DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quello scatto online che rivela tutto di noi ora il marketing va a caccia di selfie



LUCA DE VITO

LA CACCIA ai selfie da parte
delle aziende è cominciata.
Perché in un autoscatto,
come in una semplice fotografia
postata sui social
network, possono nascondersi
informazioni preziosissime per
grandi e piccoli marchi. Indicazioni
sotto traccia che raccontano
il comportamento dei consumatori
e che, una volta ripescate
attraverso l’analisi delle immagini,
possono dettare nuove
strategie aziendali o indirizzare
le major su specifiche campagne
pubblicitarie. Per questo
motivo, sempre più spesso, le
aziende si rivolgono a società
che si occupano di analizzare i
profili social pubblici alla ricerca
di loghi e brand che appaiono
sulle nostre fotografie. Come?
Attraverso l’uso di software di
“image recognition” — simili a
quelli che Facebook usa per il riconoscimento
dei volti quando
ci suggerisce di taggare una foto
— che sono in grado di riconoscere
la presenza di un marchio
in uno scatto anche se questo
non è accompagnato da riferimenti
testuali diretti, come
citazioni nel post o hashtag.
Società come le americane
Ditto Labs e Piqora hanno fatto
di questa tecnologia un business,
concentrandosi soprattutto
sui social
network che prediligono
l’uso delle immagini come
Instagram, Pinterest
e Tumblr. E riuscendo
a conquistarsi
clienti
“pesanti” come
Coca
Cola,
Adidas,
Cadillac
e
Kraft. Scandagliando
la valanga
di fotografie
che quotidianamente
vengono pubblicate sui
profili social (è stato calcolato
che siano all’incirca 1,8
miliardi al giorno), riescono a
fare indagini di mercato molto
dettagliate. Un’“arma” che,
nell’era in cui a dominare il web
sono le immagini, fa gola a qualsiasi
direttore di un ufficio
marketing. «Uno degli aspetti
più interessanti è che questi dati
possono essere incrociati —
spiega Gaia Rubera professore
associato di marketing all’università
Bocconi — così le aziende
possono ricavare moltissime
informazioni, come l’orario in
cui la foto è stata scattata, se
l’autore era in compagnia o da
solo e se il marchio è associato a
un preciso stato d’animo. Non
solo: analizzando i selfie, ad
esempio, Adidas ha scoperto
che il 13 per cento dei propri
clienti è anche un fan di Justin
Bieber, Heineken che i fan dei
Metallica preferiscono la propria
birra, mentre i fan di
Beyoncé sono gran bevitori di
Smirnoff Ice».
Un caso pratico di come le
aziende sfruttino queste informazioni
è quello dell’americana
Chobani, produttrice di yogurt.
Quando hanno scoperto
che molte persone negli Stati
Uniti pubblicano selfie mentre
sono in macchina e mangiano
yogurt, hanno deciso di creare
una linea di confezioni pensata
apposta per essere consumata
in automobile. Oppure il caso di
una major statunitense di bevande
gassate che ha assoldato
Ditto Labs per scoprire come gli
adolescenti interagiscono con il
loro marchio: una ricerca che ha
portato a un radicale cambio di
strategia nelle sponsorizzazioni
e nel design delle bottiglie.
Anche in Italia si comincia a
esplorare questa nuova frontiera
del marketing. «Abbiamo ricevuto
molte richieste da parte
di marchi italiani — spiega
Benjamin Shannon di Ditto
Labs — e l’attenzione per la nostra
tecnologia è forte da voi. In
Italia i più interessati sono i
brand del lusso che hanno uffici
marketing molto esperti e che
vogliono sfruttare le foto per
avere vantaggi sulla concorrenza
». Perché se da una parte
questa tecnologia può essere
usata per conoscere meglio i
propri clienti, dall’altra può essere
sfruttata anche per “studiare”
gli avversari.
A far discutere sono gli aspetti
legati alla privacy che hanno
già sollevato polemiche. Perché
a molti l’idea che le aziende scavino
nelle immagini di vita quotidiana
alla ricerca di informazioni
commerciali non va giù.
L’accusa rivolta a queste società
è quella di sfruttare i selfie
a fini commerciali, senza chiedere
alcun tipo di autorizzazione
agli utenti. Ditto Labs ha
però spiegato che si tratta di
analisi che vengono svolte
esclusivamente su profili pubblici
e che da anni si fanno ricerche
di mercato utilizzando le
informazioni che tutti i giorni
pubblichiamo sui social. «La
reazione immediata è quella di
sentirsi controllati in tutto, anche
nella sfera privata — aggiunge
la Rubera — ma la scelta,
alla fine, è sempre del consumatore:
anche nel momento
in cui pubblichiamo una foto online,
dobbiamo assumerci la responsabilità
di quello che facciamo

».

La Repubblica, 10 febbraio 2015