DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quella strana simmetria tra crescita della sensibilità animalista e calo di attenzione alla vita umana


di Luigi Tacchi

C’è una strana simmetria tra la crescita
delle sensibilità animaliste ed
il calo dell’attenzione per la tutela
della vita umana. Molto spesso coloro che
si stracciano le vesti per la sperimentazione
animale o per l’utilizzo degli animali nel circo,
non provano la stessa attenzione nel difendere
la vita nascente, debole, embrionale;
anzi, sembrano disposti a seguire teorie più o
meno terrificanti sulla liceità della soppressione
di feti, embrioni e persino neonati.
Tutto ciò non è un caso, bensì la logica conseguenza
delle teorie utilitaristiche elaborate
da Peter Singer, filosofo autore de “la liberazione
animale” in cui condanna lo “specismo”,
ossia la superiorità dell’uomo rispetto
alle altre specie, e nel contempo teorizza la
“tesi della sostituibilità”, ossia della soppressione
di un bambino malato per sostituirlo
con altro “progetto di vita”.
Logica conseguenza di queste teorie è la
messa in discussione della stessa definizione
di diritti umani, che diverrebbero “specisti”
rispetto agli altri essere sensienti, fino ad arrivare
a mettere sullo stesso piano l’omicidio
e le grigliate di carne. In effetti è sempre più
frequente che i vegetariani, soprattutto nella
versione più ardita di “vegani”, non si limitino
ad esercitare una legittima libertà di scelta,
ma si spingano a sostenere la necessità di una
battaglia per bandire il consumo di carne.
Con la Quaresima che si avvicina, aspettiamoci
di vedere i soliti manifesti che da alcuni
anni spuntano come funghi verso Pasqua, con
l’agnello che ti guarda dicendo “se mi vedessi

così non mi mangeresti”.
Se questo è il trend, è normale che in occidente
la spesa per “i migliori amici dell’uomo”
abbia raggiunto vette stratosferiche, tanto da
far dire nel 2011 a Navi Pillay (Commissaria
per i diritti umani delle nazioni unite dal 2008
al 2014) che quanto gli europei spendono
per gli animali domestici in un anno basterebbe
per mantenere l’intero sistema dei diritti
umani delle Nazioni Unite per 250 anni.
Frase choc che rese però plasticamente idea
delle enormi contraddizioni di un occidente
stanco, che rifiuta il ruolo e la responsabilità
che la storia le consegnerebbe, rifugiandosi
invece nell’idolatria per gli “animali sacri”,
concetto proprio di altre culture e tradizioni.
In Italia abbiamo avuto un ministro del turismo
che verrà ricordato forse solo per le sue
battaglie a favore di “spiagge animal friendly”,
mentre da tempo il mondo del marketing ha
scoperto l’appetibilità del mercato degli animalisti.
Si moltiplicano infatti alberghi, resort
e case vacanze a misura di cagnolino, e nel
contempo si offrono pacchetti vacanze “no
kids”, ristoranti per soli adulti, compagnie
aeree che offrono voli “children free” per chi
non vuole essere disturbato da rumorose famiglie
con bambini.
In questo solco si colloca anche la battaglia
del “Great Ape Project” (Progetto Grande
Scimmia), associazione internazionale che
si batte per il riconoscimento dei diritti dei
grandi primati. Progetto che ha ricevuto già
diversi endorsement, come quello dell’ex Primo
Ministro Spagnolo Zapatero, successi nel
campo legislativo come la legge neozelandese
sul benessere animale, e sentenze storiche
come quella recentissima della Corte di
Cassazione Argentina che ha riconosciuto ad
una orango “l’habeas corpus”, cioè lo status di
“soggetto di diritto”.
Anche nel campo delle successioni ereditarie
è oramai frequente che il cagnolino faccia
capolino, e se in Italia non si può lasciare
i beni a Fido, si possono comunque donare a
qualcuno con il vincolo di utilizzarli per la sua
cura; senza contare i lasciti a favore di canili,
gattili ed associazioni per la tutela degli animali
(da ultimo il caso dell’eredità di Margherita
Hack contesa tra la badante ed il gattile).
Tutto cio’ avviene mentre Alberto Giubilini e
Francesca Minerva, allievi di Singer e docenti
universitari in Australia, si spingono a sostenere
la soppressione del neonato anche solo
per ragioni economiche e sociali (il loro maestro
si era limitato ai casi di malformazioni
ed handicap). Questo hanno sostenuto di recente
in un convegno all’università di Torino
nell’ambito di un master in bioetica.
Ce n’è abbastanza, quindi, per collegare l’animalismo
estremista ed ideologico con il
radicale abbassamento del livello e della centralità
dei diritti umani.
In effetti Singer legava l’equiparazione tra
uomo e animale al concetto di “essere senziente”,
ossia capace di sentire dolore, e a
questi applicava le sue tesi utilitaristiche: Da
un lato la condanna dello specismo e dell’utilizzo
dell’animale in funzione dell’uomo,
dall’altro l’accettabilità della soppressione
della vita umana a fronte di un interesse superiore
di tutte le “specie” (ossia per selezionare
solo quei “progetti di vita” degni e funzionali).
Cosi’ diverrebbe ragionevole limitare
la popolazione globale (senza sottilizzare sullo
strumento usato per ridurre le nascite) in
un ottica di “sostenibilità”, ma sarebbe anche
razionale sopprimere vite umane portatrici
di malattie o malformazioni per “selezionare
la razza” (appunto come si fa per gli animali).
Ciò assume una sola definizione possibile:
eugenetica.
Forse non è un caso se uno dei principali sperimentatori
dell’eugenetica, ossia Adolf Hitler,
amasse i cani e provasse un folle attaccamento
per il suo pastore tedesco Blondi, di cui
pare si fidasse molto piu’ dei propri generali.
In effetti nulla di nuovo sotto il sole, la dignità
l’unicità e l’uguaglianza tra tutti gli uomini è
un portato del cristianesimo; prima era considerata
lecita la schiavitù, ossia l’asservimento
giuridico di un uomo ad un altro uomo, mentre
in molte culture e religioni si deificavano
e santificavano alcuni animali.
Ovviamente la tutela degli animali è un giusto
principio, ma negare la differenza di natura,
ontologica, tra uomo e animale porta inevitabilmente
a stravolgere l’intero sistema di
valori su cui si basa la nostra civiltà, con conseguenze
spaventose ed oramai osservabili.
Un tempo si definiva “bestiale” un
comportamento,”inumano”, ora si va verso
un superamento anche di queste categorie?
Forse, ma ciò condurrebbe inevitabilmente a
dar ragione ad Hobbes ed al suo “homo homini
lupus”, e non è precisamente un idea “progressista”
di cui vantarsi. 


La Croce 15 febbraio 2015