a una ricerca coordinata dal professore Richard J. Davidson, massimo esperto planetario di neuroplasticità, si è potuto appurare – attraverso un encefalogramma in grado di misurare le «emozioni positive» – che Ricard è «l’uomo con il più alto livello di energia positiva al mondo». Preceduto da tale fama, il monaco buddista è intervenuto all’annuale convegno Torino Spiritualità per spiegare che «la felicità è un’abilità che richiede sforzo, tempo, disciplina, ma anche sviluppo di qualità come amore incondizionato e altruismo». Quindi, poiché il segreto della felicità è «legato alle emozioni positive dell’emisfero sinistro del cervello», quel che basta fare è «potenziarlo con la meditazione». Domandarsi cosa siano le “emozioni positive”, in che cosa consista tale “allenamento”, perché occorra “essere altruisti”, se per “neuroplasticità” si intende il fitness dei neuroni sono questioni che non si pongono. Non serve sapere perché bisogna essere buoni, basta allenarsi ad esserlo. Non bisogna domandarsi il senso della felicità, basta meditarci alacremente con convinzione e, possibilmente, a gambe incrociate.
È il gran bazar della spiritualità, il supermercato del sentimento religioso che ogni giorno fa capolino in convegni, incontri, kermesse che mettono al centro dialoghi e meditazioni, percorsi e vademecum per ritrovare la bussola in questo mondo globalizzato che fa le guerre in Medio Oriente e spreca l’acqua in Occidente. È il business delle ragioni del cuore che la ragione non conosce, alla moda perché tollerante e tollerante perché alla moda, senza gerarchie, preti, papi, catechismi che fanno tanto Medio Evo e secoli bui.
Da questo punto di vista, la settimana di convegni svoltasi a Torino a fine settembre è stata esemplare. Tema: “Gratis. Il fascino delle nostre mani vuote”. Ospiti: Gustavo Zagrebelski, Gherardo Colombo, Shel Shapiro, don Antonio Sciortino, Gianni Vattimo, Erri De Luca, Carlo Petrini, Enzo Bianchi, Vito Mancuso. Ospiti internazionali: il già citato Ricard – che ha anche proposto di sostituire il Pil col Fil (Felicità interna lorda) – e Robert Thurman, padre dell’attrice Uma, buddista anch’egli, che ha esordito «chiedendo scusa, da americano, per George W. Bush» e ricordando che «l’essere diventa umano quando, pur essendo leone, non uccide la gazzella». Tali indimenticabili lezioni paiono aver molto soddisfatto la platea che ha potuto pascere la propria anima grazie anche ad altre iniziative quali lo spettacolo teatrale di riadattamento del Decalogo (quarto: “Sopporta il padre e la madre”) o la visita al “museo diffuso” dove, «come novelli Mosè metropolitani, si possono smontare e rimontare come mobili Ikea le Tavole della legge». Non sono mancati affondi artistici quali quello regalato dal premio Strega Tiziano Scarpa che ha spiegato la superiorità teologica del fumetto sull’arte sacra o il dialogo iperambientalista tra un dj e il professore Andrea Segré sul tema «beati i poveri di cose e beati i frugali».

In principio era la gravità
Come siamo arrivati a questo punto? Come siamo arrivati a spacciare per riflessioni sull’esistere e sui millenari dilemmi umani, questo discount del banale, dell’emotivo, dell’assurdo? Come si è arrivati a dare una patente di credibilità intellettuale a propalatori di illogici sofismi ecosostenibili, i quali cercano di farci credere che Satanasso ci risparmierà le fiamme della Geenna se faremo la doccia al posto del bagno? E perché tutti i maggiori quotidiani italiani hanno presentato l’ultimo libro (The Grand Design) dell’astrofisico Stephen Hawking come la dimostrazione risolutiva, insindacabile, definitiva del fatto che «Dio non esiste»? Scrive Hawking: «Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato da solo, dal niente». Repubblica ha scritto che Hawking, «l’erede di Newton», è vicino a «formulare una teoria del tutto che spiegherà le proprietà della natura, la scoperta considerata il Santo Graal della fisica dai tempi di Einstein». A Repubblica non è però venuto in mente di chiedersi, come un comune e stolto uomo della strada avrebbe fatto, perché Hawking sia disposto a postulare la pre-esistenza della legge di gravità, ma non quella di Dio.
Ma chiedere un rigore razionale a chi fa del razionalismo l’arma per confutare le certezze di fede, sarebbe troppo. Chiedere, ad esempio, a Corrado Augias di dimostrare secondo un rigoroso metodo storico che si avvalga di fonti su quali basi abbia potuto sostenere nei suoi libri, Inchiesta su Gesù e Inchiesta sul cristianesimo, che coloro che furono miracolati da Gesù facevano uso di «erbe e fumi», sarebbe poco elegante. Così come, probabilmente, si peccherebbe di tracotanza intellettuale far notare al teologo Vito Mancuso che sostenere che l’anima è un’«eccedenza energetica» sprigionata dalla materia significa supporre che un elefante abbia più anima di un uomo. Come ha notato Vincenzo Vitale nel suo Volti dell’ateismo, «Mancuso ammette che è proprio così, ma precisa che a differenza di quella dell’elefante, l’energia dell’uomo è “più ordinata”. Già. Peccato che resti da spiegare l’unico aspetto che veramente conti e che invece in Mancuso rimane avvolto nel mistero: perché l’energia umana sarebbe più ordinata e come avverrebbe tale raffinamento organizzativo».
Ma è tutto inutile, è tutto vano. Il marketing del relativismo religioso è costruito sulla sabbia, non sulla roccia: è vacuo per quel che basta e suggestivo per quel che resta. Scrive le sue risposte nel vento e rumina tutto, santi compresi. È tutto fiction, spettacolo accattivante, magnetismo religioso a buon mercato. Il san Filippo Neri raffigurato in un recente sceneggiato sui Rai Uno (Preferisco il Paradiso con Gigi Proietti) non era l’ortodosso e cattolicissimo bastian contrario che fu in vita, ma il suo appetibile surrogato, un “prete dei poveri” in lotta con l’onnipotente piovra vaticana. E se il più diffuso settimanale cattolico sente l’esigenza di trasformare la Bibbia in un rap per “avvicinarla ai giovani” e se uno dei maggiori video che ruota su Youtube è il ballo della waka-waka di goffe suore e stravaganti frati francescani, qualcuno dovrebbe forse iniziare a domandarsi se i primi propalatori di questa fede senza Cristo non siano i cristiani piuttosto che gli atei militanti alla Hitchens o alla Giorello.

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