DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Nella rete del porno. Un guaio trascurato



di Antonio Onofri

Divieti superegoici, repressione sessuale,
sensi di colpa per le proprie
fantasie, barriere imposte dalla società,
limiti rigidi e almeno pubblicamente
invalicabili, impulsi giudicati inaccettabili:
ecco il mondo conosciuto da Freud e descritto
nei suoi famosi casi clinici.
Un mondo sicuramente ben diverso da quello
in cui noi ci troviamo a vivere: il nostro
è un mondo ancora gravato da mille enormi
problemi, ma certo non un mondo in cui
domini sovrana, come allora, la repressione
sessuale. Il mondo della pubblicità, il nostro,
piena non solo di belle donne femminili ed
accoglienti ma di immagini insistenti e sempre
più dettagliate di nudità e di parti del
corpo, di una perenne mescolanza di seduzione
e aggressività, di una ossessionante
spinta al sesso, anzi ai “tanti modi di fare sesso”.
Il mondo di Facebook è anche questo: la
possibilità – a portata di mouse – di cercare,
conoscere, incontrare, sperimentare. Con
tutti i rischi che questo comporta.
Leggendo Freud, non posso fare a meno di
confrontare mentalmente quelle prime teorizzazioni
psicoanalitiche, nate nel mondo
della Vienna puritana di fine Ottocento, con
le storie di vita reali che i miei pazienti – i
pazienti del terzo millennio – mi raccontano.
Non c’è più bisogno di sbirciare dal buco
della serratura della camera da letto dei genitori,
per rimanere fissati a una particolare
scena sessuale, non c’è più bisogno di un
adulto che forzi il bambino verso una qualche
forma di scambio sessuale (anche se
quella degli abusi infantili è una realtà tuttora
terribilmente presente), non c’è più bisogno
di punizioni corporali da cui il bambino
o la bambina si siano difesi ricorrendo all’eccitazione
erotica. Basta molto meno: basta
il mondo virtuale,
sempre più parte del
mondo reale.
Il nostro cervello –
nelle sue reazioni più
arcaiche – non discrimina
facilmente
tra immagini vere e
immagini finte. E che
grande facilità ha ora
un bambino, un adolescente,
rispetto a
un tempo, di incontrare
immagini sessuali
e pornografia.
Fino a quaranta anni
fa la tipica curiosità
puberale si accompagnava
alla ricerca
di qualche termine
sessuale sullo Zingarelli.
Al massimo,
si poteva ottenere che un cugino più grande
procurasse, al giovane “esploratore”, un
fumetto porno che andava sfogliato di nascosto
e poi prontamente restituito. Tutto
questo era la trasgressione. E probabilmente
bisognava aspettare ancora parecchi anni
prima di riuscire a incontrare nella realtà il
corpo e la sessualità …
Ora, i bambini hanno il televisore in camera,
alcuni hanno un account Facebook , molti il
cellulare sempre collegato. Ricordo i pianti e
l’angoscia di un giovanissimo ancora bambino,
accompagnato da genitori allarmati, che
non si spiegavano il suo improvviso cambiamento:
poco dopo, nel mio studio, finalmente
mi raccontava che accendendo la tv di
notte si era trovato a vedere – suo malgrado
– scene inquietanti di sesso e a raccogliere
l’invito a telefonare a un numero che appariva
in sovraimpressione promettendo piaceri
senza fine.
Ora Google ha preso il posto dello Zingarelli
e con un semplice clik si accede a racconti,
immagini, filmati pornografici per ogni gusto
e ogni stranezza. E magari quel clik è semplicemente
il frutto della –quella sì, davvero
normale – curiosità di un bambino.
Il sesso è diventato un diktat, il “famolo strano”
sdogana come innocente gioco di coppia
qualunque pratica sadomaso, il in fondo
che male c’è, non faccio male a nessuno, legittima
persino la prostituzione presente tra
le giovani studentesse di liceo, l’uso sempre
più diffuso di Viagra e Cialis sostiene la ricerca
di prestazioni “super” anche in chi – da
un punto di vista strettamente medico – non
avrebbe bisogno di alcuna terapia farmacologica.
Sembra che ancora solo un limite resista,
almeno formalmente, alla spinta sociale a
esplorare, sperimentare, trasgredire senza
vincoli: quello della pedofilia (ma per quanto
ancora?).
Certo, tutto questo Freud non poteva prevederlo.
Non poteva prevedere che le nostre
connessioni wi-fi, i nostri telefonini, i nostri
tablet, permettessero un accesso così facile
e veloce a contenuti un tempo rigidamente
destinati “ai soli adulti”.
Un problema, questo, socialmente ancora
poco avvertito. Eppure, le neuroscienze lo
affermano: esiste un legame tra pornografia
e perversioni, perché la pornografia crea dipendenza,
coazione a ripetere, compulsività
senza freno. Proprio ciò che sembra caratterizzare
ogni forma di perversione.
Le immagini hanno un potere enorme sul
nostro cervello, soprattutto se ancora in
formazione: le immagini pornografiche, così
forti e terribilmente eccitanti, provocano
una vera e propria “scarica” di neuromediatori
collegati al piacere e a quelli che i neuroscienziati
chiamano “i circuiti neuronali
della ricompensa”. È come se il cervello in
formazione (ma gli stessi fenomeni possono
comunque avvenire anche negli adulti)
si “legasse” in maniera sempre più intensa
a quelle immagini, per ottenere quel piacere
così intenso e così facile. Il cervello è un
organo estremamente plastico e in qualche
modo tale rimane tutta la vita. Con le nostre
azioni, le nostre abitudini, i nostri comportamenti,
noi modifichiamo e “ricreiamo”
continuamente il nostro cervello. È come
se si creassero delle connessioni neurali,
delle “reti” sempre più profonde e stabili.
Così, dalla normale esplorazione, dalla trasgressione,
il passo verso la dipendenza e
la compulsione avviene con impressionante
frequenza. Ecco che la pornografia comincia
a scandire la giornata di colui che sarà il candidato
più probabile alla perversione.
La ricerca di immagini
e situazioni sempre
più forti diventa
ossessiva, finché si
scopre che le scene
tante volte ammirate
sullo schermo possono
diventare reali:
siti internet, pagine
Facebook dedicate,
newsgroup, escort
disponibili a mettere
in atto – dietro
pagamento – le richieste
più bizzarre
(bondage, urofilia,
ma persino coprofilia
e vampirismo). Ogni
esperienza reale e
realizzata approfondisce
quella morsa
asfissiante, quella
vera e propria gabbia
in cui il perverso si ritrova a vivere. Aldilà di
ogni sua volontà, di ogni sua libertà, di ogni
suo tentativo di resistere. Né più né meno di
quello che avviene quando il nostro cervello
è messo a contatto con una droga. E la pornografia
può essere una droga. Nelle perversioni
il cervello è come se fosse drogato. In
maniera simile a ciò che avviene – è ormai
diventata una emergenza sociale – anche
per altri fenomeni come il gioco d’azzardo.
Mettere in atto la perversione viene avvertito
come un bisogno irrefrenabile, qualcosa
di cui non si può fare a meno, che invade la
mente, che distoglie l’attenzione dallo studio,
dal lavoro, dagli affetti reali. Per funzionare
almeno al minimo rispetto a quanto
richiesto dall’ambiente si ha bisogno – un
bisogno sempre più impellente – della dose,
proprio come se si trattasse di eroina o di
cocaina. Altrimenti il perverso non riesce più
a funzionare, a far nulla, a pensare ad altro.
La vita diventa solo un attendere di potersi
finalmente sedere di fronte al computer e
programmare il prossimo incontro.
Tutto si impoverisce, non contano più la
bellezza del partner, le sue caratteristiche
psicologiche, le sue attitudini e preferenze.
Basta che faccia e dica quello che la perversione
richiede, come in un copione rigido e
sempre più privo di ogni autentico incontro.
Il film Shame ha offerto una ottima descrizione
– grazie alle doti recitative di un bravissimo
Fassbender – del mondo soggettivo
del perverso dipendente dal sesso: pur di
avere la propria dose quotidiana si diventa
disposti a tutto, non si percepiscono più i rischi,
ci si espone al pericolo, non si ha più la
capacità di avere rapporti sessuali piacevoli
se non nella modalità dettata dalla perversione,

incuranti di lavoro, figli, matrimoni.


di Antonio Onofri

Concludiamo oggi la nostra rassegna
sulla pornodipendenza osservando
come grandi autori antichi e moderni
abbiano analizzato il problema.
Come ha scritto lo psicoanalista Giancarlo
Ricci, «nella struttura perversa della personalità
le modalità della relazione con il partner
sessuale, la sua scelta, le caratteristiche
delle zone e delle pratiche erotiche prescelte,
la ricerca spasmodica di un godimento
dell’identico, la costruzione della scena sessuale
si ripetono, sempre secondo lo stesso
scenario e la stessa modalità. [...] Il tratto
perverso cerca di ripercorrere sempre la
stessa modalità di godimento, come se fosse
un rituale irrinunciabile e al tempo stesso
immodificabile. L’altro è ridotto a oggetto di
godimento, è reificato in quanto cosa». Un
effetto collaterale frequente è che viene
drasticamente ridotta la capacità di amare,
la sessualità diventa in un certo senso “deumanizzata”.
Il rapporto non è più con una
persona, ma con una azione, una parte del
corpo, un oggetto, una “situazione”. La scissione
tra sesso e sentimento diventa totale,
la promiscuità quasi una strada obbligata.
Molti sviluppano uno “stato dell’io estraneo”
– un lato oscuro – il cui nucleo centrale è
una lussuria antisociale avulsa da valori, che
può condurli fino a comportamenti stigmatizzati
dalle leggi come il turismo sessuale.
Un vero e proprio girone dell’Inferno dantesco,
la lussuria. Del resto, non è un caso che
la tradizione cristiana (e non solo la cristiana)
la abbia posta tra i principali vizi capitali:
San Tommaso d’Aquino spiega bene che la
lussuria conduce a una sorta di accecamento
dello spirito, fino alla disperazione. «Il lussurioso
– spiega il Dottore angelico – fa della
propria anima, della propria intelligenza,
della propria volontà, gli schiavi dell’istinto
sessuale e invece di padroneggiare il proprio
corpo, gli si mette al completo servizio
in tutte le sue abbiette passioni. La lussuria
fa perdere all’uomo la fede e l’anima, la salute,
la libertà, la mente, ed è contraria anche
alla legge naturale. Essa fa perdere la
fede e l’anima […] Ora siccome l’impudico
nell’appagamento della sua passione vorrebbe
scansare ogni rimorso di coscienza,
comincia subito a dubitare della fede, prima
occultamente, poi manifestamente e finisce
con negare Dio, anima ed eternità».
Mai si è mancato di sottolineare, in tutte le
grandi tradizioni spirituali, come la lussuria
faccia perdere all’uomo la propria libertà. Infatti
«chi si lascia dominare da essa finisce
sempre per diventare un povero schiavo,
schiavo di se stesso e schiavo degli altri. Essi
dicono: “Vorrei finirla con quei disordini ma
la passione è più forte di me”. Essi si rendono
schiavi anche degli altri. Quante volte si
vedono uomini, anche di grande levatura,
che si lasciano mettere il laccio al collo e diventano
servi dei capricci e delle esigenze di
una creatura che è oggetto della loro turpe
passione? La lussuria fa perdere all’uomo anche
il bene dell’intelletto. Infatti l’impudico
resta così accecato dalla sua passione, che
non vede e non conosce più niente, né del
suo stato, né della sua dignità, né delle conseguenze
a cui va incontro e pur di soddisfare
la sua brutale passione, non gli importa
di trascurare i più sacri doveri, di calpestare
la fedeltà coniugale, di mandare in malora
i propri interessi, di rovinarsi nell’onore e
compiere lo sfacelo della propria casa».
Certo, non tutti coloro che incontrano la
pornografia diventano drogati di sesso.
Come non tutti coloro che incontrano le
droghe nel proprio percorso di vita sviluppano
una dipendenza. I soggetti più a rischio
– dopo i preadolescenti e gli adolescenti,
ovviamente – sono quelli che si portano
dentro bisogni affettivi mai soddisfatti, “buchi”
di identità da colmare, ferite profonde
se non necessariamente abusi e maltrattamenti.
Attraverso la perversione una “parte”
dell’individuo, una parte rimasta bambina,
una parte ferita e bisognosa, cerca illusoriamente
un soddisfacimento , una riparazione,
un rafforzamento, un “riempimento”. Ma è
un’illusione, appunto. Se mettere in atto la
perversione comporta un forte piacere immediato,
non comporta mai un aumento duraturo
della soddisfazione, della vera felicità
e della gioia. Dopo un intervallo di tempo
sempre più breve il bisogno ricompare e,
insieme ad esso, prima o poi, anche un sentimento
di vuoto e svuotamento interno, di
depressione, disperazione, odio verso di sé,
sensazione di perdita di controllo su se stessi
e sulla propria vita.
Spesso questo rappresenta una specie di
“sorpresa” per i pazienti, come se la cultura
dominante non ci attrezzasse più a considerare
il sesso non solo come un “bisogno
fisiologico” ma come una forza estremamente
potente, portatrice di vita ma anche
di rischi e pericoli.
Questo sì che rappresenta una vera novità: la
dissoluzione di tutte le forme tradizionali in
cui per millenni (da sempre?) si è articolato
il rapporto dell’uomo con l’affettività e il desiderio
sessuale. Da sempre, in ogni civiltà,
anche molto antica, l’uomo ha saputo che la
sessualità ha a che fare con la morte e con
il sacro; da sempre tutti i popoli hanno riconosciuto
che l’unione sessuale dei corpi ha
un’intima, essenziale, ineliminabile rilevanza
sacrale, nel suo rapporto con un ordine superiore
e assoluto; proprio in virtù di questo
la sessualità non è mai stata pensata come
un valore in sé: legata alla vita, al mistero
della sua trasmissione, alla fecondità, nessun
atto sessuale è mai stato pensato come lecito
di per sé, pur nel suo legame col piacere e
con la ricerca umana dell’Assoluto.
Ovviamente questo non vuol dire che in passato
non esistessero le perversioni, sia in termini
di fantasie sia di atti, vuol solo dire che
è mutato profondamente il rapporto personale
tra l’uomo e le proprie perversioni, che
tali erano riconosciute proprio perché considerate
“altro” rispetto all’ambito in cui la
sessualità ha una legittimità piena e assume
un significato autentico legato alla sua sacralità.
Come il filosofo Michel Schooyans ha scritto:
«Stiamo vivendo una rivoluzione antropologica:
l’uomo non è più una persona, un
essere aperto agli altri e alla trascendenza; è
un individuo, votato a scegliersi la sua verità,
ad adottare una sua etica; è un nucleo di
forza d’interesse e di piacere. [...] Non ci può
più essere posto per norme morali oggettive
e comuni a tutti [...]. Oggi i nuovi valori appaiono
il risultato di calcoli utilitaristici regolati
dal consenso: si esprimono nella frequenza
delle scelte osservate e si riducono in definitiva
a ciò che agli individui fa piacere».
Anche la psichiatria non appare certo esente
dalle trasformazioni del costume e della
società e quindi dal cambiamento di quelle
che possiamo chiamare le rappresentazioni
sociali delle perversioni, considerate non più
situazioni definibili a priori come anormali e
patologiche, bensì delle condizioni che possono
costituire dei disturbi solo se e quando
si presentano con determinate caratteristiche
cliniche.
Se da un lato assistiamo a una tendenza
verso la proliferazione di nuovi disturbi psichiatrici
in molti ambiti del comportamento
umano, nell’area della sessualità troviamo
invece una progressiva “scomparsa” di patologie,
un assottigliamento di quelle che
sono considerate delle anormalità. Nel 1987
il termine perversione è stato eliminato dal
famoso DSM (il manuale che elenca le patologie
psichiatriche), per essere sostituito
da quello, più politically correct, di parafilia.
Nell’ultima edizione – la quinta, appena pubblicata
– dell’ormai famoso (anche tra i non
addetti ai lavori) – DSM, non troviamo più
la pedofilia, l’esibizionismo, il voyeurismo,
il masochismo, il sadismo, il frotteurismo, il
feticismo, il travestitismo, bensì il “Disturbo
pedofilico”, il “Disturbo masochista” e così
via, a voler sottolineare come il problema
clinico sia costituito dal disagio percepito e
non da un concetto astratto di normalità. Per
poter fare diagnosi di disturbo, gli psichiatri
devono quindi riscontrare una sofferenza
soggettiva, un intralcio alla propria vita e
al proprio funzionamento (relazionale, sociale,
lavorativo) . In altre parole, le perversioni
vengono considerate patologiche solo
quando sono egodistoniche, ovvero quando
non sono volute, accettate, dalla persona,
quando provocano disagio, sofferenza, tensione,
ansia. Oppure, per le implicazioni legali
che possono comportare, come nel caso
della pedofilia.
Resta il fatto, al di là di ogni astratta teorizzazione,
che la sessualità così apparentemente
liberata, tipica della nostra epoca, continua
a restare per alcuni fonte di schiavitù soggettiva
e sofferenza compulsiva.
È spesso necessario un lungo lavoro, quasi
sempre condotto con strumenti diversi (dai
gruppi di auto aiuto per i Sessodipendenti
Anonimi, agli psicofarmaci, alla psicoterapia)
per restituire dignità, valore e pieno
significato, a una sessualità altrimenti spersonalizzata
e spersonalizzante.