DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’ultima festa di Filippo sulla terra


di Costanza Miriano
Venerdì scorso abbiamo ricevuto un grande regalo. Noi eravamo in tanti, ma il regalo era grossissimo, e bastava per tutti, così ci è sembrato, a tutti credo, di arrivare a casa con i forzieri carichi di tesori. Eppure era il funerale di un bambino di otto anni, Filippo, di cui più volte abbiamo parlato qui, e di cui moltissime altre volte abbiamo parlato privatamente tra noi, anche nella rete che è nata da questo blog e che si è diramata in tante amicizie vere, di carne e telefono e vicinanza concreta.
Il regalo che abbiamo ricevuto è stato vedere la fede dei suoi genitori, Stefano e Anna, che con una serenità non spiegabile con logiche umane hanno fiduciosamente affidato di nuovo il loro figlio al Padre che glielo aveva prestato per questi anni sulla terra. Chi non conosce la vicenda non pensi che i genitori siano state persone arrendevoli: ogni cura possibile e impossibile è stata tentata, ogni medico, ogni tentativo, ogni terapia, anche dolorosa. Hanno lottato, ma non contro Dio. Non ho mai sentito né letto negli occhi di Anna e Stefano la domanda “perché a noi”. Nello stesso tempo, mai una resa.
Una sera, due anni e mezzo fa, sembrava che la lotta fosse persa, ma noi tutti abbiamo continuato a chiedere. Mi ricordo che la mamma era corsa da lui ad affiancare il babbo all’ospedale (Filippo non è mai stato solo) perché non si sapeva quanto tempo rimanesse. Era il giorno della nevicata a Roma, e anche noi siamo corsi, volevamo almeno dare un abbraccio alla mamma. Nella fretta mi ero dimenticata di portare qualcosa, e poi non sapevo cosa comprare, né dove, era domenica, con la neve, le gomme senza catene, i negozi chiusi. Andando alla macchina ho visto una rosellina rosa per terra, in mezzo alla neve. L’ho raccolta – almeno non sono a mani vuote, mi sono detta – l’ho legata col nastro rosa che avevo messo nei capelli a una figlia, e l’ho portata ad Anna. Lei stava facendo la novena a Santa Teresina, quella che chiede una rosa come segno della grazia… Insomma, il bambino ha avuto altro tempo da regalare alla sua mamma qui (le preghiere di una mamma sono una roba molto potente).

filippo
L’estate successiva siamo stati a Medjugorje, e anche lì abbiamo chiesto la guarigione di Filippo alla Madonna, noi come una marea di altre persone (il mio amico Giacomo di Imola ha fatto celebrare non so quante messe, sempre con l’intenzione “per la guarigione di Filippo e per la nostra conversione”). Sulla collina delle apparizioni abbiamo raccolto dei sassi per lui, sassi che fino a che sono rimasti in mano mia sono stati privi di odore, al limite hanno avuto quell’aroma tipico della mia borsa, un misto di banana fermentata, cracker rammollito, goleador fusa. Quando li ho dati ad Anna hanno preso a profumare di rosa, non so perché, ma è un fatto, e ognuno può pensare quello che vuole, fatto sta che Filippo ha vissuto ancora, mentre i suoi genitori non hanno mai smesso di affidarsi a Dio, sicuri come sono sempre stati che del Padre buono ci si può, ci si deve fidare.
Invece una donna, una mamma, ha chiesto a don Stefano perché Dio permette questo, e lui le ha risposto “vieni e vedi”. Vieni e vedi il volto di Anna con il figlio più piccolo in braccio, che sorride e saluta, serena come a una festa. Vieni e senti canzoni solo di lode, e paramenti di festa. Vieni e ascolti il coro che canta “né morte o vita ci separerà da Cristo”. Vieni e senti il Vangelo del giovane ricco, che promette che chi lascia madre padre fratelli e figli riceve il centuplo quaggiù e la vita eterna. Vieni e ascolti il padre, Stefano, che fa ancora una volta il padre. Regge, sostiene. Parla con voce ferma e dall’ambone ringrazia tutti, senza dimenticare nessuno, legge la poesia di un padre suo amico col cuore straziato, e racconta che la leucemia loro la chiamavano il leone assetato di sangue, e il piccolo era una gazzella che cercava di sfuggirgli e che un giorno ha vinto, perché ha spiccato un salto altissimo verso il cielo. Vieni e senti il padre raccontare come il giorno del battesimo, il 19 novembre di otto anni prima (Filippo è salito al cielo il 20!) il sacerdote li aveva invitati a rispondere alla domanda “cosa chiedete per vostro figlio?” non “il battesimo”, ma “la vita eterna”. Una richiesta profetica, perché nei sei anni di lotta con la malattia la vita eterna è stata il faro che ha guidato i suoi genitori.
Chi ha assistito all’ultima festa di Filippo sulla terra non ha potuto non fare i conti con questo: guardi la tua vita, le tue scelte, le cose che fai e le persone che ami “sub specie aeternitatis”? Filippo lo ha fatto, e i suoi genitori ancora di più. Da due santi, un piccolo santo, che a settembre ha fatto la prima comunione, anche se ci è voluto un po’ a convincerlo, perché non aveva fatto due anni di catechismo, ma la sofferenza lo aveva reso più pronto di chiunque altro. E alla sua comunione domenicale non mancava mai, anche quando andava in sedia a rotelle, anche l’ultima domenica prima di andare in cielo. Ma la fila l’ha voluta fare camminando, e poi si è inginocchiato, perché Filippo non voleva sconti, e al fatto che stava ricevendo il Re dei re ci credeva fermamente, trasformando la sua sofferenza in preghiera, ma pregando anche, e tanto, la sua mamma gli aveva insegnato bene: le sue sette intenzioni erano quelle per cui abbiamo pregato tutti al funerale, e sono quelle che ci ha affidato lui. Per Giacomo e per tutti i bambini malati. Per tutti i nonni, che siano di guida ai nipoti. Per i suoi fratellini, che il Signore li consoli. Per tutti quelli che non credono, che accolgano la Grazia. Per le coppie che non riescono ad avere figli, perché si aprano all’accoglienza. Perché la vita sia accolta e rispettata sin dal grembo materno. Infine per i genitori, che il Signore li sostenga.
Io l’avrei messa per prima, quell’intenzione, perché non so dove trovino la forza. Se non mi converto adesso che ho visto questo, per me non c’è speranza. La certezza di Stefano e Anna mi ricorda quella di Chiara Corbella Petrillo, che infatti don Stefano Cascio, meraviglioso al funerale ma soprattutto nella sua vicinanza alla famiglia, ha citato nella sua omelia: ha ricordato che Chiara nella lettera al figlio Francesco ha scritto che aveva capito una sola cosa: che il centro della vita è l’amore. Nasciamo per amore, viviamo per amare, e moriamo per conoscere l’amore di Dio. Come al funerale di Chiara, a quello di Filippo ho avuto la certezza che non c’era una vita che finiva, ma una vita che da qui è partita e non si fermerà.