DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Con le schiave e i loro figli



di Francesca Barra

Le donne prostituite sono schiave. Il
cliente è italiano.
Se non partiamo da questo assunto
più urgente, arrampicandoci su piani differenti,
le donne continueranno ad essere
“deportate” in Italia, costrette a concedersi
a più clienti nella stessa sera anche se in
stato di gravidanza avanzato.Uccise, picchiate.
Maltrattate, violentate per iniziazione,
vittime dello sfruttamento, vittime delle
maman, vere e proprie matrone senza scrupoli
che le costringono a ripagare un debito
- fra l’altro altissimo- alla persona che le ha
comprate dalla famiglia, includendo voci e
spese continuamente: biglietto aereo, alloggio,
vitto, preservativi, cure mediche,
abiti. Il tutto aggravato dal terrore dei riti
vodoo con il quale si ricattano centinaia di
ragazze approfittando della loro vulnerabilità.
“Non ci ribelliamo per paura degli spiriti
del male che si abbatteranno su me e la
mia famiglia”.
Ogni volta che guardo un peluche o una
bambola di mia figlia, penso al gioco. La
vedo sorridere.
Immagino anche voi. Allora mi chiedo come
sia possibile che la pratica barbara e disumana,
di consegnare lo stesso giocattolo
nelle mani di una schiava poco più che
bambina, per essere riconoscibile e individuata
più facilmente dal cliente che cerca
proprio questo, non vi faccia inorridire.
Perché vi basta credere che i quartieri a luci
rosse diano libertà e ordine ad una pratica
che, ancora nella maggiorparte dei casi, è
costrizione, violenza?
Perché ascoltate chi, con l’alibi di un diritto
fiscale, fa proclami sulla libertà a prostituirsi?
Come se fosse un mestiere come un
altro. Come se fosse normale, divertente.
Ed è qui che entrate in gioco noi, chiamati
ad assumerci una responsabilità. Il dovere
di grattare via gli strati più semplici del dibattito,
la verità. E considerare che, fra Efe
Bal che vuole pagare le tasse e chi vuole
multare il cliente, c’è quella bambina.
Ci sono le storie degli altri. Quelle che ci
schiaffeggiano quando siamo disumani, disattenti,
in cerca di dettagli pruriginosi.
Anni fa ho conosciuto una donna. Isoke
Aikptani, bellissima. Alta, fiera. Era una ragazzina
piena di sogni in Nigeria, prima di
arrivare, in Italia, a svolgere un lavoro molto
diverso da ciò che le avevano promesso. Si
è salvata, grazie ad un cliente che oggi è
diventato suo marito, Claudio e che con lei,
ha fondato il progetto delle Ragazze di Benin
City sorto dopo il suo libro denuncia, per
rappresentare e salvare altre donne come
lei. Ha inoltre creato una rete composta da
ex clienti di prostitute in Italia convinto che
non occorra multarli, ma sensibilizzarli.
“I clienti devono capire che non stanno
avendo un rapporto sessuale libero”. Isoke
lo sa sulla sua pelle: le vittime della tratta si
sentono violentate ripetutamente.
“Si parla tanto di femminicidio, di violenza
di massa: sesso a pagamento. Non è una
questione morale, ve l’assicuro. È uno stupro.”
Mi ha spiegato Claudio.
“Le ragazze straniere non sono libere. Queste
iniziative, così, non fermeranno la tratta.”
Isoke ha raccontato la storia di Abeo, quattro
anni.
“Abeo aveva quattro anni e sembrava un
vecchio. Un vecchio e povero cane dentro
la cuccia. Perché la cosa più brutta è la
vita che fanno i nostri bambini. Non vanno
all’asilo. Non vanno a scuola. Non vanno
nemmeno fuori per la strada, per paura che
qualcuno chiami i servizi sociali. Così questi
piccoli non giocano mai con altri bambini,
se non con quelli che sono prigionieri come
loro. Bambini che non escono mai di casa,
che non sanno cos’è la pioggia o il sole. “
Per loro non c’è speranza. Tariffario approssimativo
alla mano, la valutazione della
prestazione media di una prostituta nigeriana
è di 20 euro. La più bassa.
Dopo questa storia io ho promesso a me
stessa che non avrei mai smesso di raccontarvele.
Come anche due sorelle arrivate dalla Bulgaria.
Illuse, come tutte, di venire in Italia
con prospettive di lavoro. E, come tutte,
vendute. Le chiamavano Gemelle Kessler.
Perché sono bionde. “ma avevamo un debito
così alto che nemmeno le vere ballerine
l’avrebbero mai potuto ripagare”.
Quando hanno capito che le avrebbero vendute
insieme, con il “prendi due paghi una”,
hanno tentato di scappare. Così le hanno
violentate, l’una difronte all’altra, per far
capire che non dovevano ricommettere più
uno sbaglio simile: tentare di liberarsi.
“Quella sera ho scoperto cosa significhi
essere una schiava. Quando hanno visto il
sangue hanno commentato: Ah eri vergine,
valevi di più, a saperlo. Ma anche io pensavo
di valere di più, di tutto questo. “
Valere di più. Andateglielo a spiegare ora,
che il valore della loro vita dipende, secondo
molti, soltanto dalla liberalizzazione del
“sex worker”.
Alla fine le gemelle sono riuscite a scappare.
Qualche volta, una delle due, ripete:
“Iskam da umra” voglio morire. Ed è convinta
che sia l’unica fine possibile, per tornare
ad essere anime libere.
In strada, durante alcune interviste, mi hanno
spiegato altre prostitute, che non avevano
mai visto tanta attenzione mediatica,
se non durante l’inchiesta sulle babysquillo.
Una di loro ha urlato ad un giornalista: glupav.
Stupido. Per le domande poste.
“No. Non conosciamo le babyprostitute che
cercate. Siamo senza documenti, senza soldi,
con una taglia sulla testa, un debito. La
nostra famiglia non ci rivuole ed è anche in
pericolo perché più volte ci hanno minacciate
che se fossimo scappate li avrebbero
uccisi. L’Italia ci ha accolti violentandoci. “
Ma il giornalista aveva già smesso di ascoltare.
Tutto il resto, le sfumature della miseria
umana, sembrava averle già sentite, talmente
tante volte, da non interessare più.
Ecco quanto vale una vita umana: il tempo
di una notizia.
Il tempo di un dibattito.
E vi chiedo: Davvero pensate che le finanze
di Stato possano giovarne? Che si contrasti
il pagamento in nero? Davvero pensate che
le prostitute non avranno paura e bisogno
di qualcuno che le gestisca, protegga? Ci
saranno i controlli sanitari in un Paese dove
la sanità non è che funzioni poi benissimo?
Non siamo capaci di gestire lo sbarco di immigrati,
li lasciamo morire, scappare, permettiamo
che siano “rinchiusi” in centri di
accoglienza spesso in condizioni disperate,
e poi pensiamo di poter arginare e controllare
in questo modo la tratta delegando,
spostando il problema?
Difronte a questa tratta, prendo atto
dell’appello di una, due, dieci o forse anche
cento prostitute che dichiarano di farlo
volontariamente. E di voler pagare le tasse.
Ascolto. Posso perfino essere d’accordo.
La maggior parte di tante libere professioniste
del sesso ha iniziato a causa di un disagio.
Come mi ha spiegato Maria, ex trans
che oggi ha un’associazione. Se avesse ricevuto
tolleranza nei confronti del genere
di appartenenza, assistenza, accoglienza,
comprensione forse avrebbe potuto scegliere
altro.
Ma, anche se così non fosse, francamente,
difronte a tutto quello che ho visto scelgo
di occuparmi e lottare con maggiori risorse
ed energia, non a favore della prostituzione,

ma contro la schiavitù.

La Croce 14 febbraio 2015