DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Cina, addio alla mamma tigre: è l’ora della scuola steineriana


Francesco Battistini

Corsera


BERLINO – Mamma Tigre, dentro gli artigli! Anche i cinesi, i ricchi cinesi, s’accorgono che i figli sono cuccioli. Da crescere, non da allenare. Da seguire, non da spingere. Da rispettare, non da reprimere. Il modello scolastico confuciano della competizione estrema - tanto per intenderci: quello esaltato dall’ «Inno di guerra della madre tigre» di Amy Chua, la belva con gli occhi a mandorla che qualche anno fa sconvolse l’America, descrivendo la disciplina ferrea e lontana dalle mollezze occidentali nella quale stava allevando le sue figliole – quel modello non soddisfa più. E ora nella vecchia Europa, oltre a comprare le Mercedes o le Prada, chi se lo può permettere ha deciso di copiare il più «morbido» dei sistemi pedagogici: la scuola steineriana. 
Negli ultimi dieci anni, dice Nana Göbel, direttrice della Società tedesca d’amicizia Waldorf, in Cina sono stati aperti 172 istituti ispirati al famoso metodo teorizzato un secolo fa da Rudolf Steiner, attento più allo «sviluppo emotivo» del bambino che alla sua scolarizzazione tout court. A Pechino le mattinate della scuola pubblica s’aprono con l’esecuzione dell’inno nazionale? Quelle steineriane cominciano dalla raccolta delle uova. Alle elementari di Stato si selezionano i più bravi e si scartano gli altri? Qui, ogni bambino è curato nelle sue passioni principali, che siano la musica, l’arte o la vita all’aria aperta. Le iscrizioni raddoppiano ogni dodici mesi, «le cifre che in Germania raggiungiamo in un anno – spiega Nana Göbel -, in Cina le tocchiamo in un mese». E’ una silenziosa rivolta politica, anche: «I genitori che hanno studiato all’estero, o magari viaggiano molto, si ribellano ormai all’educazione imposta dal Partito comunista e dalla società cinese. Molti di loro hanno vissuto sulla loro pelle le torture d’un sistema totalitario e oggi non accettano l’aggressività d’una scuola che adesso impone soprattutto nozionismo, competizione, meritocrazia senza valori». Bacchette e bacchettate. La chiamano la più grande macchina di selezione del mondo: lo scopo d’ogni scolaro, fin dal primo anno fra i banchi, è di raggiungere e superare il «gaokao», l’esame universitario che ammette solo il dieci per cento di chi esce dalle superiori. Le famiglie della classe medio-alta sono disposte a svenarsi in lezioni private, pur di spingere i ragazzi negli atenei, e c’è più d’un motivo: ai concorsi internazionali, i giovani cinesi risultano regolarmente primi ai test di matematica o di scienza.
«Tutto questo però comincia ad avere un costo – dice Huang Mingyu, 41 anni, direttore d’una steineriana vicino a Pechino, padre d’una bambina che s’è dovuta ritirare dagli istituti pubblici -. Mia figlia stava male, in quel mondo di concorrenza senza limiti. Molti genitori vedono che, per pochi che ce la fanno, agli altri resta solo la frustrazione. Non vogliamo propaganda e disciplina, non sopportiamo che i testi siano censurati, non scambiamo la libertà con le nozioni. Abbiamo capito che le scuole cinesi non danno risposte alle sfide vere della vita». C’era una volta Tiziano Terzani, corrispondente da Pechino quarant’anni fa, che per i suoi figli rifiutava gli istituti privati per stranieri: preferiva gettarli nella mischia della Rivoluzione culturale, dove potessero capire meglio che cosa li circondava. Oggi, in Cina, andare alle scuole internazionali costa sempre troppo e l’unica alternativa al pubblico è il metodo Waldorf. «Anche da noi si pagano 4.200 euro all’anno – dicono gli steineriani - e nonostante ci siano posti gratuiti per i figli di famiglie povere, la maggioranza non se lo può permettere». Le difficoltà sono molte e naturalmente lo Stato fa di tutto per ostacolare la scelta in istituti dove si prega così: «Il pane viene dal grano, il grano dalla luce, la luce dal volto di Dio…».
Gli stessi insegnanti d’una steineriana sono peggio pagati, perciò difficili da trovare, e chi s’iscrive sa che poi dovrà trovarsi un’università all’estero: «Non è semplice fare questo tipo di studi – dice Zhong Daorans, ex allievo che ha scritto un libro sulla sua esperienza –. Ma è sempre meglio che sopportare le durezze delle scuole di Stato. Dove ti rubano gl’ideali di bambino. I pensieri di liceale. E i sogni d’universitario».