DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’ossessione fatale deprecata da Marx: misurare in denaro anche la morale



Il succedersi accelerato delle crisi finanziarie ha gettato
tutti in una nuova condizione: quella di un debito
permanente. Sconosciuto alle generazioni precedenti,
l’indebitamento inizia con la nascita e incide
sui comportamenti, sui modi di agire, sulle relazioni.
Ne risulta una forma di esistenza ancora non
indagata. Che cosa significa vivere sotto il peso di un
debito inestinguibile? In che misura ciascuno è obbligato
a rendere continuamente conto di sé? Come ricomporre
la schizofrenia di due messaggi opposti: quello del consumo
compulsivo che, proclamando l’innocenza di tutti,
spinge a entrare nel paradiso delle merci, e quello della
economia del debito, che imputa a ciascuno la colpa di
vivere al di sopra dei propri mezzi? Si può parlare di «libertà
» per il debitore costretto a uno stile di vita confacente
al rimborso? E infine, se tutti sono debitori, che ne
è del credito, della credibilità, non si volge, cioè, la fiducia
in una diffidenza che mina ogni rapporto?
Da quando è stata introdotta, la carta di credito ha
inserito chi la possiede nell’ingranaggio del debito, facendo
del possessore un debitore. Così ha diffuso il debito,
spingendo molti a spendere ben più di quanto guadagnino.
Che dire poi degli Stati? Il debito pubblico ha mutato
drasticamente il paesaggio politico dell’ultimo decennio.
Nella storia non mancano precedenti. La crescita
del debito pubblico contribuì al declino di Atene e delle
città greche. Ma la novità, nella Grecia di oggi, è la figura
inedita del cittadino indebitato. Anche chi è troppo povero
per avere accesso al credito è costretto a rimborsare i
creditori dello Stato. E coloro che nasceranno nei prossimi
anni dovranno farsi carico del debito pubblico, quasi
fosse un peccato originale. Ma il debito è un peccato? E
l’economia non sconfina allora nella morale, o addirittura
nella teologia? Certo che la morale altro non è che «ripagare
i propri debiti», restituire il dovuto. A questo significato
rinvia con chiarezza l’etimologia dell’italiano
«debito» che viene dal latino debere. In breve: debito è il
dovuto, ciò che si è avuto dagli altri, ma che non sempre
è restituibile. In questo verbo si compendia non solo
l’obbligo morale, ma anche il riconoscimento del vincolo
che pervade ogni esistenza.
Su questo vincolo hanno riflettuto i filosofi. Che cosa
non dobbiamo agli altri? A cominciare dalla vita stessa?
Malgrado ogni fantasia parricida, ogni chimerica velleità
di ergerci sovranamente a creatori di noi stessi, occorre
ammettere gli innumerevoli debiti, esistenziali, morali,
intellettuali, che ci legano ai genitori, ai maestri, ai fratelli,
agli amici — a coloro che ci hanno preceduto, a coloro
che ci seguiranno. Il rapporto con gli altri è definito dal
debito. Dio è allora il Grande Creditore. Impagabile è il
debito dell’esistenza, così come alla fin fine tutti gli obblighi
che, eccedendo ogni metro e ogni misura, ci vincolano
agli altri. Dovremmo perciò sentirci sempre in colpa?
È Nietzsche a rispondere. In tedesco Schuld vuol dire
sia debito sia colpa. Il che porta a confondere tra la colpa
morale e il debito materiale. Confusione gravissima, che
ha improntato l’etica tedesca e da cui non è stato indenne
neppure Kant. Deriva da qui la teutonica ascesi del debito
imposta oggi ai popoli mediterranei, giudicati moralmente
riprovevoli? Il nesso tra colpa e debito va smascherato.
Avere un debito di denaro non significa essere in
colpa. Perché la colpa dovrebbe investire — come avveniva
già nel Medioevo — anche il creditore che, prestando
denaro, vende l’attesa, cioè il tempo, un bene che non gli
appartiene.
Nonostante il loro confluire, occorre tenere ben distinte
morale e economia: l’obbligo, l’impegno verso l’altro,
non è il debito in senso stretto. La differenza è il denaro.
Il debito può essere misurato con precisione, proprio
perché deve essere ripagabile. Che cosa c’è di peggio che
prendere gli impegni morali per debiti? «Si pensi a tutta
l’infamia che c’è nello stimare un uomo in denaro», scrive
Marx. E aggiunge: «Il credito è il giudizio economico
sulla moralità di un uomo». Non si tratta solo di ridurre
l’etica agli affari, l’obbligo a una faccenda di denaro. L’ulteriore
conseguenza è fare del debito una colpa smisurata,
un peccato interiorizzato per il quale non può esserci
riscatto.
Le cifre iperboliche che gravano oggi su molti cittadini
europei assomigliano a una pena senza remissione, a un
debito infinito, a una schiavitù perenne. Ci si dovrebbe
allora chiedere se il default economico non rischi di essere
anche una bancarotta etica e umana. Sarà un caso che
la Bibbia, dove si distingue accuratamente tra debito e
obbligo, preveda ogni sette anni la cancellazione dei debiti?
Si dovrebbe pensare a un nuovo giubileo per interrompere

l’indebitamento planetario?

La Lettura 15 febbraio 2015