DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Monsignor Romero beato. Sembrano finalmente superate le contrapposizioni ideologiche. Documenti filmati sulla sua vita e il suo martirio


QUI le ultime parole di monsignor Romero durante la Messa nella quale venne assassinato









ROMERO BEATO ENTRO L’ANNO


di Igino Giordano

Entro la fine di quest’anno si terrà la cerimonia
per la beatificazione di Oscar
Romero, l’arcivescovo di El Salvador
ucciso nel 1980 dagli squadroni della morte
mentre celebrava messa.
A certificarlo è il postulatore della causa,
monsignor Vincenzo Paglia, in una conferenza
stampa all’indomani della firma di
papa Francesco sul decreto che riconosce il
martirio e che conclude un complesso iter:
«Se qualcuno si è opposto con mala coscienza
sarà bene che faccia un mea culpa
– ha dichiarato Paglia – ma bisogna anche
riconoscere che nella Chiesa c’è stato chi ha
lavorato tenacemente per la causa di monsignor
Romero». E a chi gli chiede se sia stato
anche un martirio “politico”, il postulatore
risponde: «Anche quello di Gesù, in un certo
senso, lo è stato. Gli ebrei lo consegnarono
dicendo che non avevano altro re all’infuori
di Cesare. Del resto la fede o ha un contenuto
che illumina il mondo o non ha senso».
È il ruolo sociale che riaffiora nei martiri del
ventesimo secolo: «Si viene ancora uccisi
perché ci si rifiuta di rinnegare la propria
fede, come avviene in Medio Oriente o in
Nigeria – ricorda monsignor Paglia – ma ci
sono anche tante figure che pagano con la
vita la loro testimonianza evangelica». Cita
Massimiliano Kolbe, il frate che si è offerto in
cambio di un altro prigioniero ad Auschwitz,
e poi don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso
a Palermo a causa della sua predicazione
e diventato il primo martire cristiano della
mafia.
Anche Romero – ha sottolineato Paglia – era
già, in qualche modo, un “protomartire” contemporaneo:
il 24 marzo, giorno della morte
dell’arcivescovo, la Chiesa aveva già scelto
di ricordare tutti gli uomini contemporanei
che hanno dato la loro vita per gli altri. E le
Nazioni Unite, nella stessa data, celebrano
ogni anno la Giornata Internazionale per il
Diritto alla Verità per le Vittime delle Violazioni
dei Diritti Umani. Ma ci voleva il primo
Papa latinoamericano per beatificare il difensore
del popolo del Salvador. Anche se la
scossa alla causa, rivendica Paglia, la diede
Benedetto XVI nel dicembre 2012, poco prima
della sua rinuncia. «Ebbe un ruolo pure
Giovanni Paolo II, tanto che lo aggiunse a
penna all’elenco dei nuovi martiri durante il
Giubileo del 2000, perché il suo nome era
stato escluso», ha voluto sottolineare il presule
italiano, smentendo le voci sulla contrarietà
del pontefice polacco nei confronti di
Romero: «Nei primi due incontri tra loro ci
possono essere state incomprensioni – ha
dichiarato Paglia – perché le notizie che arrivavano
a Roma erano solo in una direzione.
Ma ad un certo punto il Papa capì. E nel suo
viaggio in Salvador cambiò il programma e
andò a rendere omaggio alla tomba. E in seguito
mi disse: Romero è della Chiesa».
Cosa ha bloccato allora la causa di beatificazione?
«Abbiamo voluto che maturassero
risposte inattaccabili anche nei confronti
delle voci contrarie che ci sono state». Usa
la metafora della roccia da scalare: «Ma alla
fine abbiamo vinto». Anche grazie alla svolta
del pontificato di Francesco. L’incontro tra la
figura di Romero e quella di Bergoglio, spiega
Paglia, è nella frase del Papa argentino:
«Come vorrei una Chiesa povera per i poveri». 
L’arcivescovo di El Salvador, dice infatti
il postulatore, fu ucciso “in odium fidei”, in
odio della fede, «perché aveva incarnato
la Chiesa del Concilio Vaticano secondo e
della conferenza di Medellin», quella in cui
i presuli del Sudamerica avevano postulato
l’opzione per gli ultimi.
Una linea che ha avuto molti oppositori, ricorda
Paglia, che al petto indossa la croce
appartenuta a Romero. Ci fu un clima di persecuzione,
dice anche Roberto Morozzo della
Rocca, docente dell’Università di Roma 3
e biografo del neo beato. Sapeva che sarebbe
morto e ha visto cadere, prima di lui, circa
20 tra preti e religiosi che si dedicavano
agli ultimi e per questo erano stati uccisi. Ed
era stato proprio l’omicidio di padre Rutilio
Grande, gesuita come Bergoglio, a ispirare in
lui quella che definiva la “fortaléza” di lottare
per il popolo. Rutilio, ora, potrebbe essere
il prossimo ad essere elevato agli onori degli
altari: la causa di beatificazione è stata avviata
in diocesi. 

La Croce del 5 febbraio 2015