DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il matrimonio religioso a grandi passi verso la scomparsa. Dati impressionanti.



Roberto Volpi, Il Foglio 2 dicembre 2014


Era il 1963, quando i matrimoni celebrati con rito religioso raggiungevano il punto più alto della loro corsa al rialzo: 414.652, pari al 98,7 per cento del totale dei matrimoni (laici e cattolici si sposavano: tutti e in chiesa). E’ il 2013, quando i matrimoni celebrati con rito religioso raggiungono il punto più basso del loro lungo precipitare: 111.545, pari al 57,5 per cento del totale dei matrimoni (neppure i cattolici si sposano più in chiesa). Per ilmatrimonio religioso è arrivato il momento dell’atto finale, del redde rationem. Momento peggio che grave, drammatico. Il rischio di sparizione nel giro di pochi altri anni, lungi dall’essere quell’ipotesi futuribile sulla quale ci si interroga per puro sfizio intellettuale,  è prospettiva incombente, prossima, non resta che girare l’angolo per  ritrovarsela di fronte ed esserne ghermiti. Comunque si guardi alle tendenze temporali, di lungo o breve periodo, pluriennali o annuali, il matrimonio religioso sembra bello che spacciato in Italia. Discorso chiuso, a patto che non si verifichino due condizioni cui accennerò in ultimo. 

Il matrimonio religioso ha perso 303.107 matrimoni negli ultimi cinquanta anni (tra il 1963 e il 2013), alla media di 6.062 matrimoni in meno ogni anno. Ha perso 74.944 matrimoni negli ultimi dieci anni (tra il 2003 e il 2013), alla media di  7.494 matrimoni in meno ogni anno. Ha perso 10.752 matrimoni nel 2013 – e qui non c’è da fare alcuna media. A questi ritmi il matrimonio religioso si estinguerà: in 18 anni e 5 mesi secondo la tendenza di lungo periodo, in 14 anni e 11 mesi secondo la tendenza degli ultimi dieci anni, in 10 anni e 4 mesi secondo l’autentica débâcle del 2013. Non gli resta che scegliere – ammesso che possa, e non può – di che morte morire: se veloce (meno di 19 anni), velocissima (meno di 15 anni), istantanea (poco più di 10 anni). Ma morte sarà, a quel che appare. Anche in considerazione del fatto che l’autentico punto di forza del matrimonio religioso, la preferenza a esso accordata dalle donne giovani fino a 30 anni non compiuti, si è indebolito al punto che mentre appena dieci anni fa i due terzi dei matrimoni religiosi riguardavano donne di questa età, oggi soltanto un matrimonio religioso su due riguarda donne sotto i 30 anni. Di dieci matrimoni religiosi persi tra il 2003 e il 2013  ben 8-9 hanno riguardato donne con meno di 30 anni e solo 1-2 donne di 30 e più anni.  Un risultato disastroso, al quale ha contribuito la stessa chiesa che ha impresso alla preparazione al (e alla concezione del) matrimonio un’aria grave e  pensosa, una nota di persistente preoccupazione, quasi un senso di pericolo. Via la semplicità del matrimonio, via la leggerezza del mettersi insieme, via la felicità del buttarsi nella vita a due. Pensare, meditare, soppesare, calcolare, prevedere e prevenire, prima di accingersi al gran passo. Lo stesso vale per i figli. Certo che si debbono avere i figli, ma senza dimenticare che quello dei genitori è per definizione peggio che dogmatica il mestiere più impegnativo e difficile del mondo. Un mestiere che non si finisce mai di imparare, l’unico che non si potrà mai dire di padroneggiare. E anche qui: la felicità di crescere un figlio? La preoccupazione, piuttosto, la preoccupazione. Se queste sono le semine non c’è di che lamentarsi poi troppo dei raccolti in termini di matrimoni e pure di figli. Nel 2013 matrimoni e figli hanno fatto registrare il minimo storico. I dati delle nascite fino a giugno 2014 lasciano prevedere che non ci si fermerà qui.

Non so se oltreTevere, sotto la cupola di San Pietro, nei palazzi Vaticani, in Santa Marta, nel Sinodo appena conclusosi sulla famiglia abbiano davvero riflettuto su certe cifre. Scommetterei di sì. Anche perché senza il matrimonio religioso resta difficile capire su che cosa potrà davvero reggersi la chiesa. Anche in merito alla comunione ai divorziati, stante la fine prevedibile dei matrimoni religiosi, non sembra che nel lungo periodo sarà questo il problema. Certo, dottrina e vocazione pastorale impongono che si guardi anche ai divorziati (come agli omosessuali) ma è quantomeno curioso che si dedichi un Sinodo alla famiglia senza davvero prendere di petto il problema esiziale che tutto condiziona: la fine incombente e già scritta, stando così le cose, del matrimonio religioso.

Ho detto non a caso: “Stando così le cose”. I matrimoni, anche quello con rito religioso, sembrano in attesa di una ripresa economica degna di questo nome per risvegliarsi. Dipinti come azzardati e preferibilmente da evitare senza  le dovute certezze esistenziali (del lavoro, della casa, degli affetti, delle prospettive), forse aspettano qualche certezza in più,  appunto, per provare almeno a rialzare la testa. Vedremo se e di quanto. Ma niente illusioni, per favore. Sono cinquant’anni, non uno e neppure sei o sette, che il matrimonio perde pezzi e numeri. E che il matrimonio religioso precipita a rotta di collo. Faccia anche la chiesa la sua approfondita riflessione, allora. La ripresa del matrimonio religioso non è neppure pensabile al di fuori del ritorno alla bellezza (esattamente: la bellezza) di una scommessa che deve essere “azzardata”: quella della famiglia, dei figli, e della vita famigliare oggi descritta come sentina del peggio, di donne stuprate e uccise, di figli abusati e violentati, di esistenze spezzate, di naufragi esistenziali, di dolori irredimibili. Ci ha messo del suo, la chiesa,  a concorrere, per  un malinteso senso di realtà, a una fotografia così ferocemente parziale da risultare falsa. Di una falsità che continua a fare danni – altro che giornate di questo e di quello.

Due doverosi post scriptum: (1) il matrimonio civile ha perso 8 mila matrimoni e il 9 per cento negli ultimi cinque anni. E questo mentre precipitava il matrimonio religioso. Non è un segno di gran salute, tutt’altro, neppure per il matrimonio civile (2) i matrimoni religiosi vanno male in tutta Europa. Non così male come in Italia, ma non c’è niente da rallegrarsi, anche considerando che prospettive non se ne vedono neppure là.