DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L'intolleranza religiosa sta dilagando





di Stefano Magni
20-10-2014

Brian J. Grim ha trascorso l’ultimo quindicennio della sua vita a trasformare in numeri l’esperienza della libertà religiosa (e della sua repressione) nel mondo. Già a capo del dipartimento di ricerca su Religioni e Affari Mondiali del Pew Research Center, è presidente della Religious Freedom & Business Foundation e consulente della Faith Foundation di Tony Blair. Lo abbiamo incontrato a Milano, ospite dell’Istituto Bruno Leoni, dove ha illustrato brevemente un’immensa mole di dati. La prima lezione che si ricava dalla sua vasta ricerca: l’intolleranza religiosa è ormai diventata un’emergenza mondiale e non può più essere ignorata. La seconda: la libertà religiosa è alla base di tutte le altre libertà, nonché della prosperità economica delle nazioni.
Che questo sia un periodo di intolleranza religiosa ce ne siamo accorti tutti. Basti vedere agli immani massacri di cristiani e yezidi commessi in Iraq dall’Isis. E alla condanna a morte, ribadita in appello, di Asia Bibi in Pakistan, per il reato di “blasfemia”. Cioè per avere chiesto a colleghe musulmane che “se Gesù è morto per noi in croce, cosa ha fatto il vostro Maometto?”. Ma Grim cita anche altri episodi di intolleranza religiosa di cui, solitamente, si parla meno perché sono ormai socialmente accettati. «Proprio in Italia – spiega il ricercatore – avete avuto un esempio di tentativo di restringere dal governo la libertà di portare simboli religiosi, quando è finito di fronte alla Corte Europea dei diritti il caso dei crocefissi nelle aule scolastiche». Complessivamente, secondo i suoi calcoli, il 43% dei Paesi limitano la libertà di religione. Considerando che, fra questi, figurano anche i più popolosi del mondo, quali la Cina e l’India, il 76% della popolazione mondiale, pari a 5,3 miliardi di persone, non gode della libertà di culto. Nella sua ricerca, Grim include sia la repressione governativa, sia la repressione sociale, che è altrettanto violenta. Il governo può porre divieti e limiti alla pratica religiosa, mandandoti in galera o (come nel caso di Asia Bibi in Pakistan) arrivando a condannarti a morte. I tre casi più frequenti di repressione individuati dalla sua ricerca, riguardano, appunto, la libertà di portare ed esporre simboli religiosi e la libertà di fare proseliti. Queste sono le pratiche più frequentemente punite dalla legge.
La società, comunque, aggiunge una forma ancor più incontrollata di repressione. Che in alcuni casi è più violenta ancora rispetto a quella dello Stato. «Per comprendere questo concetto, faccio l’esempio dell’Indonesia. Il Paese asiatico è a maggioranza musulmana, ma una minoranza di musulmani aderisce a sette che sono considerate eretiche. Gli ahmadi, per esempio, che aderiscono alla setta ahmadiyya, sono ritenuti eretici perché credono che vi sia stato un altro profeta dopo Maometto. Il governo, per decenni, ha vietato il loro culto, impedendo loro di pregare in pubblico, di fare proseliti e di insegnarla. Quando, più recentemente, il governo indonesiano ha lasciato molta più libertà agli ahmadi, la popolazione musulmana sunnita ha attaccato le loro moschee per bruciarle. In un incidente grave, dei fedeli sono stati trascinati fuori da una moschea con la forza, spogliati e picchiati da una folla inferocita». Sono scene a cui assistiamo anche in Pakistan, fra l’altro, quando un cristiano, o comunque un non musulmano, viene assolto da un tribunale pakistano.
Il fenomeno dell’intolleranza religiosa è in aumento vertiginoso. La percentuale di Paesi in cui si riscontrano gravi restrizioni alla libertà di culto, è passata dal 29% del 2007 al 43% attuale. In soli 7 anni, dunque, la diffusione dell’intolleranza, sia sociale che governativa è raddoppiata. Per questo motivo, la comunità internazionale non può più ignorare il fenomeno. Grim, ottimisticamente, constata che nell’83% dei Paesi in cui si riscontrano fenomeni di intolleranza religiosa, sono stati presi (o sono in corso) iniziative pubbliche per combatterla. Più facile, da questo punto di vista, contrastare l’intolleranza sociale, rispetto a quella statale eretta a sistema.
C’è un altro semplice motivo per cui il tema dell’intolleranza religiosa non può più essere ignorato: la demografia. L’idea che la popolazione mondiale stesse gradualmente abbandonando la religione è stata seppellita assieme a tante altre illusioni del Novecento. La realtà, in questi anni, è molto differente. Il dottor Grim ha infatti calcolato l’età media della popolazione mondiale per religione. Coloro che non sono affiliati ad alcun culto hanno un’età media di 34 anni, molto più alta della media mondiale (28). Le religioni più giovani sono induista (26 anni di media) e musulmana (23 anni). I cristiani sono già un po’ più anziani della media mondiale: 30 anni di media. E solo grazie ad America Latina, Africa e Asia, perché in Europa e America settentrionale, i cristiani fanno meno figli. Demograficamente parlando, dunque, il mondo va verso una maggior popolazione musulmana e induista. I due culti che registrano i maggiori e più diffusi casi di intolleranza nei confronti degli altri credo. O si affronta con urgenza la questione della libertà di religione, oppure i culti più giovani e intolleranti si mangiano gli altri.

http://www.lanuovabq.it/