DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

PAPA BERGOGLIO E IL “SOVVERSIVO” BEATO ROMERO



ANDREA TORNIELLI
El Salvador è un Paese piccolo, sofferente e lavoratore.
Qui viviamo grandi contrasti nell’aspetto
sociale, emarginazione economica, politica,
culturale, eccetera. In una parola: ingiustizia. La Chiesa
non può restare zitta davanti a tanta miseria perché
tradirebbe il Vangelo, sarebbe complice di coloro
che qui calpestano i diritti umani. È stata questa la
causa della persecuzione della Chiesa: la sua fedeltà al
Vangelo». Sono le parole contenute in una lettera di
Óscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador
assassinato nel 1980 dagli Squadroni della Morte
mentre celebrava messa, che presto sarà beatificato:
Papa Francesco ne ha riconosciuto martedì il martirio.
«Se mi uccidono, risusciterò nel popolo» Inediti
1977-1980 (editrice Emi) è il titolo del volume nel quale
sono raccolti alcuni scritti inediti del vescovo martire
che sarà pubblicato a fine marzo, nel 35° anniversario
della morte. Basterebbero queste poche parole per
descrivere la statura umana e cristiana del prete Romero.
E anche il motivo della sua uccisione, falciato
dai proiettili vestito con addosso gli abiti liturgici,
mentre si trovava sull’altare.
La decisione del primo Papa latinoamericano, da
tanti attesa, stabilisce finalmente che l’arcivescovo di
San Salvador venne assassinato «in odio alla fede». È la
conclusione di un iter per nulla facile, che ha subito per
quasi vent’anni rallentamenti e qualche tentativo di insabbiamento.
Perché la figura del vescovo martire, invocato
come «San Romero de America» dai molti cattolici
latinoamericani, è stata presentata da taluni circoli
anche ecclesiali come un sovversivo, uno che parlava
troppo dei poveri, assimilabile alla Teologia della liberazione
di stampo marxista. Beatificarlo, secondo
questi circoli, avrebbe significato in qualchemodo beatificare
le guerriglie rivoluzionarie degliAnni Settanta.
Non era vero. Romero è sempre stato soltanto un prete
e un vescovo, non un agitatore politico né un rivoluzionario,
come bene emerge dalla biografia scritta da Roberto
Morozzo della Rocca. Un prete e un vescovo che
di fronte alle sofferenze della sua gente aveva compito
una «conversione pastorale».Ma anche i suoi interventi
più dirompenti, quando dal pulpito faceva nomi e cognomi
di chi opprimeva il popolo, sgorgavano da quella
passione per la sorte dei poveri che è elemento ineliminabile
della tradizione della Chiesa.
Per comprendere quanto sia stata controversa nei
palazzi vaticani la vicenda di Romero, basta ricordare
che nel maggio del 2007, mentre volava in Brasile per
il suo primo viaggio latinoamericano, a Benedetto XVI
era stata rivolta una domanda sul processo di beatificazione
di Romero. Papa Ratzinger aveva risposto difendendo
il vescovo ucciso, descritto come «un grande
testimone della fede» che aveva avuto una morte «veramente
incredibile» davanti all’altare. Aveva detto a
chiare lettere nella sua risposta a braccio che la persona
di Romero «è degna di beatificazione». Eppure
quelle parole pronunciate da Benedetto XVI davanti
alle telecamere e ai registratori accesi vennero fatte
sparire nelle versioni ufficiali dell’intervista pubblicate
sui media vaticani.
«Per molti anni nella Chiesa - scrive Romero nell’ottobre
1977 - siamo stati responsabili del fatto chemolte
persone vedessero nella Chiesa un’alleata dei potenti in
campo economico e politico, contribuendo così a formare
questa società d’ingiustizie in cui viviamo». Pochi
mesi prima dimorire, al giornalista che gli domandava
della sua conversione da «prete in talare» a pastoremilitante,
aveva risposto: «La mia unica conversione è a

Cristo, e lungo tutta lamia vita».

La Stampa 5 /2/2015